Telenovela indecente

di Giovanni Valentini (“la Repubblica”, 23 maggio 2008)

Non è sempre vero che il lupo perde il pelo, ma non il vizio, come si affannano a protestare ora gli esponenti dell’opposizione per contestare l’emendamento con cui il governo Berlusconi punta a bloccare la procedura d’infrazione della Corte europea contro l’Italia sul sistema televisivo e quindi a proteggere ancora una volta Retequattro.

Il fatto è che in questo caso il lupo rimane lupo e il pelo non lo perde affatto. E non è neppure vero che i rappresentanti del centrosinistra sono assimilabili ad agnelli, dal momento che è anche colpa loro - del governo Prodi e della traballante maggioranza che lo sosteneva - se oggi ci ritroviamo di nuovo in questa incresciosa situazione.

La telenovela di Retequattro dura ormai da dieci anni, da quando fu approvato nel ’99 l’ultimo piano delle frequenze e in forza della normativa anti-trust la terza rete di Mediaset avrebbe dovuto trasferirsi sul satellite. Non chiudere o essere oscurata, si badi bene.

Ma continuare a trasmettere su un’altra piattaforma, non più in chiaro, a beneficio di Europa 7 che s’era aggiudicata regolarmente una concessione nazionale e da allora non ha mai ricevuto materialmente le frequenze a cui avrebbe avuto diritto. Un sopruso, una prevaricazione, un’occupazione praticamente abusiva, legittimata a posteriori da una compiacente autorizzazione ministeriale che - in via transitoria - ha consentito a Retequattro di continuare indisturbata.

C’era già stato nel dicembre del 2003 un decreto-legge del precedente governo Berlusconi, denominato appunto salva-reti. A cui seguì l’approvazione della famigerata legge Gasparri, prima bocciata dal presidente Ciampi e poi censurata dall’Europa.

E adesso ci risiamo: appena tornato al governo, Berlusconi non si smentisce e ripropone coerentemente un altro decreto per il quale non ricorre alcuna giustificazione di necessità e urgenza, se non riferita strettamente alle casse della sua azienda. Altro che conflitto d’interessi: questa è piuttosto una convergenza di interessi, per dire un’oggettiva collusione tra funzioni pubbliche e affari privati.

Nel merito, l’emendamento presentato di soppiatto dal governo non rispetta la sentenza della Corte di giustizia europea e verosimilmente non sarà sufficiente a evitare la procedura d’infrazione, con la minaccia di una maxi-multa che potrebbe arrivare fino a 300-400 mila euro al giorno per ogni giorno di ritardo. Naturalmente, a carico dello Stato italiano, cioè di tutti noi cittadini.

La "proposta indecente" di rinviare la questione all’avvento del sistema digitale terrestre, previsto entro il 2012 e destinato probabilmente a slittare fino al 2015, è tanto maldestra quanto illegittima: per il semplice motivo che in nome del pluralismo e della libera concorrenza la Corte ha già sanzionato retrospettivamente l’assetto della televisione italiana, risalendo addirittura al 1997 (legge Maccanico), con una sentenza che avrebbe già dovuto provocare la disapplicazione delle norme censurate. E per di più, ha esplicitamente escluso che gli operatori privi di una concessione analogica - com’è Retequattro - possano continuare a trasmettere fino alla data dello switch-off.

Ma è soprattutto sul piano politico che il "colpo di mano" del governo - come giustamente lo definisce il ministro-ombra della Comunicazione, Giovanna Melandri - rischia di provocare gli effetti più rovinosi. Non solo perché interrompe il "fair play" tra maggioranza e opposizione che dovrebbe favorire un auspicabile confronto sulle riforme istituzionali. Ma ancor più perché elimina ogni possibilità di dialogo in Parlamento, alla luce del sole, riproponendo l’anomalia del conflitto d’interessi come un’ipoteca sulla vita nostra vita democratica.

Sarà pur vero che le ultime elezioni hanno convalidato per la terza volta in quindici anni una tale aberrazione, come sostengono adesso anche gli esponenti di Alleanza nazionale che fino a qualche mese fa protestavano per l’invasione delle reti Mediaset nella vita privata di Gianfranco Fini, a scopo intimidatorio. E sarà anche vero che oggi alla maggioranza degli italiani interessa di più l’allarme sicurezza, amplificato ad arte dai tg del Biscione e purtroppo anche da quelli della Rai. Ma all’altra metà del Paese la questione televisiva non preme certamente di meno, visto che la tv determina l’agenda nazionale, condiziona gli umori popolari e continua a influire pesantemente anche sulle scelte politiche.

Forse, l’unico aspetto positivo di questo torbido passaggio sta nel fatto che Walter Veltroni, scuotendosi dal suo torpore post-elettorale, annuncia adesso una "opposizione dura". Dopo aver sopravvalutato le piazze piene di gente, come ha ammesso onestamente lui stesso nei giorni scorsi a "Ballarò", c’è da sperare che il leader del Pd si liberi dal sortilegio mediatico delle piazze virtuali. E sfidi apertamente la maggioranza sul suo terreno.
Il "fair play" parlamentare va bene. Il confronto istituzionale è opportuno e necessario. Ma un inciucio televisivo, rovesciando l’invito rivolto da Berlusconi a Veltroni, proprio "nun se po’ fa’".


(23 maggio 2008)
 




Domenica, 25 maggio 2008