Dall’India al Cossovo XIV-XV secolo. Arrivo delle prime popolazioni Rom in Europa, che avrebbero lasciato l’India fra il IX e il XIV secolo. 1860. Abolizione della schiavitù dei Rom nei principati romeni. 1939-1945. molte centinaia di migliaia di Rom sono sterminati dal III Reich e dai suoi alleati, ma questo genocidio non è ricordato nel processo di Norimberga. 1971 il Comitato internazionale zingaro, che nel 1978 diverrà l’Unione Rom internazionale, organizza il primo congresso mondiale, che riunisce i delegati di quattordici Paesi, «per mantenere e sviluppare la cultura Rom». Il giorno di questo avvenimento, l’8 aprile, diventa simbolicamente la Giornata internazionale dei Rom. Il sesto congresso, organizzato in Italia nel 2004, riunisce diverse centinaia di delegati raggruppati in seno a quarantotto delegazioni nazionali. 1980-2008. Ondate successive di Rom emigranti dai Balcani verso l’Europa occidentale, poi verso gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia. Sono originari della Macedonia (fine anni ’80), del Cossovo (1999), della Romania e Bulgaria (1990-2008) 1999. Doipo la guerra della NATO contro la Serbia, gli estremisti albanesi dell’Esercito di liberazione del Cossovo (UCK) espellono più di duecentomila Rom dalla provincia.
(http://balkans.courriers.info/ e anche http://www.comune.siena.it/main.asp?id=5687 ), autore, con Jean-Arnault Dérens, di Comprendre les Balkans. Histoire, sociétés, perspectives, Non Lieu, Paris, 2007. Le Monde Diplomatique, luglio 2008 «Queste deviazioni sono per evitare la polizia, non ho la patente di guida», sussurra Blago. Il giovane guida con mano sicura sulla strada disastrata che porta gli ultimi sobborghi della periferia di Sofia, verso l’immenso quartiere di Fakulteta, dove vive più della metà dei trentamila Rom della capitale bulgara, il viso impassibile e l’occhio all’erta. I blocchi degli immobili socialisti scompaiono a poco a poco dietro i boschetti di vegetazione spontanea e i mucchi di spazzatura. Qui è impossibile entrare senza guida, perché, dopo le violenze dell’autunno 2007, il quartiere resta sorvegliato. «Gruppi di estremisti bulgari vengono regolarmente per lasciarsi andare a provocazioni e, dopo la morte di un Rom, lo scorso settembre, gli abitanti hanno dovuto organizzarsi», sottolinea Baptiste Riot, un giovane professore di francese che coordina corsi di fotografia per i ragazzi di mahala – il quartiere zingaro. «I soli luoghi in cui le due popolazioni si incontrano ancora», spiega, «sono i mercati, alla periferia della città zingara. I prezzi sono più abbordabili di quelli al centro di Sofia». Questi commerci non bastano per fare vivere l’insieme della popolazione del quartiere. Proiettati nella vita attiva dall’età di 15 o 16 anni, in mancanza di mezzi finanziari per proseguire i loro studi, i giovani raccolgono e selezionano i rifiuti delle vie di Sofia. «Abbiamo fortuna. Poiché lavoro in una scuola primaria e i miei figli hanno una pelle abbastanza chiara, essi possono trovare lavoro sui cantieri, con i bulgari», racconta fieramente Mimi, una madre di famiglia del quartiere. Altri devono rassegnarsi a fare lavoretti. Secondo Ilona Tomova, dell’Istituto di sociologia di Sofia, nel 2001 solamente il 18% della popolazione Rom attiva in Bulgaria dichiarava un impiego. E anche se da allora le statistiche sono un poco migliorate, la situazione sociale di questa minoranza rimane allarmante. «Essi subiscono discriminazioni costanti in materia di lavoro, di educazione e di sanità. Ogni buon bulgaro ha amici Rom con i quali bere un bicchiere al bar, ma il Rom in quanto tale incarna tutti i vizi del mondo», sospira Marcel Curthiade, professore di lingua romani all’Istituto nazionale di lingue e civiltà orientali (Inalco). La persecuzione degli zingari affonda le sue radici in una storia lontana. Arrivati dal nord dell’India per ondate successive, fanno la loro apparizione in Europa fra il XIV e il XV secolo. Nel 1348 si segnalano Cingarije (1) a Prizren (Cossovo). E dal 1385 numerosi testi parlano di famiglie ridotte in schiavitù in Valacchia e Moldavia. La dispersione di queste popolazioni prosegue nella prima metà del XV secolo, talvolta con la benedizione delle autorità politiche. Così nel 1417 Sigismondo I., imperatore romano-germanico, affida una lettera di raccomandazione e di protezione per alcuni gruppi di Rom venuti dalla Boemia – da qui il nome di «bohémiens» che si attribuisce loro [ndt.: in francese soltanto] (2). Nei Balcani ottomani essi appartengono al sistema amministrativo, economico e militare dell’Impero. Una parte di essi, fabbricanti di polvere da sparo o armaioli, si spostano con gli eserciti della Sublime Porta. Altri si fissano nelle zone rurali, essenzialmente come artigiani o mezzadri. La loro sedentarizzazione dà origine a mahala in numerose città dell’Europa sud-orientale, specialmente Prizren o Mitrovica in Cossovo. Tollerati per la loro competenza nei periodo di pace e di opulenza, gli zingari subiscono la repressione e la vendetta popolare dal momento in cui la situazione economica o politica si deteriora. Sul filo dei secoli si moltiplicano messe al bando ed espulsioni, che li spingono a emigrare. Alla fine del XVII secolo un’ondata arriva in Bulgaria, fuggendo il conflitto fra l’Austria e l’Impero ottomano. Così come verso il 1860 l’abolizione della schiavitù nei principati romeni provoca una nuova dispersione attraverso l’Europa. Durante la Seconda guerra mondiale il genocidio nazista costa la vita a centinaia di migliaia di Rom, il martirio dei quali sarà ignorato dal Tribunale di Norimberga. A un punto tale che il numero dei loro scomparsi nel campo di concentramento di Staro Sajmiste, presso Belgrado, rimane sconosciuto. Occorrerà aspettare il 2007 perché l’elenco delle vittime zingare del campo di Jasenovac, in Croazia, diventi definitivo (3). Attualmente, secondo le stime del Consiglio d’Europa, circa dieci milioni di Rom vivono sul continente, dal Regno Unito alla Russia: essi vi formano così la minoranza transfrontaliera più numerosa. Scacciati dalla guerra o dalla miseria, quelli dei Balcani sono venuti in massa a installarsi, spesso clandestinamente, all’ovest, aggiungendosi ai diversi gruppi locali (gitani, zingari, ecc.) con i quali, d’altra parte, allacciano pochi rapporti. Di questa emigrazione le istituzioni internazionali, e in primo luogo l’Unione Europea e il Consiglio d’Europa, si sono rese consapevoli durante gli ultimi vent’anni e hanno avviato iniziative per la scolarizzazione di queste popolazioni. Ma queste subiscono ben altre discriminazioni e conoscono un crescente impoverimento, contro i quali si moltiplicano le iniziative. Lanciato nel 2005 e sostenuto dalla Banca mondiale, dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo e dall’Unione Europea, il Decennio per l’integrazione dei Rom intende favorire il loro accesso all’educazione, alla sanità e al diritto di alloggio in nove Paesi dell’Europa dell’Est e dei Balcani (4). Più di tre anni dopo il lancio di questa operazione gli esperti ne giudicano tuttavia insoddisfacenti i risultati. Se l’opinione pubblica misura a poco a poco il carattere transnazionale del problema, gli Stati si mostrano ancora riluttanti a prendere le misure indispensabili per un’integrazione completa. All’inizio degli anni ’90 gli zingari dei Balcani furono le prime vittime del disfacimento della Jugoslavia e della caduta dei regimi comunisti. Dimenticati dai nuovi governi, impoveriti dalla transizione economica, fatti bersaglio dagli emergenti nazionalismi aggressivi, capro espiatorio degli scontri fra comunità, si ritrovarono socialmente emarginati, talvolta sottoposti a violenze e a veri e propri pogrom. «Nel 1989, ricorda Tomova, i Rom si distinguevano per il tasso d’impiego più alto della Bulgaria. 83% delle persone attive lavoravano. Nel 1993 non new restava più che il 30%. Certi Rom non hanno più accesso al mercato del lavoro dall’inizio degli anni ’90. e ormai una seconda generazione non trova più un lavoro stabile». Questa situazione riguarda principalmente i ghetti urbani che, costituiti alla fine degli anni ’70, si ampliano notevolmente dopo la caduta del regime comunista. «Prima, il modo di vivere degli zingari non si distingueva. Lavoravano, secolarizzavano i loro figli, avevano accesso al sistema sanitario, ecc. la loro emarginazione ebbe inizio con la “transizione”. Coloro che abitavano nelle piccole città non bneficiarono della redistribuzione delle terre e dovettero emigrare verso i grandi agglomerati, spiega Antonina Zelyazkova, dell’ International Center for Minority Studies and Intercultural Relations (IMIR). A Kumanovo, nel nord delaa Repubblica di Macedonia, i cinquemila Rom si concentrano in una bidonville situata fra i fiumi Lipkovska e Kojnarska. Le sue bicocche di mattoni e materiali di ricupero si trovano in piena zona d’inondazioni. Qualche negozietto, carretti pieni d’angurie e giovani disoccupati. Secondo Milan Demirovski, presidente dell’organizzazione Khan («sole», in romani), che alfabetizza ragazzi e adulti semianalfabeti, «95% di essi raggiungono appena il minimo sociale. La sola soluzione è creare commerci propri, perché qui le imprese assumono su base comunale: per i Rom non c’è mai posto». Questo stato di cose persiste malgrado la decentralizzazione avviata nel 2001. alla conclusione dei combattimenti fra i miliziani albanesi dell’Esercito di liberazione nazionale della Macedonia (UCK-M) e l’esercito regolare macedone gli accordi di Ocrida del 13 agosto 2001 accordano più diritti politici e sociali alle minoranze. Da qui l’ottimismo di Erdua Iseni, il sindaco di Suto Orizari, un distretto a grande maggioranza Rom del comune di Skopje: «I Rom vivono meglio qui che in gran parte degli altri paesi della regione. Sotto questo aspetto si può perfino considerare la Macedonia come uno degli Stati più avanzati dell’Europa». Con quarantamila abitanti il suo quartiere, chiamato Sutka, sembra effettivamente abbastanza prospero, con lw sue bottegucce variopinte, i suoi commercianti dalle facce attraenti e i numerosi clienti. Tuttavia anche qui i Rom si scontrano con le stesse discriminazioni quotidiane, gli stessi pregiudizi tenaci e i medesimi ostacoli politici. «Il nostro comune riceve, a norma della legge sul decentramento, un budget inferiore a quello che ricevono i comuni dove vivono dei macedoni, sospira il sindaco. Non abbiamo abbastanza denaro per continuare la manutenzione delle strade e la modernizzazione delle nostre strutture.». e aggiunge: «Stavamo molto meglio ai tempi della Jugoslavia titoista». Fatto unico al mondo, la Costituzione della Repubblica di Macedonia definisce i Rom come popolo costitutivo dello Stato. Resta il fatto che, nella realtà, «essi sono esclusi dalla vita politica», assicura Courthiade. Certamente, gli accordi di Ocrida prevedono l’utilizzo della lingua di una minoranza nell’amministrazione di un comune quando il 20% della popolazione conferma la sua appartenenza a quella minoranza. Ma questa disposizione porta vantaggio molto più agli albanesi (un quarto della popolazione della Macedonia) che alle altre comunità del Paese (Rom, serbi, torbesi, arumani, turchi, ecc.). Dei centoventimila zingari che vivevano nel Cossovo prima del 1999 non restano che trentamila circa, ripartiti fra la zona serba del nord del Paese e una serie di enclave nel settore albanese, a sud del fiume Ibar. L’ampiezza delle distruzioni a Mitrovica o Pristina testimonia della violenza della pulizia etnica accaduta. Gli estremisti dell’Esercito di liberazione del Cos’ovo (UCK) sostennero che i Rom servissero come ausiliari dell’esercito serbo per giustificare la loro espulsione dopo la fine dei bombardamenti della NATO e la ritirata dell’esercito serbo. Fili spinati corrono sui tetti e tutto è pronto per sbarrare la strada al primo allarme: così la famiglia di Faton S. difende la sua casa, sulle alture di Orahovac/Rahovec, nel bel mezzo della terra di nessuno che contraddistingue la frontiera fisica fra città albanese e ghetto serbo. A che scopo?queste ridicole difese non hanno impedito agli estremisti albanesi, durante i moti del marzo 2004, d’incendiare mote case del quartiere serbo. «Noi siamo rifiutati dalle due comunità, al punto che mio figlio ha dovuto smettere di andare a scuola a causa delle violenze dei suoi compagni albanesiB, si lamenta il padre del giovane. «Prego ogni giorno che non gli capiti qualcosa e che possa raggiungere in fretta i suoi cugini in Germania». Nello sfuggire alle violenze gli zingari del Cossovo finiscono tuttavia per trovare… la miseria; coloro che vegetano a migliaia nelle bidonville di Seine-Saint Denis [ndt.: si tratta dei rifugiati in Francia, presso Parigi] ne sanno qualcosa. A Prizren, una antica città commerciale del sud del Cossovo, dove prima della guerra coabitavano albanesi, serbi, Rom, bosniaci e turchi, seimila Rom tentano ancora di sopravvivere in un contesto economico depresso. «Qui, prima del 1999, avevamo buoni rapporti con le altre comunità», confida fieramente Naser, un imprenditore. «Da bambino parlavo romani con i miei vicini albanesi, serbo e turco con i compagni di classe. Ho costruito la mia casa con le mie mani e resterò in Cossovo: è la mia terra!». Effettivamente, all’epoca della Jugoslavia socialista, gli zingari – e in particolare quelli del Cossovo – godevano di una reale promozione sociale ma anche culturale (i primi programmi radiotelevisivi in romani si realizzarono a Prizren e a Pristina). Adempivano il loro servizio militare. Integrati nel sistema politico avevano rappresentanti nell’amministrazione di diverse repubbliche. Un solo Rom occupa ancora la funzione di procuratore in Cossovo: quello di Prizren, nominato in epoca titoista. «Non so che cosa ci porterà l’indipendenza. Noi vogliamo soltanto vivere in pace. Speriamo che i nostri figli possano lavorare sulla terra che li ha visti nascere», lancia il giornalista Kujtim Pacaku. «E che i Rom non siano più vittime dei nazionalismi ciechi». Speranza, o illusione? Comparsi nei paesi della regione dall’inizio degli anni ’90 in poi, i partiti ultranazionalisti mobilitano senza fatica il risentimento degli esclusi dalla transizione economica riguardante gli zingari «Quando i numerosi bulgari che vivono al disotto della soglia di povertà vengono a sapere che l’Unione Europea organizza programmi di aiuto specifico agli zingari, come l’assistenza medica gratuita, mentre loro non possono comperarsi le medicine o scaldarsi d’inverno causa il costo dell’energia, prestano orecchie attente alle tesi di un partito estremista come Ataka», afferma François Frison-Roche, ricercatore del Centro nazionale di ricerca scientifica e specialista della Bulgaria (5). Il fatto è che ai loro occhi i più poveri dei Rom, senza risorse né lavoro, passano per «predatori», che per esempio rubano l’elettricità, grazie ad allacciamenti abusivi, senza che le autorità intervengano. I media traggono lauti profitti da traffici e crimini attribuiti alla comunità zingara. Durante le elezioni presidenziali dell’ottobre 2006 la coalizione Ataka e il suo leader Volen Siderov raccolsero quasi un quarto dell’elettorato bulgaro: nel corso della campagna chiamarono la gente a «trasformare gli zingari in sapone». Adesso esigono «un programma governativo di lotta contro la criminalità dei gitani». Con queste tematiche aggressive l’Ataka attira a sé larghe frange della popolazione, persuase che tutti i loro mali vengono dagli zingari e deluse dai partiti tradizionali che non affrontano questo problema». In Serbia alcuni intellettuali Rom tentano di arginare la crescita dei nazionalisti. «Noi siamo gli oppositori più determinati contro il Partito radicale», dichiara Rajko Djuric, presidente dell’Unione Rom, che rivendica «ventotto membri della [sua] famiglia uccisi dai cetnici [ndt.: nazisti e fascisti serbi] durante la Seconda guerra mondiale». Diretto da Tomislav Nikolic – dopo l’incriminazione del suo predecessore Vojislav Seselj da parte del Tribunale internazionale per l’ex-Jugoslavia, che giudica i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità durante la guerra di Croazia (1991-1995) -, il Partito Radicale Serbo (SRS) si richiama da sempre all’eredità ideologica e folcloristica dei cetnici. Fedeli al re Pietro II Karagiorgevic i cetnici si opposero alle forze dell’Asse e ai partigiani di Tito fra il 1941 e il 1945, rendendosi colpevoli di massacri contro croati, musulmani e Rom. Ardenti difensori di una «Grande Serbia», i nazionalisti estremisti del SRS vogliono riunire tutte le popolazioni serbe dei Balcani in seno a un solo Stato e negano qualsiasi diritto politico o culturale alle minoranze della Serbia. Un programma inaccettabile per l’Unione Rom. «Noi vogliamo diventare un partito importante al Parlamento serbo, una formazione con diritto di cittadinanza, democratica e aperta a tutte le comunità», spiega il presidente dell’UR. «Alle elezioni legislative del 22 gennaio 2007 abbiamo ottenuto un seggio e diciottomila voti, dei quali un terzo di elettori non-Rom». A dire il vero questo risultato appare piuttosto deludente. La Serbia conterebbe in effetti più di duecentomila elettori zingari. Questa comunità quindi si caratterizza per le sue divisioni. «I partiti al potere hanno sempre acquistato voti con promesse fraudolente o con qualche litro di rakija (grappa)», dice Djuric. Dalla parte del SRS si aggiunge ormai anche il sostegno della cantante Marija Serifovic, che ha vinto l’Eurovisione del 2007 e che ha contribuito al voto radicale di numerosi Rom, malgrado il razzismo di quel partito… A Vranje, al contrario, nel sud del Paese, gli zingari portano in massa i loro suffragi al Partito socialista di Serbia (SPS) di Slobodan Milosevic. Come nel resto dei Balcani gli zingari, pur discriminati, nondimeno partecipano pienamente al gioco politico. Ci si assicura il loro sostegno alle elezioni, li si utilizza per ottenere sovvenzioni dall’Europa, li si stigmatizza per meglio compattare l’opinione pubblica. Figure dell’alterità per eccellenza, rappresentano lo «straniero vicino [o: prossimo]»…, disprezzato ma indispensabile. Quale buona famiglia di Belgrado potrebbe festeggiare la sua slava (festa del santo protettore della famiglia) senza una fanfara di musici Rom? Per una schizofrenia identitaria sorprendente, il festival di Guka Gora, che ogni anno riunisce le migliori orchestre zingare di Serbia, è uno degli appuntamenti più importanti del nazionalismo serbo. Ci si veste con T-shirt con i ritratti di Milosevic e del generale Ratko Mladic, il capo militare dei serbi di Bosnia-Erzegovina dal 1992 al 1995, e si festeggia al suono di una musica che nessuno sprebbe definire con certezza come «balcanica», «serba» o «Rom»… Allo stesso titolo di altre minoranze senza territorio, come gli Aromani (6) o i Torbesi (7), i Rom dei Balcani costituiscono quindi una componente essenziale dell’identità «balcanica», costruita a partire da specificità sia comunitarie che linguistiche e di alterità territoriali. Uno zingaro di Novi Pazar, nel sud della Serbia, potrà per esempio essere cittadino serbo, sentirsi culturalmente partecipe del Sangiaccato (regione a cavallo fra Serbia e Montenegro), praticare la religione musulmana e… parlare albanese, perché la sua famiglia da tempo intrattiene rapporti commerciali col Cossovo. I Rom di Prizren (Cossovo) si definiscono come musulmani sanniti; alcuni appartengono tuttavia a confraternite sufi, come l’ordine derviscio dei Rifai. In breve, contrariamente ai modelli elaborati nei paesi della regione dalla decomposizione dell’Impero ottomano sul modello francese di Stato-nazione, l’identità non è mai «una». Essa si declina in funzione di molteplici quadri linguistici, territoriali, religiosi e socio-professionali. Fluttua a seconda delle pressioni economiche e politiche. Ieri musulmani sotto l’Impero ottomano, gli zingari di Bulgaria si dichiarano oggi in maggioranza ortodossi. E quelli che ancora parlano turco pretendono spesso di essere turchi per poter emigrare più facilmente verso Istanbul… L’esplosione della Jugoslavia e gli spostamenti di popolazioni conseguenti alle guerre degli anni ’90 hanno accelerato drammaticamente il processo di semplificazione identitaria e di normalizzazione culturale. La Croazia e il Cossovo non contano più alcuna comunità serba, due identità omogenee si spartiscono la Bosnia-Erzegovina, e gli ungheresi abbandonano la Voivodina. I Rom come le altre minoranze sprovviste di territorio «compatto» conserveranno a lungo un loro posto in questi Stati balcanici sempre in costruzione? Nulla è meno sicuro. A meno che le organizzazioni Rom, come l’Unione rom internazionale, giunga infine ad avere un peso politico sufficiente per fare sentire la loro voce sulle scene nazionali, regionali e internazionali. Laurent Geslin Questo termine, che deriva senza dubbio dalla parola greca atsinganos o atsinkanos («intoccati», «intoccabili»), verso il 1100 designava una setta eretica installatasi in Gracia e i cui membri evitavano ogni contatto con il loro entourage. Da qui il nome di zingari (Zigeuner in tedesco, Zingari in italiano, ecc.) utilizzato per definire questi gruppi di viaggiatori venuto dall’est. Vedi Jean-Pierre Liégeois, Roms en Europe, Editions du Conseil de lEurope, Strasbourg, 2007. Vedi Rajko Djuric et Antun Miletic, Istoriya holokausta Roma, Politika, Belgrade, 2008 Bulgaria, Croazia, Ungheria, Macedonia, Montenegro, Repubblica ceca, Romania, Serbia e Slovacchia. François Frison-Roche, «Ataka : décryptage dun radicalisme à la bulgare », Le Courrier des Balkans, Paris, 9 septembre 2005. Popolazione che parla una lingua simile al romeno e che stiricamente svolgeva i compiti di pastori e commercianti in tutti i Balcani. Popolazioni slave musulmane di Macedonia Testo originale: De lInde au Kosovo XIV-XV siècles. Arrivée des premières populations roms en Europe. Elles auraient quitté lInde entre le IX et le XIV siècle. 1860. Abolition de lesclavage des Roms dans les principautés roumaines. 1939-1945. Plusieurs centaines de milliers de Roms sont exterminés par le III Reich et ses alliés, mais ce génocide nest pas mentionné lors du procès de Nuremberg. 1971. Le Comité international tzigane, qui deviendra en 1978 lUnion romani internationale, organise le premier congrès mondial, qui réunit des délégués de quatorze pays pour «maintenir et développer la culture rom ». Le jour de lévénement, le 8 avril, devient symboliquement a Journée internationale des Roms. Le sixiè congrès, organisé en Italie en 2004, rassemb plusieurs centaines de délégués regroupés au ein de quarante-huit délégations nation les. 1980-2008. Vagues successives de m ration de Roms des Balkans vers lEurope occidental , puis vers les Etats-Unis, le Canada et lAustralie. I s sont originaires de Macédoine (fin des années 1980), u Kosovo (1999), de Roumanie et de Bulgarie (1990-2008). 1999. Après la guerre de lOTAN contre la Serbie, les extrémistes albanais de lArmée de libération du Kosovo (UCK) expulsent près de cent mille Roms de la province. Les Roms, « étrangers proches » des Balkans Par Laurent Geslin ** Journaliste au Courrier des Balkans (site), auteur, avec Jean-Arnault Dérens, de Comprendre les Balkans. Histoire, sociétés, perspectives, Non Lieu, Paris, 2007. « Ces détours, cest pour éviter la police, je nai pas de permis de conduire», glisse Blago. Le jeune homme conduit dune main ferme sur la route cabossée qui mène des dernières banlieues périphériques de Sofia à limmense quartier de Fakulteta, où vivent plus de la moitié des trente mille Roms de la capitale bulgare. Le visage impassible et loeil aux aguets. Les barres dimmeubles socialistes disparaissent peu à peu derrière des bosquets de végétation et des amas de détritus. Ici, impossible dentrer sans guide, car, depuis les violences de lautomne 2007, le quartier reste sous bonne garde. ((Des groupes dextrémistes bulgares viennent régulièrement se livrer cl des provocations et, depuis la mort dun Rom, en septembre dernier, les habitants ont dû sorganiser», souligne M. Baptiste Riot, un jeune professeur de français qui anime des cours de photographie pour les enfants de la mahala — le quartier tzigane. «Les seuls lieux où les deux populations se rencontrent encore, explique-t-il, ce sont les marchés, aux périphéries de la ville tzigane. Les prix y sont plus abordables que dans le centre de Sofia.» Ces commerces ne suffisent pas à faire vivre len-semble de la population du quartier. Projetés dans la vie active dès 15 ou 16 ans, faute de moyens financiers pour continuer leurs études, les jeunes ramassent et trient les déchets des rues de Sofia. «Nous avons de la chance. Comme je travaille dans une école primaire et que mes enfants ont une peau assez claire, ils peuvent sengager sur des chantiers, avec des Bulgares», raconte avec fierté Mimi, une mère de famille du quartier. Dautres doivent se résigner aux petits boulots. Selon Ilona Tomova, de lInstitut de sociologie de Sofia, seulement 18 % de la population rom active de Bulgarie déclarait un emploi en 2001. Et si, depuis, les statistiques se sont quelque peu améliorées, la situation sociale de cette minorité reste alarmante. «Ils subissent des discriminations constantes en matière de travail, déducation ou de santé. Tout bon Bulgare a des amis roms avec qui aller au café ou boire un verre, mais le Rom en tant que tel incarne tous les vices du monde», soupire Marcel Courthiade, professeur de langue romani à lInstitut national des langues et civilisations orientales (Inalco). La persécution des Tziganes plonge ses racines dans une lointaine histoire. Arrivés du nord de lInde par vagues successives, ils apparaissent en Europe entre le XIVe et le XVe siècle. En 1348, on signale des Cingarije (I) à Prizren (Kosovo). Et, dès 1385, des textes évoquent des familles réduites en esclavage en Valachie et en Moldavie. La dispersion de ces populations se poursuit dans la première moitié du XVe siècle, avec parfois la bénédiction des autorités politiques. Ainsi, en 1417, Sigismond Ier, empereur romain germanique, confie une lettre de recommandation et de protection à des groupes de Roms venus de Bohême — doù le nom de «Bohémiens» quon leur attribue (2). Dans les Balkans ottomans, ils appartiennent au système administratif, économique et militaire de lEmpire. Une partie dentre eux, fabricants de poudre ou armuriers, se déplacent avec les armées de la Sublime Porte. Dautres se fixent dans les zones rurales, essentiellement comme artisans ou métayers. Leur sédentarisation donne naissance à des mahala dans de nombreuses villes dEurope du Sud-Est, notamment Prizren ou Mitrovica au Kosovo. Tolérés pour leurs compétences en période de paix et dopulence, les Tziganes subissent la répression et la vindicte populaire dès que la situation économique ou politique se détériore. Au fil des siècles, bannissements et expulsions se multiplient, les poussant à migrer. A la fin du XVIIe siècle, une vague arrive en Bulgarie, fuyant le conflit entre lAutriche et lEmpire ottoman. De même, vers 1860, labolition de lesclavage dans les principautés roumaines provoque une nouvelle dispersion à travers lEu-rope. Durant la seconde guerre mondiale, le génocide nazi coûte la vie à des centaines de milliers de Roms, dont le tribunal de Nuremberg ignorera le martyre. Au point que le nombre des leurs disparus dans le camp de concentration de Staro Sajmiste, près de Belgrade, demeure inconnu. Il faudra attendre 2007 pour que la liste des victimes tziganes du camp de Jasenovac, en Croatie, soit établie (3). Actuellement, selon les estimations du Conseil de lEurope, environ dix millions de Roms vivent sur le continent, du Royaume-Uni à la Russie : ils y forment ainsi la minorité transfrontalière la plus nombreuse. Chassés par les guerres ou la misère, ceux des Balkans sont venus massivement sinstaller, souvent clandestinement, à louest, rejoignant différents groupes locaux (Gitans, Manouches, etc.) avec lesquels ils entretiennent dailleurs généralement peu de liens. De cette migration, les institutions internationales, et en tout premier lieu lUnion européenne et le Conseil de lEurope, ont pris conscience au cours des vingt dernières années. Elles ont entrepris un effort pour la scolarisation de ces populations. Mais celles-ci subissent bien dautres discriminations et connaissent une paupérisation grandissante, contre lesquelles les initiatives se multiplient. Lancée en 2005 et soutenue par la Banque mondiale, le Pro-gramme des Nations unies pour le développement (PNUD) et lUnion européenne, la Décennie pour lintégration des Roms entend favoriser leur accès à léducation, à lemploi, à la santé et au logement dans neuf pays dEurope de lEst et des Balkans (4). Plus de trois ans après le lancement de cette opération, les experts en jugent cependant les résultats décevants. Si lopinion mesure peu à peu le caractère transnational de la question, les Etats renâclent encore à prendre les mesures indispensables à une intégration complète. Au début des années 1990, les Tziganes des Balkans furent les premières victimes de léclatement de la Yougoslavie et de la chute des régimes communistes. Oubliées par les nouveaux gouvernements, appauvries par la transition économique, ciblées par les nationalismes agressifs émergents, bouc émissaire des affrontements intercommunautaires, ces communautés se retrouvèrent socialement marginalisées, voire soumises à des violences et même à de véritables pogroms. «En 1989, rappelle Tomova, les Roms se caractérisaient par le taux demploi le plus important de Bulgarie : 83 % des actifs travaillaient. En 1993, il nen res-tait plus que 30 %. Certains Roms nont plus accès au marché du travail depuis le début des années 1990. Et, désormais, une seconde génération ne trouve pas demplois stables.» Cette situation touche principalement les ghettos urbains, qui, constitués à la fin des années 1970, sétendent considérablement depuis la chute du régime communiste. «Avant, le mode de vie desTziganes ne se distinguait pas. Ils travaillaient, scolarisaient leurs enfants, accédaient au système de santé, etc. Leur marginalisation commença avec la "transition: Ceux qui habitaient de petites villes ne bénéficièrent pas de la redistribution des terres et durent émigrer vers les grandes agglomérations», explique Antonina Zelyazkova, de lInternational Center for Minority Studies and Intercultural Relations (IMIR). A Kumanovo, dans le nord de la République de Macédoine, les cinq mille Roms se concentrent dans un bidonville situé entre les rivières Lipkovska et Kojnasrka. Ses bicoques de briques et de matériaux de récupération se trouvent en pleine zone inondable. Quelques boutiques, des charrettes pleines de pastèques et des jeunes désoeuvrés. Selon M. Milan Demirovski, président de lorganisation Khan («soleil», en romani), qui alphabétise enfants et adultes illettrés, «95 % dentre eux ne touchent que le minimum social. Leur seule solution, cest de créer leurs propres commerces, car les entreprises embauchent, ici, sur une base communautaire : pour les Roms, il ny a jamais de place».il Cet état de fait persiste malgré la décentralisation engagée en 2001. A lissue des combats entre les miliciens albanais de lArmée de libération nationale de Macédoine (UCK-M) et larmée macédonienne, les accords dOhrid du 13 août 2001 accordent plus de droits politiques et sociaux aux minorités. Doù loptimisme de M. Erduan Iseni, le maire de Suto Orizari, un arrondissement très majoritairement rom de la commune de Skopje : «Les Roms vivent mieux ici que dans la majorité des autres pays de la région. On peut même considérer la Macédoine comme un des Etats les plus avancés dEu-rope de ce point de vue.» Fort de quarante mille habitants, son quartier, surnommé Sutka, paraît effectivement assez prospère, avec ses échoppes bariolées, ses commerçants à la mine engageante et ses nombreux clients. Pourtant, même ici, les Roms se heurtent aux mêmes discriminations quotidiennes, aux mêmes préjugés tenaces et aux mêmes blocages politiques. (( Notre commune perçoit, au titre de la loi sur la décentralisation, un budget inférieur à celui que reçoivent les municipalités où vivent des Macédoniens, soupire le maire. Nous navons pas assez dargent pour continuer la réfection des rues et moderniser nos infrastructures.» Et dajouter : «Nous nous portions bien mieux du temps de la Yougoslavie titiste.), Fait unique au monde, la Constitution de la République de Macédoine définit les Roms comme un peuple constitutif de lEtat. Reste que, en réalité, «ils sont exclus de la vie politique», assure Courthiade. Certes, les accords dOhrid prévoient lutilisation de la langue dune minorité dans ladministration dune commune dès lors que 20 % de la population affirme son appartenance à cette minorité. Mais cette dis-position profite bien plus aux Albanais (un quart de la population de Macédoine) quaux autres communautés du pays (Roms, Serbes, Torbesi, Aroumains, Turcs, etc.). Des cent vingt mille Tziganes qui vivaient au Kosovo avant 1999, il nen reste que trente mille environ, répartis entre la zone serbe du nord du pays et une série denclaves en secteur albanais, au sud de lIbar. Lampleur des destructions à Mitrovica ou Pristina témoigne de la violence du nettoyage ethnique intervenu. Les extrémistes de lArmée de libération du Kosovo (UCK) prétendirent que les Roms servaient dauxiliaires à larmée serbe pour justifier leur expulsion, après la fin des bombardements de lOrganisation du traité de lAtlantique nord (OTAN) et le retrait de larmée serbe. Des barbelés courent sur les toits, et tout est prêt pour barrer les rues à la première alerte : ainsi la famille de Faton S. défend-elle sa maison, sur les hauteurs dOrahovac/Rahovec, au beau milieu du no mans land qui marque la frontière physique entre ville albanaise et ghetto serbe. A quoi bon? Ces protections dérisoires nont pas empêché les extrémistes albanais, lors des émeutes de mars 2004, dincendier plusieurs maisons du quartier serbe. «Nous sommes rejetés par les deux communautés, au point que mon fils a dû arrêter lécole en raison des violences de ses camarades albanais, se lamente le père du jeune homme. Je prie tous les jours pour quil ne lui arrive rien et quil puisse rapide-ment rejoindre ses cousins en Allemagne.» Fuyant les coups, les Tziganes du Kosovo finissent toutefois souvent par trouver... la misère ; ceux qui végètent par milliers dans les bidonvilles de Seine-Saint-Denis en savent quelque chose. A Prizren, une vieille ville marchande du sud du Kosovo où cohabitaient avant la guerre Albanais, Serbes, Roms, Bosniaques et Turcs, six mille Roms tentent encore de survivre dans un contexte économique déprimé. a Ici, avant 1999, nous entretenions de bonnes relations avec les autres communautés, confie avec fierté Naser, un entrepreneur. Enfant, je parlais romani avec mes voisins albanais; serbe et turc avec mes camarades de classe. Jai construit ma maison de mes mains et je resterai au Kosovo : cest ma terre!» De fait, à lépoque de la Yougoslavie socialiste, les Tziganes – et notamment ceux du Kosovo – jouissaient dune réelle promotion sociale, mais aussi culturelle (les premiers programmes radio-télévisés en romani virent le jour à Prizren et à Pristina). Ils accomplissaient leurs obligations militaires. Intégrés au système politique, ils avaient des représentants dans ladministration des diverses républiques. Un seul Rom occupe encore la fonction de procureur au Kosovo : celui de Prizren, formé sous lépoque titiste. «Je ne sais pas ce que nous apportera lindépendance. Nous ne voulons que vivre en paix. Nous souhaitons que nos enfants puissent travailler sur la terre qui les o vus naître, lâche le journaliste Kujtim Pacaku. Et que les Roms ne fassent plus les frais de nationalismes aveugles.» Espoir, ou illusion? Apparus dans les pays de la région depuis le début des années 1990, les partis ultranationalistes mobilisent sans mal le ressentiment des exclus de la transition économique à légard des Tziganes. «Quand les nombreux Bulgares vivant sous le seuil de pauvreté apprennent que lUnion européenne met en place des programmes daides spécifiques aux Tziganes, comme une assistance médicale gratuite, alors queux-mêmes ne peuvent pas sacheter des médicaments ou se chauffer en hiver à cause du coût de lélectricité, ils prêtent une oreille attentive aux thèses dun parti extrémiste comme Ataka», souligne François Frison-Roche, chercheur au Centre national de la recherche scientifique (CNRS) et spécialiste de la Bulgarie (5). Cest quà leurs yeux les plus pauvres des Roms, sans ressources et sans travail, passent pour des «pillards », qui volent par exemple lélectricité, grâce à des branchements sauvages, sans que les autorités les inquiètent. Les médias font leurs choux gras des trafics et crimes attribués à la communauté tzigane. Lors de lélection présidentielle doctobre 2006, la coalition Ataka et son leader Volen Siderov rassemblèrent près du quart de lélectorat bulgare : au cours de la campagne, ils appelèrent à «transformer les Tziganes en savon». Maintenant, ils exigent un «pro-gramme gouvernemental de lutte contre la criminalité des Gitans». Avec ces thématiques agressives, Ataka attire à elle de larges franges de la population persuadées que tous leurs maux proviennent des Tziganes et déçues que les partis traditionnels ne sattaquent pas à ce «problème». En Serbie, certains intellectuels roms tentent denrayer la montée des nationalistes. «Nous sommes les opposants les plus déterminés au Parti radical», clame M. Rajko Djuric, le président de lUnion rom, qui revendique «vingt-huit membres de [sa] famille tués par les tchetniks durant la seconde guerre mondiale». Mené par M. Tomislav Nikolic – depuis linculpation de son prédécesseur Vojislav Seselj par le Tribunal pénal international pour lex Yougoslavie, qui juge les crimes de guerre et les crimes contre lhumanité durant la guerre de Croatie (1991-1995) –, le Parti radical serbe (SRS) se réclame depuis toujours de lhéritage idéologique et folklorique des tchetniks. Fidèles au roi Pierre Il Karadjordjevic, ceux-ci sopposèrent aux forces de lAxe et aux partisans de Tito entre 1941 et 1945. Ils se rendirent coupables de mas-sacres contre des Croates, des musulmans et des Roms. Ardents défenseurs dune «Grande Serbie», les nationalistes extrémistes du SRS entendent réunir toutes les populations serbes des Balkans au sein dun même Etat et dénient tout droit politique ou culturel aux minorités de Serbie. Un programme inacceptable pour lUnion rom. «Nous entendons devenir un parti important au Parlement de Serbie, une formation citoyenne, démocratique et ouverte à toutes les communautés, explique le président de cette dernière. Aux élections législatives du 22 janvier 2007, nous avons obtenu un siège et dix-huit mille voix, dont un tiers délecteurs non roms». A vrai dire, ce résultat paraît plutôt décevant. La Serbie compterait en effet plus de deux cent mille électeurs tziganes. La communauté se caractérise donc par ses divisions. «Les partis au pouvoir ont toujours acheté les voix par des promesses frauduleuses, ou avec quelques litres de rakija [eau-de-vie]», lâche M. Djuric. Du côté du SRS sajoute, désormais, le soutien de la chanteuse Marija Serifovic, victorieuse de lEurovision en 2007 : elle a contribué au vote radical de nombreux Roms, malgré le racisme de ce parti... A Vranje, en revanche, dans le sud du pays, les Tziganes apportent toujours massivement leurs suffrages au Parti socialiste de Serbie (SPS) de Slobodan Milosevic. Comme dans le reste des Balkans, les Tziganes, discriminés, nen participent pas moins pleinement au jeu politique. On sassure de leur soutien aux élections, on les utilise pour obtenir des subventions européennes, on les stigmatise pour mieux rassembler lopinion publique. Figures de laltérité par excellence, ils représentent l« étranger proche»... méprisé, mais indispensable. Quelle bonne famille de Belgrade pourrait fêter sa slava (fête du saint protecteur de la famille) sans une fanfare de musiciens roms? Par une schizophrénie identitaire remarquable, le festival de Guca Gora, qui réunit chaque année les meilleurs orchestres tziganes de Serbie, est lun des rendez-vous les plus importants du nationalisme serbe. On se pare de tee-shirts aux effigies de Milosevic et du général Ratko Mladic, le chef militaire des Serbes de Bosnie-Herzégovine de 1992 à 1995, et on festoie au son dune musique que nul ne saurait définir avec certitude comme ((balkanique», «serbe» ou «rom »... Au même titre que dautres minorités sans territoire, comme les Aroumains (6) ou les Torbesi (7), les Roms des Balkans constituent donc une composante essentielle de 1o identité balkanique», construite à partir de spécificités communautaires ainsi que linguistiques, et daltérités territoriales. Un Tzigane de Novi Pazar, dans le sud de la Serbie, pourra par exemple être citoyen serbe, se sentir culturellement du Sandjak (région à cheval entre la Serbie et le Monténégro), pratiquer la religion musulmane et... parler albanais, car sa famille entre-tient depuis longtemps des relations commerciales avec le Kosovo. Les Roms de Prizren (Kosovo) se définissent comme des musulmans sunnites ; certains appartiennent pourtant à des confréries sou-fies comme lordre derviche des Rifai. Bref, contrairement aux modèles élaborés dans les pays de la région depuis la décomposition de lEmpire ottoman, sur le modèle français de lEtat-nation, lidentité nest jamais «une». Elle se décline en fonction de multiples cadres linguistiques, territoriaux, religieux et socioprofessionnels. Elle fluctue au gré des contraintes économiques et poli-tiques. Hier musulmans sous lEmpire ottoman, les Tziganes de Bulgarie saffichent aujourdhui en majorité orthodoxes. Et ceux qui parlent encore le turc se prétendent souvent turcs pour pouvoir plus facilement émigrer vers Istanbul... Léclatement de la Yougoslavie et les déplacements de population consécutifs aux guerres des années 1990 ont dramatiquement accéléré le processus de simplification identitaire et de normalisation culturelle. La Croatie et le Kosovo ne comptent plus de communautés serbes; deux entités homo-gènes se partagent la Bosnie-Herzégovine; et les Hongrois désertent la Voïvodine. Les Roms comme les autres minorités dépourvues de territoire a compact» conserveront-ils longtemps une place dans ces Etats balkaniques toujours en construction? Rien nest moins sûr. A moins que les organisations roms, comme lUnion romani internationale, parviennent enfin à peser dun poids politique suffisant pour faire entendre leur voix sur les scènes nationales, régionale et internationale. LAURENT GESLIN. (1) Ce terme, qui dérive sans doute du mot grec atsinganos ou atsinkanos (« intouchés», «intouchables» ), désignait vers 1100 une secte hérétique installée en Grèce et dont les membres évitaient tout contact avec leur entourage. Doù le nom de Tziganes (Zigeuner en allemand, Zingari en italien, etc.) utilisé pour définir ces groupes de voyageurs venus de lest. (2) Cf. Jean-Pierre Liégeois, Roms en Europe, Editions du Conseil de lEurope, Strasbourg, 2007. (3) Cf. Rajko Djuric et Antun Miletic, Istoriya holokausta Roma, Politika, Belgrade, 2008. (4) Bulgarie, Croatie, Hongrie, Macédoine, Monténégro, République tchèque, Roumanie, Serbie et Slovaquie. (5) François Frison-Roche, «Ataka : décryptage dun radicalisme à la bulgare », Le Courrier des Balkans, Paris, 9 septembre 2005. (6) Populations parlant une langue proche du roumain, assurant historiquement les rôles de pasteurs et de marchands dans tous les Balkans. (7) Populations slaves musulmanes de Macédoine.
Mercoledì, 16 luglio 2008
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