Quando la politica abbandona lo straniero

di Peter Schiesser (“Azione”, Lugano, 20 maggio 2008)

A quanti di voi e corso un brivido lungo la schiena, nel vedere le immagini della bidonville napoletana data alle fiamme per scacciare i Rom, fra gli applausi e le grida dei loro vicini napoletani? Quali pensieri, quali sentimenti avete provato vedendo madri e bambini in fuga da una rabbia collettiva, quasi nazionale?
La storia si declina sempre con le stesse immagini, quando le situazioni degradano, richiamando odio, violenza, disprezzo - siamo solo noi, figli di tempi e di società che riteniamo più civilizzati di altri, che ci illudiamo di aver lasciato alle spalle per sempre il lato oscuro dell’animo umano. Ma non generalizziamo, chiamiamo per nome e cognome ciò che sta succedendo, poiché quanto visto alla periferia di Napoli è la conseguenza di qualcosa di molto italiano, ossia dell’incapacità, se non dell’assenza di volontà, di accompagnare in modo serio uno dei fenomeni più esplosivi della modernità: le migrazioni di milioni di persone, dal sud al nord del mondo. Come al solito, la rabbia si scatena sugli anelli più deboli della catena: tutti i rumeni, non solo i rom, improvvisamente sono considerati potenzialmente criminali; in realtà, se l’insicurezza oggi condiziona una grande parte della popolazione, è perché è l’Italia si è disinteressata del destino di tutti coloro che negli ultimi decenni hanno sfidato la morte per annegamento, il cinismo dei passatori o degli scafisti pronti a buttarli a mare al primo segnale di pericolo, 1’assenza di scrupoli di datori di lavoro che li assumono in nero lasciandoli vivere sotto i ponti, in casolari abbandonati, l’indifferenza di una gran parte dei cittadini, che preferiscono non vedere quel mondo sommerso, sofferente, spaesato, che ti aspetta sul ciglio della strada per lavare il parabrezza dell’auto, o per vendersi in altre forme. Nel termine «clandestini» si legge quasi un’assenza del diritto di esistere - figurarsi di venire integrati. Eppure, tutti lo riconoscono: i «clandestini», romeni compresi, sono ormai indispensabili a molti datori di lavoro in Italia.
Potrebbe succedere anche in casa nostra? Pure noi incontriamo difficoltà a controllare una certa microcriminalità, in particolare lo spaccio di droghe gestito da stranieri senza permesso, ma non abbiamo ghetti di zingari da dare alle fiamme. Piuttosto, popolo e autorità svizzere hanno fin qui dimostrato di saper convivere al meglio con una presenza di stranieri che oggi si aggira sul 20 percento. Lo vediamo in queste settimane: in Svizzera gli animi si dividono sul fatto se sia giusto riconoscere un equo trattamento giuridico allo straniero che chiede di farsi svizzero, o se piuttosto vada riconosciuta la supremazia della volontà popolare su quella della legge, in questa materia (vedi pag. 16). Anche se l’Udc si augura di riuscire con la sua iniziativa a frenare le naturalizzazioni, nemmeno questo partito è contrario a concedere it passaporto svizzero a chi viene considerato integrato. Può quindi essere consolante notare che in Svizzera stiamo discutendo di quanto rispetto sia dovuto agli stranieri che ambiscono al passaporto elvetico, mentre in Italia il neoministro degli Interni annuncia pubblicamente di voler ripristinare i controlli alle dogane per i romeni (in barba a Schengen), introdurre il reato di «clandestinità», e prevedere ronde di poliziotti e soldati, dovendo poi far marcia indietro dopo pochi giorni: il paragone aiuta a non perdere il senso delle proporzioni con il mondo al di la delle frontiere.



Sabato, 07 giugno 2008