Rassegna stampa 17 settembre 2007

di José F. Padova

Viene prima la carità o la verità? E il cittadino-credente è più cittadino o più credente? O addirittura "fedele"? Gustavo Zagrebelski, magistrato e studioso del diritto, interviene al Convegno "Religione e politica  nella società post-secolare".  

La Chiesa, lo Stato e l’arroganza della verità
di Gustavo Zagrebelsky (“la Repubblica”, 14 settembre 2007)
La riproposizione della religione in una dimensione civile ha sullo sfondo ­ espresso o sottinteso ­ il motto dostoevskijano: «Se Dio non c’è, tutto è possibile» che sintetizza l’atteggiamento etico nichilista di Ivan Karamazov, esposto nel dialogo col fratello Alësha che introduce a Il grande Inquisitore (un testo tutt’altro che irrilevante per i nostri temi). Di fronte all’anomia che pervade la società, solo Dio, la sua religione e la sua chiesa darebbero ragione del bene e del male, del lecito e dell’illecito. I credenti, rispetto ai non credenti, godrebbero così di uno status di superiorità non solo morale ma anche civile. Il cittadino per eccellenza sarebbe l’uomo di fede in Dio. Detto diversamente: solo i credenti in Dio sarebbero capaci di atteggiamenti eticamente orientati nei confronti dei propri simili e, in generale, nei confronti del mondo. Dovremmo così dare ancor oggi ragione a Locke, quando considerava i senza-Dio soggetti pericolosi, perché «inidonei a mantenere le promesse»; a Dostoevskij perché incapaci di districarsi nel dilemma tra il bene e il male?
L’argomento di Dostoevskij non è quello triviale, e in fondo immorale, del premio o del castigo nell’aldilà per il bene e il male compiuti nell’aldiqua. È invece l’argomento di Kirillov ne I Demoni: senza Dio tutto è permesso, .......

J.F.Padova



Lunedì, 17 settembre 2007