Il saccheggiatore

Di Thomas Assheuer
(traduzione dal tedesco di José F. Padova)

Antichi luoghi storici apparterranno presto a investitori privati: Silvio Berlusconi commercializza la cultura italiana


Zeit Online   34/2008 S. 43   [http://www.zeit.de/2008/34/Spitze-34]

Ogni Stato ha il suo antagonista, ma in Italia lo Stato ne ha uno in più – vale a dire sé stesso. Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi vuole avere lo Stato tanto snello da apparire come una azienda ben ripulita. La Ditta Italia deve occuparsi adesso solamente degli affari-chiave e lasciare sbrigare tutto il resto dagli investitori. Infatti gli investitori possono quello che lo Stato presumibilmente non può: di un capitale morto essi fanno soldi vivi. Per esempio, dei beni culturali.

Prossimamente a Verona dovrebbero essere messi all’asta tre palazzi e ad Agrigento l’amministrazione cittadina dà in affitto la zona dei templi. Adesso coloro che si occupano della tutela dei monumenti temono che sui luoghi culturali presto si aggireranno le aziende straniere. Per esempio gli specialisti dell’evento-biancheria intima o altri soccorritori per la sopravvivenza dell’umanità oppressa. Avanti con Verdi-Versace a AlfaRomeo-Verona.

Ma per che cosa occorrono i tutori dei monumenti [ndt.: Sovrintendenti alle Belle Arti], se i beni culturali presto appartengono agli investitori? Giulio Tremonti, ministro dell’Economia e delle Finanze, tramuterebbe molto volentieri i beni patrimoniali dello Stato in una Società per azioni, che metterebbe all’asta al miglior offerente il suo capitale culturale. A Berlusconi questo piace molto. Come misura preparatoria poterà drasticamente lo Stato culturale, anche come «compensazione per le riduzioni d’imposte [da lui] promesse» (Frankfurter Allgemeine Zeitung). Un miliardo di euro viene sottratto alla conservazione dei monumenti e dopo di questo essa è soltanto una rovina.

Si deve gustare questo concetto. Nel Paese d’origine dei classici antichi i partiti al governo saccheggiano l’inalienabile eredità della res publica; si fanno un bel bottino della proprietà del popolo, per essere nuovamente eletti dal popolo. Perché? Perché gli Stati, che si ritengono essere aziende, hanno prima di tutto un programma: abbassare le imposte. Viene eletto chi promette per il futuro le tasse più ridotte. Race to the bottom si chiama ciò: concorrenza al ribasso, finché l’ultima lapide è affittata. Questa politica però non si fa gratis. Si paga con il passato – e con una aggressiva politica della sicurezza, una grande offensiva contro i piccoli criminali, contro i nuovi poveri, i naufraghi [sopravvissuti], i venditori ambulanti, la marmaglia e ogni genere di canaglie, che agli occhi di Berlusconi deturpano la vendibilità della bell’Italia. Già i soldati pattugliano le città, i poliziotti ricevono un premio per ogni testa di illegale catturato. Come aiuto immediato contro la fame deve essere vietato mendicare e rovistare nei cassonetti in cerca di cibo.

Questa illusione di sicurezza è soltanto il rovescio della medaglia del capitalismo culturale di Berlusconi, poiché così egli dimostra la forza della sua azione. Di continuo Berlusconi, il capo delle ricerche nel laboratorio della democrazia europea, grida lo stato d’emergenza nazionale, per eliminarlo personalmente. Il prossimo stato di necessità è già pronto dietro alla porta, sono i cani nelle rovine di Pompei. Cani randagi là ve ne sono da duemila anni, ma se anche questo bene culturale deve una buona volta essere smerciato, essi ne sviliscono il prezzo. Prada-Pompei. Suona anche carino. In verità la commercializzazione della cultura è truffa al cittadino, che ha finanziato quei monumenti che ora gli vengono sottratti. E la riduzione delle tasse? È soltanto una magra rendita sul patrimonio del popolo fino a oggi investito nei monumenti e nella loro conservazione
DIE ZEIT, 14.08.2008 Nr. 34
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Testo originale:

ZEIT ONLINE   34/2008 S. 43   [
http://www.zeit.de/2008/34/Spitze-34]
  Der Plünderer
Antike Stätten gehören bald privaten Investoren: Silvio Berlusconi kommerzialisiert die italienische Kultur
Italien
Von Thomas Assheuer
Jeder Staat hat seine Gegner, aber in Italien hat der Staat einen Gegner mehr – nämlich sich selbst. Ministerpräsident Silvio Berlusconi will den Staat so schlank haben, dass er wie eine adrette Firma aussieht. Die Firma Italien soll sich nur noch um das Kerngeschäft kümmern und alles andere von Investoren erledigen lassen. Denn Investoren können, was der Staat angeblich nicht kann: Sie machen aus totem Kapital lebendiges Geld. Zum Beispiel aus Kulturgütern.
In Verona sollen demnächst drei Paläste versteigert werden, und in Agrigento verpachtet die Stadtverwaltung den Tempelbezirk. Nun fürchten Denkmalschützer, dass in den Kulturstätten bald Fremdfirmen ihr Wesen treiben. Zum Beispiel Spezialisten für Event-Unterwäsche oder andere Überlebenshelfer der bedrängten Menschheit. Auf zu Verdi-Versace in Alfa-Verona.
Aber wofür braucht man Denkmalschützer, wenn Kulturgüter bald privaten Investoren gehören? Giulio Tremonti, Minister für Wirtschaft und Finanzen, würde die Patrimonialgüter des Staates am liebsten in eine Aktiengesellschaft verwandeln, die ihr kulturelles Kapital meistbietend versteigert. Berlusconi gefällt das sehr. Als vorbereitende Maßnahme wird er die Kulturetats drastisch beschneiden, auch als »Kompensation für versprochene Steuererleichterungen« (FAZ). Eine Milliarde Euro wird dem Denkmalschutz entzogen, und danach ist dieser nur noch eine Ruine.
Man muss es sich auf der Zunge zergehen lassen. In einem Stammland der klassischen Antike plündern die Regierungsparteien das unveräußerliche Erbe der res publicae; sie machen sich das Eigentum des Volkes zur Beute, um vom Volk wiedergewählt zu werden. Warum? Weil Staaten, die sich als Firmen verstehen, vor allem ein Programm haben: die Steuern zu senken. Gewählt wird, wer für die Zukunft die niedrigsten Abgaben verspricht. Race to the bottom nennt man das: Unterbietungswettbewerb, bis der letzte Marmordeckel vermietet ist. Diese Politik gibt es jedoch nicht gratis. Sie wird mit Vergangenheit bezahlt – und mit einer aggressiven Sicherheitspolitik, einer Großoffensive gegen Kleinkriminelle, gegen neue Arme, Schiffbrüchige, Hausierer, Lumpengesindel und allerlei Gelichter, die in Berlusconis Augen die Verkäuflichkeit des schönen Italien verschandeln. Schon patrouillieren Soldaten in den Städten; Polizisten erhalten Kopfprämien für die Ergreifung von Illegalen. Als Soforthilfe gegen den Hunger soll es Bettlern verboten werden, in Papierkörben nach Essen zu wühlen.
Dieser Sicherheitswahn ist nur die Kehrseite von Berlusconis Kulturkapitalismus, denn mit ihm demonstriert er Handlungsstärke. Ständig ruft Berlusconi, der Versuchsleiter im Labor der europäischen Demokratien, den nationalen Notstand aus, um ihn persönlich zu beseitigen. Der nächste Notstand schleicht schon um die Tür, es sind die Hunde in den Ruinen von Pompeji. Streunende Hunde gibt es dort zwar seit zweitausend Jahren, aber wenn auch dieses Kulturgut einmal verhökert werden sollte, verderben sie die Preise. Prada-Pompeji. Klingt auch nett. In Wahrheit ist die Kommerzialisierung der Kultur Betrug am Bürger, der jene Denkmäler finanziert hat, die ihm nun entzogen werden. Und die Steuererleichterung? Sie ist nur eine magere Rendite auf das bisher in den Denkmalschutz investierte Volksvermögen.
DIE ZEIT, 14.08.2008 Nr. 34



Giovedì, 21 agosto 2008