Schiavi in paradiso

Progetto internazionale sulla schiavitù contemporanea


di Céline Anaya Gautier, Malika Barache
(traduzione dal francese di José F. Padova)

per le Giornate delle Memorie della tratta negriera, dello schiavismo e della loro abolizione


Nella Repubblica Dominicana la capanna dello Zio Tom non è mai scomparsa. Nei pressi delle spiagge per turisti di lusso, nascosti dietro una cortina impenetrabile di canne da zucchero, baraccamenti di legno, malsani, senza acqua né elettricità, danno ricovero a intere famiglie venute da Haiti.

Documentazione fotografica in:
www.esclavesauparadis.org (cliccare sull’idioma preferito, su Galerie/Gallery, su Photo, su Diorama/Slideshow)


Batey
Una volta superato il cancello d’ingresso dei batey (accampamenti destinati in origine ai tagliatori di canne) non si sfugge più a questo inferno: gli uomini si sfibrano nelle piantagioni di canna da zucchero, le donne cercano di assicurare la sopravvivenza delle loro famiglie, i bambini nati da genitori haitiani sono destinati a diventare a loro volta schiavi...
Ogni anno più di 20.000 haitiani attraversano la frontiera della Repubblica Dominicana per lavorare a una stagione della "zafra", la raccolta della canna da zucchero. La maggior parte di queste traversate avviene al di fuori della benché minima legalità ed è il risultato di un procedimentoBraceros haitiani organizzato, ben noto alle autorità, perpetrato sotto lo sguardo benevolo degli uffici dell’Immigrazione e della polizia dominicani. In cambio di questa mano d’opera le aziende zuccheriere dominicane versano per ogni testa importata un importo di 30 euro al governo haitiano, più altro denaro destinato ai procacciatori. Una volta formati i gruppi, gli autobus delle compagnie zuccheriere portano i lavoratori haitiani nei "batey", miserabili accampamenti dove vengono poi assegnati alle baracche. Alla ricerca di una vita migliore i "braceros", i braccianti, si ritrovano subito nell’inferno di una vita abbrutente.

Céline Anaya Gautier e Esteban Colomar Enguix hanno potuto introdursi in alcuni di questi campi di lavoro grazie a due sacerdoti, Christopher Hartley e Pedro Ruquoy, che lavorano quotidianamente sul terreno per aiutare e difendere questi uomini ridotti in schiavitù.
Il progetto "Esclaves au paradis" (Schiavi in paradiso) si propone di raccogliere in un’esposizione le fotografie di Céline Anaya Gautier, le ambientazioni sonore e i canti registrati fra la popolazione dei batey e i tagliatori di canne da zucchero da Esteban Colomar Enguix. Parallelamente saranno organizzate tavole rotonde da parte di Jean-Marie Théodat, professore alla Sorbona e specialista delle relazioni haitiano-dominicane.

Questa iniziativa mira a denunciare le condizioni di vita nei batey, sia dei tagliatori stagionali sia delle famiglie che vi vivono da generazioni e ha ugualmente lo scopo di sostenere l’opera realizzata dai padri Christopher Hartley e Pedro Ruquoy.
Programmata per il 10 maggio 2007, Giornata in memoria della Schiavitù, l’iniziativa si inserisce in un intervento di denuncia globale della schiavitù in tutte le sue forme e in ogni continente ed è sostenuta da diverse associazioni come il Collectif 2004 Images, Sucre-éthique (Zucchero etico), Soccorso cattolico, Gente dei Caraibi e da numerosi ricercatori.

Una meccanica dello sfruttamento
A partire dal 18° secolo gli schiavi di origine africana rendevano possibile la coltivazione della canna da zucchero nella Repubblica Dominicana. Una situazione rivoluzionata dall’abolizione della schiavitù nel 1794.
Con l’occupazione americana degli anni ’20 l’industria zuccheriera conosce un nuovo sviluppo e si rivolge a lavoratori volontari di origine haitiana. Ma le loro condizioni di lavoro, non rispettate, scatenano una rivolta, che sarà violentemente repressa dalle forze armate dominicane (più di 20.000 morti). In seguito a questo massacro e grazie alla mediazione degli Stati Uniti vengono sottoscritti accordi bilaterali fra i governi dominicano e haitiano. Questi accordi prevedono la fornitura di mano d’opera dietro compenso finanziario per lo Stato haitiano! Essi riguardano 20.000 lavoratori agricoli retribuiti con cibo grazie a buoni di sopravvivenza.

La schiavitù si modernizza
Ufficiosamente dalla metà degli anni ’70 la Repubblica dominicana si avvale di reclutatori privati che ricevono circa 20 $ per ogni lavoratore. La pauperizzazione di Haiti favorisce l’efficacia delle loro proposte sulla popolazione haitiana.

Il contesto internazionale
Dipendendo dall’aiuto internazionale Haiti soffre di una gestione economica caotica. Degrado dei servizi pubblici, disoccupazione, impoverimento spingono la popolazione rurale ad abbandonare le campagne haitiane per rivolgersi all’industria zuccheriera della Repubblica dominicana. Nel 2004 lo Stato americano include la Repubblica dominicana nel novero dei 15 Paesi i cui sforzi in materia di lotta contro il traffico di esseri umani è insufficiente e minaccia di sospendere i suoi aiuti. Nell’agosto del 2004 è sottoposta al Parlamento dominicano una legge che tenta di contenere il fenomeno. Ancor oggi migliaia di lavoratori haitiani, ingannati dai discorsi dei “buscones” (procacciatori dominicani), che promettono un lavoro ben remunerato, sono sottomessi a condizioni di lavoro e di vita disumani nelle piantagioni zuccheriere.

L’industria zuccheriera
La storia dell’industria dello zucchero è intimamente legata a quella della schiavitù, specialmente con la deportazione di milioni di Africani nelle piantagioni sudamericane e dei Caraibi, allo scopo di soddisfare le necessità delle metropoli europee. Fra i 4 e i 7 milioni di Africani furono trasportati verso il Brasile e altrettanti verso i Caraibi, dove la canna era coltivata intensivamente. Nel 19° secolo l’abolizione della schiavitù mise in crisi questa industria. Oggi la produzione mondiale di zucchero raggiunge i 140 milioni di tonnellate. Due colture raggiungono un livello commerciale: la canna da zucchero (70% della produzione mondiale) e la barbabietola da zucchero (30%). Il mercato della canna si trova nei Paesi del sud, mentre la filiera della barbabietola si posiziona al nord. Quando la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo proclama che «nessuno sarà tenuto in schiavitù o servitù» la filiera dello zucchero continua a infrangere questa legge. I Paesi in via di sviluppo offrono agli industriali spazi sprovvisti di leggi per la protezione delle persone. Nelle coltivazioni che sfruttano la canna da zucchero si trovano così due forme di schiavitù: la servitù per debiti e il lavoro minorile. Specialmente nella Repubblica dominicana, dove sono prodotte annualmente 1.200.000 tonnellate, destinate ai Paesi industrializzati. Questi lavoratori sono presenti specialmente in Brasile, dove rappresentano l’ 80% degli effettivi delle industrie dello zucchero.
Secondo Olivier Gérard, socio-antropologo, co-fondatore di Sucre-Ethique.

Cinque del mattino, Julio Venturo infila i suoi vestiti consunti e sporchi. A piedi nudi, rovinati, si immerge nella notte con centinaia di altri braceros. Un cammino di più di un’ora lo porta dal batey al campo di canna da zucchero.

Braceros: i tagliatori di canna
Nei campi i tagliatori di canna si sfiancano quindici ore al giorno, senza garanzia di salario. Per una tonnellata di canna da zucchero tagliata ricevono tra 45 e 80 pesos, ossia 1,15 euro! I più esperti e forti ne tagliano una tonnellata e mezza al giorno.
Buoni di razionamento stanno al posto del salario e non permettono l’acquisto di cibo se non nei colmados (negozietti dei batey dove si scambiano i buoni contro generi di prima necessità). Questi buoni bastano appena a nutrirli. Reclutati dai buscones, i braceros vedono i loro documenti sostituiti da un libretto di lavoratore rilasciato dal Consiglio di Stato dello zucchero.
In assenza di inquadramento giuridico, la sola legge che prevale sui campi di canna è quella imposta dai capataz. Terrorizzati dai loro guardiani, privati di documenti, di mezzi di comunicazione, troppo poveri per fare economie, i tagliatori di canna sono ridotti al silenzio e alla rassegnazione. I braceros diventano lavoratori stagionali prigionieri a vita e vanno a ingrossare le fila dei vecchi, di coloro che risiedono nei batey da più di trent’anni. Privi di sicurezza sociale, benché a questo scopo si detragga loro un peso dal salario, i tagliatori di canna non beneficiano di alcun aiuto, eccetto in certi batey pubblici, in caso d’incidente o di malattia. In questo caso, non essendo remunerati, dipendono dalla solidarietà altrui.
I fuggitivi sono rapidamente riacciuffati dai guardiani e picchiati a colpi di machete. Numerosi sono coloro dei quali, dopo un tentativo di evasione, non si sono più avute notizie.

Prigionieri dei batey
Previsti all’origine per soli uomini, i batey raggruppano oggi intiere famiglie. In una povertà estrema uomini, donne e bambini dormono sulla nuda terra. I più fortunati hanno materassi, solo mobilio possibile in quegli spazi ristretti. Visione singolare è quella di vecchi televisori o radio posati sul suolo come altrettante speranze di vedere un giorno arrivare l’elettricità.
Stato di non-diritto, i batey costituiscono ghetti, dove regnano tutte le forme di violenza. Privi di speranze, senza altro orizzonte se non le «porte dell’inferno» e i muri verdeggianti delle canne da zucchero, le liti e le risse sono più pericolose e sanguinose che altrove.
Oltre che dai canti creoli che salutano l’aprirsi del giono, le giornate sono ritmate dal lavoro e, la sera, dai combattimenti di galli.

Bambini fantasma
I bambini haitiani nati sul suolo della Repubblica dominicana non hanno esistenza legale. Né il governo dominicano né quello haitiano accettano di riconoscerli. Privi d’identità sono condannati a passare la loro vita nei batey, a diventare al loro volta schiavi o a essere prostituiti nelle località turistiche del Paese.
Anche i bambini partecipano alla zafra. Dopo i periodi di taglio e di pulitura dei campi, eseguiti dagli uomini, viene il tempo della semina, realizzata dai bambini. Di questo lavoro, compiuto fra i due periodi-chiave, dipende la sopravvivenza dell’intera famiglia.
I bambini dei batey raramente hanno accesso alla scuola e ai servizi sanitari. Le associazioni sanitarie internazionali non si sono preoccupate della loro sorte, perché la Repubblica dominicana gode di un periodo di espansione economica, grazie in particolare al turismo, e non conosce conflitti resi noti dai mezzi di comunicazione.

Il padre Pedro Ruquoy
Dal 1975 il prete belga Pedro Ruquoy combatte acanto ai derelitti nella Repubblica dominicana, particolarmente vicino agli immigranti haitiani e ai loro discendenti che vivono nei batey. Attraverso i suoi scritti, documentari e conferenze, Pedro si è sforzato di fare conoscere al popolo dominicano la realtà dei batey. Ha organizzato rimpatri, ha aiutato i batey di Barahona a difendere i loro interessi. Ha contribuito alla creazione della Plataforma Vida (Piattaforma Vita) che realizza attività educative nei batey. In questi 5 ultimi anni Pedro ha sostenuto il Movimento delle donne domi dicano-haitiane, per reclamare il diritto a un nome e a una nazionalità per i discendenti di haitiani nati su territorio dominicano.
Parallelamente Pedro assume le sue responsabilità quale curato di una parrocchia di 15 batey. Vi celebra la messa, visita i malati e i nuovi braceros. A causa di questo impegno Pedro Ruquoy è minacciato regolarmente. All’inizio del 2005 queste persecuzioni si sono intensificate, sotto la pressione del settore ultra-nazionalista dominicano. Nel corso degli ultimi sei mesi Pedro ha ricevuto minacce di morte e la sua chiesa è stata presa a sassate in piena messa. È stata orchestrata anche una campagna diffamatoria sostenuta da certi media. Egli è accusato di partecipare a una campagna internazionale per denunciare il maltrattamento degli haitiani da parte della Repubblica dominicana.
Pedro Ruquoy ha dovuto lasciare la Repubblica dominicana il 17 novembre 2005, su richiesta dei suoi superiori ecclesiastici, a causa delle minacce di morte provenienti dai settori legati ai padroni dell’azienda zuccheriera di Barahona.

Il padre Christopher Hartley
Christopher Hartley Sartorius, nato a Londra da padre inglese e madre spagnola, subordinato alla diocesi di New York, vive al fianco dei tagliatori di canna da zucchero. Proveniente dall’aristocrazia britannica e spagnola conta su solide relazioni per proteggere la propria azione. Dal suo arrivo nel 1997 conduce una battaglia quotidiana contro i dirigenti delle piantagioni da zucchero, perché i tagliatori possano lavorare in condizioni umane e mangiare a sufficienza. Per tre anni è stato regolarmente in contatto con la famiglia di proprietari terrieri Vicini per tentare, invano, di ottenere miglioramenti e diminuzione dei maltrattamenti.
Minacciato continuamente di morte il padre Christopher continua la sua lotta, benché gli sia stato vietata la presenza nei batey dei Vicini, perché faceva conoscere al mondo intero la realtà dei batey. Ogni giorno ascolta, cura, educa i bambini, tenta di convincere gli uomini dei batey del fatto di essere persone libere. La sua parrocchia funziona come una ONG e porta sul terreno soluzioni molto serie: creazione di ospedali, centri polivalenti, progetti agro-alimentari. Questa organizzazione e i suoi modi incisivi fanno pensare talvolta a commando, radio portatili e guardie del corpo rafforzano questa visione moderna della Chiesa e della militanza umanitaria.




Sabato, 04 ottobre 2008