Il «cortile di casa» si emancipa

Washington ha perduto l’America Latina?


di Jeanette Habel, universitaria, Istituto di alti studi sull’America latina, Parigi.

Le Monde Diplomatique, dicembre 2007 (traduzione dal francese di José F. Padova)


Perché l’ambasciata americana a Caracas ha aperto una serie di «consolati satelliti» in cinque Stati venezuelani produttori d’idrocarburi? Perché il Pentagono tenta di riattivare l’aeroporto militare Mariscal Estigarribia, nel Chaco paraguayano, a qualche decina di minuti di volo dalla Bolivia? Dalla fine degli anni ’90 in America latina Washington è presa a spintoni. Il progetto di grande mercato dall’Alaska alla Terra del Fuoco, la Zona di Libero scambio delle Americhe, non ha avuto successo. In sua vece sono arrivati governi di sinistra, moderati o radicali, una alleanza energetica Venezuela-Bolivia-Argentina, una Banca del Sud che tiene in scacco il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, l’Alternativa bolivariana delle Americhe (Bolivia, Cuba, Nicaragua, Venezuela), l’abbozzo di un «socialismo del XXI secolo» a Caracas, La Paz e Quito… Washington tenta di arginare questa emancipazione promovendo numerosi Trattati di Libero commercio, legittimando un «diritto di ingerenza democratica» e rafforzando la cooperazione militare nel nome della guerra contro il terrorismo e il narcotraffico, in difesa della… democrazia di mercato.

«L’America Latina è un continente perduto». L’affermazione è di Moises Naim, direttore della rivista Foreign Policy. Meno categorico, il presidente dell’ Iner-American Dialogue, Peter Hakim, formula una non minore inquietudine quando si chiede: «Washington sta perdendo l’America Latina (1)?». Da un decennio in questa parte del mondo gli Stati Uniti hanno subito numerosi rovesci. Il rigetto delle politiche neoliberali ha portato al potere coalizioni di sinistra, radicali o moderate, che segnano in gradi diversi la loro indipendenza. Nell’aprile 2002 il colpo di Stato contro il presidente [eletto] venezuelano, Hugo Chavez, è fallito. In seguito la forza del movimento indigeno ha portato Evo Morales al potere in Bolivia, malgrado le pressioni del Dipartimento di Stato. Nonostante esercitassero pressioni di ogni genere, gli Stati Uniti dapprima non hanno potuto impedire l’elezione di Daniel Ortega in Nicaragua e, in Ecuador, quella di Rafael Correa (2). Allora, intervenire in modo più muscoloso? Il fallimento della spedizione irachena rende poco probabile, almeno per un certo tempo, un impegno militare diretto su un altro fronte.

Tuttavia, nonostante il crescente rifiuto di cui è oggetto, l’essenziale del quadro neoliberale resta in piedi. Certo non ha potuto vedere il giorno la Zona di Libero scambio delle Americhe (ZLEA, in spagnolo ALCA) grande mercato americano previsto dall’Alaska alla Terra del Fuoco, lanciata in pompa magna da Bill Clinton in occasione di un Vertice delle Americhe tenutosi a Miami alla fine del 1994. eppure, secondo Carlos Gutierrez, segretario americano al commercio, le imprese americane durante il 2005  hanno investito 353 miliardi di dollari in America latina e nei Caraibi. Le loro filiali vi impiegano un milione e seicentomila persone. Nel 2006 le esportazioni americane sono aumentate del 12,7% e le importazioni del 10,5%.

Il fallimento della ZLEA non deve nascondere i progressi degli accordi bilaterali o multilaterali, in particolare realizzati mediante i Trattati di Libero commercio (TLC), perché l’attrattiva del mercato americano costituisce un potente atout: «Il nostro paese deve trovare nelle relazioni con tutti i Paesi del mondo, e particolarmente con gli Stati Uniti, la forza che le sue dimensioni non gli danno», afferma il ministro uruguayano dell’economia, sedotto da un TLC con gli Stati Uniti, una conseguenza del quale sarebbe un conflitto con il Mercato comune del Sud (Mercosur), cosa che non spiacerebbe a Washington. Se fossero inquadrate nel centro destra le elite latino-americane sarebbero pronte a capitolare davanti all’offensiva neoliberale.

Nel corso del tempo il campo politico dei TLC si è allargato. Una nuova tappa verso l’integrazione continentale – in versione nordamericana – è stata superata il 23 marzo 2005 a Waco (Texas). La Partnership per la Sicurezza e la Prosperità (PSP) nordamericana consacra la creazione di una comunità economica di sicurezza fra gli Stati Uniti, il Canada e il Messico. Per il giurista Guy Mazet «la novità di questo accordo risiede nell’introduzione della nozione di sicurezza nella logica del processo economico e commerciale e nell’istituzionalizzazione del potere delle imprese e del settore privato che s’impongono sulle politiche pubbliche (3)».

Ci si può interrogare sulla legittimità giuridica di questo accordo negoziato ai margini dei Parlamenti nazionali. «Il settore privato passa attraverso il quadro internazionale per ottenere un’influenza più grande sulle politiche nazionali», constata Mazet.

Il cercatore americano Craig Van Grasstek ha stabilito che tutti i Paesi latino-americani che si sono aggregati alla Coalizione dei volonterosi (coalition of willing) in Iraq beneficiano di un TLC con gli Stati Uniti. È anche il caso in America Latina di coloro – (Colombia, Ecuador prima dell’elezione di Correas, Perù, Costa Rica, Guatemala – che hanno lasciato il Gruppo dei Venti (G20) (4). La pubblicazione, da parte del quotidiano El País, del processo verbale dei colloqui fra George W. Bush e José Maria Aznar (5), nel febbraio 2003, rivela la brutalità del ricatto del presidente americano nei confronti dei Paesi reticenti ad appoggiare un intervento militare USA in Iraq: «Ciò che è in gioco è la sicurezza degli Stati Uniti, dichiarava allora Bush. Lagos [il presidente cileno] deve sapere che il TLC con il Cile attende di essere confermato dal Senato. Un atteggiamento negativo potrebbe mettere a rischio la sua ratifica».

Un dominio più consensuale

Nello stesso modo Michelle Bachelet, pur essendo favorevole a una partnership strategica con gli Stati Uniti, è esposta a sanzioni, perché il Congresso cileno ha ratificato il trattato che crea la Corte penale internazionale (CPI) e non vuole garantire l’immunità dei soldati americani davanti a questa giurisdizione. L’aiuto militare potrebbe essere sospeso. Il Cile dovrebbe in questo caso pagare un importante somma al Pentagono per l’addestramento dei suoi piloti sul velivolo F-16 che ha appena acquistato. Brasile, Perù, Costa Rica, Ecuador, Bolivia e Uruguay hanno visto l’addestramento dei loro militari e i loro programmi di sostegno sospesi per le medesime ragioni. Il crollo sovietico ha contribuito a dare alla retorica democratica di Washington un grande credito. Sembrano passati i tempi nei quali, sulla scia di Ronald Reagan, Jeane Kirkpatrick polemizzava con Jimmy Carter accusandolo di aver parlato a vanvera di «diritti dell’uomo» e di avere così minato le basi di regimi autoritari non comunisti e quindi «più compatibili con gli interessi americani». Con lo sviluppo del liberalismo si è imposta la convinzione che la disciplina imposta dalla mondializzazione e dal mercato limiti ogni rischio di sbandata «populista». Come constata il ricercatore William I. Robinson, brandendo il vessillo della democrazia si può «penetrare nella società civile allo scopo di garantire il controllo sociale» con forme più consensuali di dominio. «Gli strateghi americani sono diventati buoni gramsciani, perché comprendono che il luogo reale del potere è la società civile (6)», purché tuttavia la si frammenti in gruppi e comunità con interessi divergenti.

In seno all’Organizzazione degli Stati americani (OEA) dopo gli attentati dell’11 settembre si è stabilito a poco a poco il consenso: la difesa dell’ordine democratico va di pari passo con il diritto d’intervento contro ogni «alterazione» di questo ordine. L’adozione (per acclamazione) della Carta democratica dell’OEA, nel 2001, ha riassunto questa ambizione sotto l’occhio vigile del Segretario americano alla Difesa Donald Rumsfeld. La salvaguardia della democrazia, ivi compreso l’uso della forza, non è un’idea nuova. Ciò che lo è di più è il fatto che ormai essa è condivisa da certi settori della sinistra in nome del «diritto d’ingerenza umanitaria».

Ma il ruolo dell’OEA è diventato più complesso a causa dei nuovi rapporti di forza sul continente. Il fatto che non tutte le minacce contro la democrazia sono trattate allo stesso modo provoca tensioni. Durante la 37a Assemblea generale dell’Organizzazione, tenutasi a Panama nel giugno 2007, il segretario di Stato americano Condoleeza Rice ha chiesto l’invio in Venezuela di una commissione d’inchiesta allo scopo di analizzare le ragioni del mancato rinnovo da parte del governo Chavez della concessione (giunta a scadenza) di Radio Caracas Television. Questa proposta fu respinta e la Rice, isolata, dovette lasciare la riunione.

Di fronte alle difficoltà delle relazioni multilaterali, l’amministrazione americana conta sui suoi intermediari: le organizzazioni non governative (ONG) e le fondazioni. L’Agenzia americana per lo sviluppo internazionale (United States Agency for International Development, Usaid) ne è il perno, specialmente per gli aiuti finanziari. Essa è «lo strumento più appropriato quando la diplomazia non basta o l’uso della forza militare presenta rischi», dichiarava l’8 maggio 2001 Andrew Natsios, il suo amministratore. Questa constatazione si adatta perfettamente al Venezuela, dove l’Usaid finanza numerose iniziative e dove i democracy builders («costruttori di democrazia») sono pronti a iniziare il lavoro. L’Istituto repubblicano internazionale (IRI), diretto da John McCain, candidato alla Casa Bianca, fa parte delle cinque Ong che destinano i fondi dell’Usaid a organizzazioni e programmi politici dell’opposizione venezuelana.

Così, dopo l’abortito colpo di Stato del 2002 contro Chavez, che Bush aveva ratificato, il Dipartimento di Stato ha creato a Caracas un ufficio della transizione, del quale uno degli obiettivi dichiarati è di «incoraggiare la partecipazione dei cittadini al processo democratico». La «resistenza non violenta» è presentata come il metodo più efficace per destabilizzare i governi, come preludio al loro rovesciamento.

Ci si può interrogare sul reale obiettivo della campagna di «difesa della libertà d’espressione» in Venezuela e sulla strumentalizzazione politica delle rivendicazioni separatiste dell’opposizione di destra che, in Bolivia, controlla quattro dipartimenti (Santa Cruz, Beni, Pando, Tarija) e blocca i lavori dell’Assemblea Costituente. «Una destra razzista, separatista, violenta e antidemocratica», commenta il vicepresidente boliviano Alvaro García Linera. All’atteggiamento assunto da Washington non è estraneo il fatto che i governi di Venezuela, Bolivia ed Ecuador abbiano ripreso il controllo delle loro risorse strategiche – petrolio e gas - , i due primi mediante nazionalizzazioni parziali.

Quanto a Cuba, mentre Bush ha ulteriormente rafforzato l’embargo, lo scenario della «transizione democratica» si prepara in una commissione incaricata di elaborare proposte – alcune delle quali mantenute segrete «per motivi di sicurezza nazionale» - nella prospettiva del dopo castrismo.

Trasferito da Panama a Miami nel 1998, il Comando Sud delle Forze armate americane (Southern Command, Southcom) è il principale dispositivo militare in America latina. Fra il Southcom e i governi latino-americani i contatti coinvolgono i militari escludendo gli interlocutori civili. Il Southcom definisce il programma da svolgere nella regione in modo unilaterale, senza informarne direttamente il Dipartimento di Stato. Poiché le agenzie per l’aiuto allo sviluppo o all’agricoltura sono state relegate in secondo piano – l’aiuto bilaterale è diminuito di un terzo in rapporto a quello dell’epoca della guerra fredda – ormai è il Dipartimento della Difesa che si prende a carico una parte importante dei programmi d’assistenza al subcontinente. Questo spostamento non è senza conseguenze, perché il budget della Difesa è molto meno controllato dal Congresso di quello degli aiuti all’’estero. Fra il 1997 e il 2007 gli Stati Uniti avranno dedicato 7,3 miliardi di dollari d’aiuti al complesso militare e alla polizia in America Latina 7).

Stati violenti ripiegati su loro stessi

In assenza di una definizione comune e universale del terrorismo il Consiglio Nazionale per la Sicurezza (CNS) non si cura di precisare: la guerra che gli è condotta è definita come «un’azione globale di durata incerta», «con una portata globale». In questa guerra asimmetrica i nemici sono diversi: islamici, contrabbandieri e narcotrafficanti rifugiati nella «tripla frontiera» fra Argentina, Brasile e Paraguay; «populisti radicali», in primo luogo in Venezuela e Bolivia; «organizzazioni terroriste» - Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC), Armata di liberazione nazionale (ELN) e paramilitari in Colombia; movimenti sociali. Ma anche gang di giovani, rifugiati, immigrati clandestini e altri terroristi «potenziali»…

Per i responsabili del Southcom gli interessi americani non sono più minacciati da una potenza straniera, perché il subcontinente è zona denuclearizzata priva di armi di distruzione di massa, la minaccia centrale emergente, secondo il generale James Hill, ex comandante del Southcom, «è il populismo radicale che mina il processo democratico e che restringe i diritti individuali piuttosto che proteggerli». Questo populismo radicale (incarnato da Hugo Chavez) si rafforzerebbe sfruttando le «profonde frustrazioni» provocate dal fallimento delle «riforme democratiche» e «istigando un sentimento antiamericano (8)».

Da parte sua il generale Bantz J. Craddock accusa i «demagoghi anti-USA, anti-globalizzazione e ostili al libero scambio» di essere responsabili dell’instabilità politica. Farvi fronte impone, a suo avviso, il rafforzamento delle forze di sicurezza della regione e l’aumento del budget militare del Southcom, perché «non è possibile lasciare che l’America latina e i Caraibi diventino un buco senza fondo nel quale Stati violenti, ripiegati su loro stessi, sono tagliati fuori dal mondo circostante dall’azione di governi populisti autoritari (9)».

Parallelamente a questo impegno del Pentagono è opportuno segnalare la presenza di consiglieri militari americani e il ruolo crescente che svolgono in Colombia gli operatori militari privati e civili non governativi della medesima nazionalità. Le missioni svolte da questi subappaltatori non possono essere eseguite dalle forze armate a causa dei limiti d’ingaggio delle truppe americane fissati dal Congresso. Per contro le compagnie di sicurezza private possono essere implicate in operazioni militari senza l’autorizzazione parlamentare.

Su un altro piano, si noti che la multinazionale bananiera americana Chiquita Brands è stata condannata, in settembre, da un tribunale di Washington a un’ammenda di 25 milioni di dollari per aver versato fra il 1997 e il 2004 1,7 milioni di dollari ai paramilitari delle Autodifese unite di Colombia (AUC), per assicurarsi la protezione delle sue piantagioni. Gli avvocati delle famiglie di centosettantatre persone assassinate nelle regioni bananiere hanno attaccato Chiquita. Ma con il governo americano è stato siglato un accordo che concede l’immunità ai dirigenti dell’impresa. «Sono sorpreso che con qualche milione di dollari negli Stati Uniti si possa comprare l’impunità», non ha potuto fare altro che constatare il ministro colombiano della Giustizia.

Sotto l’impulso di Washington gli eserciti latino-americani sono nuovamente implicati in compiti di polizia interna. Nel dicembre 2006 il presidente messicano Felipe Calderón ha inviato settemila soldati nello Stato di Michoacàn per combattere il traffico di droga. L’esercito interviene ugualmente nelle favelas di Rio de Janeiro; contro le gang di giovani (i maras) in America centrale; e per controllare l’immigrazione alla frontiera messicana. Questa militarizzazione della sicurezza pubblica non è cosa nuova, ma, favorita da una domanda di protezione di fronte alla crescita del crimine organizzato, essa contraddice la tendenza al ritorno dei militari nelle caserme che si poteva osservare dalla fine delle dittature in poi. Le organizzazioni per la difesa dei diritti umani sono preoccupate, perché i «fomentatori di disordini» sono sovente indigeni, giovani senza lavoro, disoccupati emarginati. L’intervento dell’esercito può stigmatizzare queste categorie sociali, risuscitare l’antico «nemico interno» e permettere così ai militari di ritrovare una capacità di pressione politica che ricorda un sinistro passato (10).

In questo contesto nell’ottobre 2007 Bush ha chiesto al Congresso di approvare il Piano Messico di aiuto alla lotta contro il narcotraffico. Il suo budget preventivi – 1.400 milioni di dollari – è destinato all’acquisto di materiale militare (elicotteri, strumenti per l’informazione) e all’addestramento congiunto degli eserciti di entrambi i Paesi. I pericoli di questa militarizzazione della lotta contro la droga saltano agli occhi nel momento in cui il Messico vive gravi conflitti sociali in numerosi Stati. Un complemento di bilancio di 50 milioni di dollari dovrebbe d’altra parte estendere la «guerra contro il narcotraffico» all’America centrale. La reazione del Congresso, a maggioranza democratica, è incerta.

Gli Stati Uniti da lungo tempo raccomandano caldamente una riforma del ruolo tradizionale delle forze armate latino-americane. L’accento viene posto sulla cooperazione regionale e la capacità di interoperare, mentre durante lòa guerra fredda l’aiuto militare era quasi esclusivamente destinato alla collaborazione bilaterale. Il Southcom ha come obiettivo la creazione di una forza di reazione rapida capace di fare fronte ai nuovi pericoli. Nel 2007, alla 37a Assemblea generale dell’OEA a Panama, la sig.ra Rice propose la formazione di un’alleanza di mutua difesa contro le minacce contro la sicurezza del Continente, allo scopo di sorvegliare la politica interna degli Stati membri e di assicurarsi che questi rispettino le norme democratiche. La proposta fu rifiutata, perché i Latino-americani non volevano avallare ciò che essi giudicavano essere uno stratagemma americano per punire il Venezuela (11).

Poiché Washington ha bisogno di essere presente sul terreno e d’avere alleati per legittimare il suo intervento, la costituzione di una forza regionale d’intervento appare incerta, tenuto conto degli attuali equilibri regionali. L’esempio di Haiti tuttavia potrebbe fare scuola. William LeoGrande ha analizzato il ruolo dell’amministrazione Bush nella caduta del presidente Jean-Bertrand Aristide (12). Se da una parte ritiene che la sua partenza forzata fu facilitata dalla deriva dell’ex prete, resta nondimeno il fatto che il suo rovesciamento è stato assicurato da ex membri di una forza paramilitare, il Fronte per l’avanzamento e il progresso in Haiti, con l’appoggio dell’amministrazione Bush. Una manipolazione del «diritto d’ingerenza» particolarmente ben riuscita…

Effettivamente ci si può stupire che certi eserciti del Continente partecipino alla Missione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione in Haiti (13), mentre le condizioni della partenza dell’ex presidente sono molto contestate: Dante Caputo, ex rappresentante del Segretario generale delle Nazioni Unite a Haiti ha posto in evidenza il ruolo della Central Intelligence Agency (CIA) nella caduta di Aristide (14). Una «forza di stabilizzazione» come questa rischia di servire come modello per l’avvenire.

Il Southcom dispone di numerosi altri strumenti di convinzione. Nel 2001, a Santiago del Cile, i Paesi membri dell’OSA hanno adottato la nozione di «sicurezza cooperativa», che favorisce la «trasparenza delle procedure militari» (15), mentre i regolari incontri dei ministri della difesa del Continente rafforzano la fiducia reciproca. L’internazionalizzazione delle operazioni armate, le esercitazioni navali comuni, l’addestramento da parte di Washington di diciassettemila militari latino-americani (cifra del 2005) e le vendite di armi creano legami.

A sinistra opinioni divergenti

Il ruolo dirigenziale del Pentagono e il peso del complesso militar-industriale sono stati confermati dalla revoca ufficiale dell’embrago sulle vendite di armi verso l’America latina, quando gli Stati Uniti erano già allora il più importante fornitore di equipaggiamenti di questo tipo nella regione. Una tale decisione rischia di avviare una corsa agli armamenti: la vendita di aerei da combattimento F-16 al Cile può portare altre forze armate della regione a volersi «modernizzare» (16). Il ministro della Difesa brasiliano ha annunciato che nel 2008 il Brasile intende aumentare di più del 50% il budget di spese e investimenti per le sue forze armate e questo benché il Paese intrattenga relazioni «consolidate e pacifiche» con tutti i Paesi delL’America del Sud.

Nei confronti di Washington la sinistra latino-americana è divisa fra sostenitori di un partenariato negoziato che costringa a limitare le riforme sociali e i difensori dell’integrazione politica latino-americana, della quale l’Alternativa bolivariana per le Americhe (ALBA) (17) sarebbe un primo passo. «L’imperialismo odierno non è il medesimo di trent’anni fa», constata Atilio A. Boron (18). Le politiche di sinistra devono tenere conto di questi cambiamenti sapendo che l’amministrazione americana non è disposta a tollerare la riappropriazione delle risorse nazionali, il rifiuto dei Trattati di Libero scambio e neppure l’indipendenza politica rivendicata dai governi boliviano, ecuadoriano e  venezuelano.

Jeanette Habel

(1) Foreign Affairs, Palm Coast (Floride), gennaio-febbraio2006

(2) Sotto forme diverse e con politiche molto differenti la sinistra è al potere nei seguenti Paesi: Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Cuba, Ecuador, Nicaragua, Uruguay, Venezuela. Sono ugualmente considerati come socialdemocratici i governi di Costa Rica, Guatemala, Panama e Perù (quest’ultimo porta avanti una politica molto conservatrice).

(3) Guy Mazet, Centre de recherche et de documentation sur 1’Amérique latine (Credal) - CNRS, Mimeo Colloque, lvey, avril 2007

(4) Nato nel 1999, il G20 raggruppa il G8 (Germania, Canada, Stati Uniti, Francia, Italia, Giappone, Regno Unito, Russia), i Paesi emergenti (Sud Africa, Arabia Saudita, Argentina, Australia, Brasile, Cina, Corea del Sud, India, Indonesia, Messico, Turchia) più l’Unione Europea in quanto tale.

(5) El País, Madrid, 27 settembre 2007.

(6) William 1. Robinson, « Democracy or polyarchy ? », NACLA Report on the Americas, vol. 40, n° 1, New York, gennaio-febbraio 2007.

(7) Washington Office on Latin America (Wola), «US military programs with Latin America 1997-2007 », Below the Radar, Center for Intemational Policy, Latin America Working Group Education Fund, marzo 2007.

(8) Général James Hill, House Armed Services Committee, Washington, 24 marzo 2004.

(9) « Posture statement of generai Bantz J. Craddock before the house armed services committee », Washington, 9 mars 2005.

(10) Lucia Dammert et John Bailey, « Militarización de la seguridad pública en América latina? », Foreign Affairs en espagnol, Palm Coast, avriljuin 2007.

(I I) William LeoGrande, « A poverty of imagination : George W. Bush’s policy in Latin America», Journal of Latin American Studies, Cambridge University Press, Royaume-Uni, 2007.

(12) Ibid.

(13) Forza delle Nazioni Unite, la Minustah (operante in Haiti) si trova sotto comando brasiliano e il delegato del Segretario Generale è un cileno; comprende militari brasiliani, uruguayani, cileni, argentini, peruviani ed ecuadoriani.

(14) Le Monde, 18 novembre 2004.

(15) Cf Richard Narich, « Tendances en matière de sécurité en Amérique latine », et Cristina López, « La politique extérieure des Etats-Unis envers I’Amérique latine », Défense nationale et sécurité collettive, Paris, novembre 2007.

(16) Mentre vendono F-16 al Cile, gli Stati Uniti al contrario privano Caracas di pezzi di ricambio per questi mdesimi apparecchi, in uso presso le forze aereee venezuelane.

(17) Bolivie, Cuba. Nicaragua, Venezuela.

(18) Atilio A. Boron Empire et impérialisme, C. Harmattan, Paris, 2003.

Testo originale (come scannerizzato):

L’ «arrière-cour» s’émancipe

Washington a-t-il perdu l’Amérique latine ?
di Jeanette Habel * Universitaire, Institut des hautes études d’Amérique latine, Paris.

Le Monde Diplomatique, décembre 2007

Pourquoi 1 ’ambassade américaine à Caracas a-t-elle ouvert une série de « consulats satellites » dans cinq Etats du Venezuela producteurs d ’hydrocarbures ? Pourquoi le Pentagone tente-t-il de réactiver l’aéroport militaire Mariscal-Estigarribia, dans le Chaco paraguayen, à quelques dizaines de minutes de vol de la Bolivie ? Depuis la fin des années 1990, Washington est bousculé en Amérique latine. Le projet de grand marché de l’Alaska à la Terre de Feu, la Zone de libre-échange des Amériques, n’a pas abouti. En lieu et place sont apparus des gouvernements de gauche, modérés ou radicaux, une alliance énergétique Venezuela-Bolivie-Argentine, une Banque du Sud faisant pièce au Fonds monétaire international et à la Banque mondiale, l’Alternative bolivarienne des Amériques (Bolivie, Cuba, Nicaragua, Venezuela), l’ébauche d’un « socialisme du XXI siècle » à Caracas, La Paz et Quito... Washington tente d’endiguer cette émancipation en promouvant de nombreux traités de libre commerce, en légitimant un « droit d’ingérence démocratique » et en renforçant la coopération militaire au nom de la guerre contre le terrorisme et le narcotrafic, en défense de... la démocratie de marché. PAR JANETTE HABEL *

«L AMÉRIQUE LATINE est un continent perdu. » L; affirmation est de Moises Naim, directeur de la revue Foreign Policy. Moins catégorique, le président de l’lnter-American Dialogue, Peter Hakim, n’en formule pas moins la méme inquiétude lorsqu’il se demande : « Washington [est-il] en train de perdre l’Amérique latine (1) ? » Depuis une décennie, les Etats-Unis ont essuyé de nombreux revers dans cette partie du monde. Le rejet des politiques néolibérales a porté au pouvoir des coalitions de gauche, radicales ou modérées, marquant à des degrés divers leur indépendance. En avril 2002, le coup d’Etat contre le président vénézuélien Hugo Chàvez a échoué. Depuis, la force du mouvement indigène a porté M. Evo Morales au pouvoir en Bolivie malgré les pressions du département d’Etat. Bien qu’exerçant des pressions de toute sorte, les Etats-Unis n’ont pas davantage pu empécher l’élection de M. Daniel Ortega au Nicaragua ou, en Equateur, celle de M. Rafael Correa (2). Alors, intervenir de façon plus musclée ? L"échec de l’expédition irakienne rend peu probable, au moins pour un temps, un engagement militaire direct sur un autre front.

Pourtant, en dépit du rejet croissant dont il est 1’objet, l’essentiel du cadre néolibéral demeure en piace. Certes, lancée en grande pompe par M. William Clinton, lors d’un Sommet des Amériques tenu à Miami, fin 1994, la Zone de libre-échange des Amériques (ZLEA, en espagnol ALCA), grand marché américain prévu de l’Alaska à la Terre de Feu, n’a pu voir le jour. Mais, d’après M. Carlos Gutierrez, secrétaire américain au commerce, les entreprises américaines ont investi 353 milliards de dollars en Amérique latine et dans les Caraibes en 2005. Leurs filiales y emploient un million six cent mille personnes. En 2006, les exportations américaine, ont augmenté de 12,7 % et les importations de 10,5 %.

L’échec de la ZLEA ne doit pas masquer les progrès des accords bilatéraux ou multilatéraux, en particulier à travers les traités de libre commerce (TLC) (lire I’article de Nora Garita page 11). Car l’attrait du marché américain constitue un atout puissant : « Notre pays doit trouver dans les relations avec tous les pays du monde, et particulièrement avec les Etats-Unis, la force que sa taille ne lui donne pas », affirme ainsi le ministre uruguayen de l’économie, séduit par un TLC avec les Etats-Unis, dont l’une des conséquences serait un conflit avec le Marché commun du Sud (Mercosur), ce qui ne déplairait pas à Washington. Fussent-elles classées au centre gauche, les élites latino-américaines sont promptes à capituler devant l’offensive néolibérale.

Au fil du temps, le champ politique des TLC s’est élargi. Une nouvelle étape dans l’intégration continentale – version nord-américaine – a été franchie le23 mars 2005 à Waco (Texas). Le Partenariat pour la sécurité et la prospérité (PSP) nord-américain consacre la création d’une communauté économique de sécurité entre les Etats-Unis, le Canada et le Mexique. Pour le juriste Guy Mazet, « la nouveauté de cet accord réside dans l’introduction de la notion de sécurité dans la logique des processus économiques et commerciaux, et dans 1’institutionnalisation du pouvoir des entreprises et du secteur privé s’imposant aux politiques publiques (3) ».

On peut s’interroger sur la légitimité juridique de cet accord négocié en marge des parlements nationaux. « Le secteur privé passe par le cadre international pour obtenir une influente plus grande sur les politiques nationales », constate Mazet.

Le chercheur américain Craig Van Grasstek a établi que tous les pays latinoaméricains ayant rejoint la coalition des volontaires (coalition of the willing) en Irak bénéficient d’un TLC avec les Etats-Unis. C’est également le cas de ceux qui -– la Colombie, l’Equateur avant l’élection de M. Correa, le Pérou, le Costa Rica, le Guatemala –, en Amérique latine, ont quitté le groupe des Vingt (G20) (4). La publication par le journal El País du procès-verbal des conversations entre MM. George W. Bush et José Maria Aznar (5), en février 2003, révèle la brutalité du chantage du président américain à l’égard des pays réticents à appuyer une intervention militaire en Irak. « Ce qui est en jeu, c’est la sécurité des Etats-Unis, déclarait alors M. Bush. Lagos [le président chilien] doit savoir que le TLC avec le Chili attend sa confirmation au Sénat. Une attitude négative pourrait mettre en danger sa ratification. »

Une domination plus consensuelle

De MÉME, Michelle Bachelet, pourtant partisane d’un partenariat stratégique avec Washington, est exposée à des sanctions, au motif que le Congrès chilien a ratifié le traité créant la Cour pénale internationale (CPI) et ne veut pas garantir l’immunité des soldats américains devant cette juridiction. L’aide militaire pourrait étre suspendue. Le Chili devrait alors régler une somme importante au Pentagone pour entrainer ses militaires au pilotage des F-16 qu’il vient d’acquérir. Le Brésil, le Pérou, le Costa Rica, l’Equateur, la Bolivie et l’Uruguay ont vu leur entrainement militaire et leurs programmes d’aide suspendus pour les mémes raisons.

L’effondrement soviétique a contribué à donner à la rhétorique démocratique de Washington un grand crédit. Le temps semble révolu où, dans le sillage de Ronald Reagan, Jeane Kirkpatrick polémiquait contre M. James Carter en l’accusant d’avoir, en parlant de « droits de l’homme» à tort et à travers, miné l’assise de régimes autoritaires non communistes pourtant «plus compatibles avec les intéréts américains ». Avec l’essor du libéralisme, la conviction que la discipline imposée par la mondialisation et le marché limite tout risque de dérapage « populiste » s’est imposée. Comme le constate le chercheur William I. Robinson, on peut, en brandissant la bannière de la démocratie, « pénétrer la société civile afin de garantir le contróle social » par des formes de domination plus consensuelles. « Les stratèges américains sont devenus de bons gramsciens comprenant que le lieu réel du pouvoir est la société civile (6) », à condition toutefois de la fragmenter en groupes et en communautés aux intéréts divergents.

Un consensus s’est établi peu à peu au sein de l’Organisation des Etats américains (OEA) après les attentats du Il-Septembre : la défense de l’ordre démocratique va de pair avec le droit d’intervention contre toute « altération » de cet ordre. L’adoption (par acclamations) de la charte démocratique de l’OEA, en 2001, a résumé cette ambition sous l’eeil vigilant du secrétaire américain à la défense Donald Rumsfeld. La préservation de la démocratie, y compris par la force, n’est pas une idée nouvelle. Ce qui l’est davantage, c’est qu’elle est désormais partagée par certains secteurs de la gauche au nom du «droit d’ingérence humanitaire ».

Mais le róle de l’OEA est devenu plus complexe du fait des nouveaux rapports de forces sur le continent. Le fait que toutes les menaces envers la démocratie ne sont pas traitées à égalité provoque des tensions. Lors de la trente-septième assemblée générale de 1’organisation, réunie au Panamà en juin 2007, la secrétaire d’Etat américaine Condoleezza Rice a demandé l’envoi au Venezuela d’une commission d’enquéte afin d’analyser les raisons du non-renouvellement par le gouvernement de M. Chàvez de la concession (arrivée à échéance) de Radio Caracas Televisión (RCTV). Cette proposition fut rejetée, et la secrétaire d’Etat, isolée, dut quitter la réunion.

Face aux difficultés des relations multilatérales, l’administration américaine compte sur ses propres relais : les organisations non gouvernementales (ONG) et les fondations. L’Agente américaine pour le développement international (United States Agency for International Development, Usaid) en est le pivot, notamment pour les aides financières. Elle est « l’instrument le plus approprié lorsque la diplomatie est insuffisante ou que l’utilisation de la force militaire présente des risques », déclarait M. Andrew Natsios, son administrateur, le 8 mai 2001. Ce constat l’applique parfaitement au Venezuela, où l’Usaid finance de nombreuses initiatives et où les democracy builders (« constructeurs de démocratie ») sont à pied d’oeuvre. L’Institut républicain international (IRI), dirigé par M. John McCain, candidat à la Maison Bianche, fait partie des cinq ONG qui attribuent les fonds de l’Usaid à des organisations et à des programmes politiques de l’opposition vénézuélienne.

Ainsi, après le coup d’Etat avorté de 2002 contre M. Chàvez, que M. Bush avait entériné, le département d’Etat a créé à Caracas un bureau de la transition dont l’un des objectifs déclarés est d’« encourager la participation des citoyens au processus démocratique ». La « résistance non violente » est présentée comme la méthode la plus efficace pour déstabiliser des gouvernements, prélude à leur renversement.

On peut s’interroger sur l’objectif réel de la campagne de «défense de la liberté d’expression » au Venezuela et sur 1’instrumentalisation politique des revendications séparatistes de l’opposition de droite qui, en Bolivie, contrôle quatre départements (Santa Cruz, Beni, Pando, Tarija) et bloque les travaux de l’Assemblée constituante. « Une droite raciste, séparatiste, violente et antidémocratique », commente le vice-président bolivien Alvaro García Linera. Que les gouvernements du Venezuela, de la Bolivie et de l’Equateur aient repris le contrôle de leurs ressources stratégiques – pétrole et gaz –, pour les deux premiers à travers des nationalisations partielles, n’est pas étranger à l’attitude de Washington.

Quant à Cuba, alors que M. Bush a encore renforcé l’embargo, le scénario de la «transition démocratique » se prépare dans une commission chargée d’élaborer des propositions – dont certaines sont tenues secrètes «pour des raisons de sécurité nationale » – dans la perspective de l’après-castrisme.

Transféré du Panamà à Miami en 1998, le commandement Sud de l’armée des Etats-Unis (Southern Command, Southcom) est le principal dispositif militaire en Amérique latine. Entre le Southcom et les gouvernements latinoaméricains, les contacts impliquent des militaires et excluent les interlocuteurs civils. Le Southcom définit l’agenda de la région de manière unilatérale, sans en informer directement le département d’Etat. Les agences pour l’aide au développement ou à l’agriculture ayant été reléguées au second plan – l’aide bilatérale a diminué d’un tiers par rapport à ]’époque de la guerre froide –, c’est le département de la défense qui prend désormais en charge une part importante des programmes d’assistance au sous-continent. Le transfert n’est pas neutre, le budget de la défense étant beaucoup moins contròlé par le Congrès que ceux de l’aide étrangère. Entre 1997 et 2007, les Etats-Unis auront consacré 7,3 milliards de dollars d’aide militaire et policière à l’Amérique latine (7).

Des Etats violents repliés sur eux-mémes

EN L’ABSENCE de définition commune et universelle du terrorisme, le Conseil national de sécurité (CNS) ne s’embarrasse pas de précisions : la guerre qui lui est menée est définie comme « une entreprise globale d’une durée incertaine », « ayant une portée globale ». Dans cette guerre asymétrique, les ennemis sont divers : islamistes, contrebandiers et narcotrafiquants réfugiés dans la «triple frontière» entre ]’Argentine, le Brésil et le Paraguay ; « populistes radicaux », en premier lieu au Venezuela et en Bolivie ; « organisations terroristes » – Forces armées révolutionnaires de Colombie (FARC), Armée de libération nationale (ELN) et paramilitaires en Colombie ; mouvements sociaux. Mais aussi gangs de jeunes, réfugiés, immigrés clandestins, et autres terroristes « potentiels »...

Pour les responsables du Southcom, les intéréts américains ne sont plus menacés par une puissance étrangère, le souscontinent étant une’ zone dénucléarisée exempte d’armes de destruction massive. La menace émergente centrale, selon le général James Hill, ancien commandant du Southcom, «c’est le populisme radical qui mine le processus démocratique et qui restreint les droits individuels au lieu de les protéger ». Ce populisme radica] (incarné par M. Chàvez) se renforcerait en exploitant les «frustrations profondes » provoquées par l’échec des «réformes démocratiques » et en « stimulant un sentiment antiaméricain (8) ».

De son còté, le général Bantz J. Craddock accuse les « démagogues anti-Etats-Unis, antiglobalisation et hostiles au libre-échange » d’étre responsables de 1’instabilité politique. Y faire face impose, selon lui, de renforcer les forces de sécurité de la région et d’augmenter le budget militaire du Southcom, car « il n ’est pas possible de laisser l’Amérique latine et les Caraibes devenir un trou perdu où des Etats violents, repliés sur eux-mémes, sont coupés du monde qui les entoure par des gouvernements populistes autoritaires (9) ».

Parallèlement à cet engagement du Pentagone, il convient de signaler la présence de conseillers militaires américains et le ròle croissant que jouent en Colombie des opérateurs militaires privés et des acteurs civils non étatiques de méme nationalité. Les missions remplies par ces sous-traitants ne peuvent étre exécutées par les forces armées en raison des limites à l’engagement des troupes américaines fixées par le Congrès. Les compagnies de sécurité privées peuvent en revanche étre impliquées dans des opérations militaires sans son accord.

Dans un autre registre, on notera que la multinationale bananière américaine Chiquita Brands a été condamnée, en septembre, par un tribunal de Washington, à une amende de 25 millions de dollars pour avoir versé 1,7 million de dollars aux paramilitaires des Autodéfenses unies de Colombie (AUC) entre 1997 et 2004 afin d’assurer la protection de ses plantations. Les avocats des familles de cent soixante-treize personnes assassinées dans les régions bananières ont attaqué Chiquita. Mais un accord a été négocié avec le gouvernement américain, exemptant de poursuites les dirigeants de l’entreprise. « Je suis surpris que, pour quelques millions de dollars, on puisse s’acheter l’impunité aux Etats-Unis », n’a pu que constater le ministre colombien de la justice.

Sous l’impulsion de Washington, les armées latino-américaines sont de nouveau impliquées dans des tâches de police intérieure. En décembre 2006, le président mexicain Felipe Calderón a envoyé sept mille soldats dans 1’Etat de Michoacàn pour combattre le trafic de drogue. L’armée intervient également dans les favelas de Rio de Janeiro, au Brésil ; contre les gangs de jeunes (les maras), en Amérique centrale ; et pour contr61er l’immigration à la frontière mexicaine. Cette militarisation de la sécurité publique n’est pas nouvelle, mais, favorisée par une demande de protection devant la montée du crime organisé, elle contredit la tendance au retour des militaires dans les casernes qu’on observait depuis la fin des dictatures. Les organisations de défense des droits humains sont préoccupées, les « fauteurs de troubles » étant souvent des indigènes, des jeunes sans travail, des chómeurs marginalisés. L’intervention de l’armée peut stigmatiser ces catégories sociales, ressusciter le vieil « ennemi intérieur » et ainsi permettre aux militaires de retrouver une capacité de pression politique rappelant un sinistre passé (10).

C’est dans ce contexte qu’en octobre 2007 M. Bush a demandé au Congrès d’approuver le plan Mexico d’aide à la lutte contre le narcotrafic. Son budget prévisionnel – 1 400 millions de dollars – est destiné à l’achat de matériel militaire (hélicoptères, moyens de renseignement) et à l’entrainement conjoint des armées des deux pays. Les dangers de cette militarisation de la lutte antidrogue sautent aux yeux au moment où le Mexique connait de graves conflits sociaux dans plusieurs Etats. Un complément budgétaire de 50 millions de dollars devrait par ailleurs étendre la « guerre contre le narcotrafic » à l’Amérique centrale. La réaction du Congrès, à majorité démocrate, est incertaine.

Les Etats-Unis préconisent depuis longtemps une réforme du rôle traditionnel des forces armées latino-américaines. L’accent est mis sur la coopération régionale et l’interopérabilité, alors que, pendant la période de la guerre froide, l’aide militaire était presque exclusivement destinée à la collaboration bilatérale. Le Southcom a pour objectif de créer une force de réaction rapide capable de faire face aux nouveaux périls. En 2007, lors de la réunion de la trente-septième assemblée générale de l’OEA au Panamà, M’^` Rice proposa la formation d’une alliance de défense mutuelle contre les menaces envers la sécurité du continent afin de surveiller la politique intérieure des Etats membres et de s’assurer qu’ils respectent les normes démocratiques. La proposition fut rejetée, les Latino-Américains ne voulant pas cautionner ce qu’ils jugeaient être un stratagème américain pour punir le Venezuela (Il).

Washington ayant besoin d’être présent sur le terrain et d’avoir des alliés pour légitimer son intervention, la mise en place d’une force d’intervention régionale apparait incertaine compte tenu des actuels équilibres régionaux. L’exemple d’Haiti pourrait cependant faire école. William LeoGrande a analysé le rôle de l’administration Bush dans la chute du président Jean-Bertrand Aristide (12). S’il estime que son départ forcé fut facilité par la dérive de l’ancien prêtre, il n’en reste pas moins que ce sont d’anciens membres d’une force paramilitaire, le Front pour l’avancement et le progrès en Haiti (FRAPH), qui, avec l’appui de l’administration Bush, ont assuré son renversement. Une manipulation du « droit d’ ingérence » particulièrement réussie... On peut en effet s’étonner que certaines armées du continent participent à la Mission des Nations unies pour la stabilisation en Haiti (Minustah) (13) alors que les conditions du départ forcé de l’ex-président sont très contestées : M. Dante Caputo, ancien représentant du secrétaire général de 1’Organisation des Nations unies (ONU) en Haiti, a mis en cause le ròle de la Centrai Intelligence Agency (CIA) dans la chute de M. Aristide (14). Une « force de stabilisation » telle que la Minustah risque de servir de modèle pour l’avenir.

Le Southcom dispose de nombreux autres instruments pour convaincre. Les pays membres de l’OSA ont adopté la notion de «sécurité coopérative », en 2001, à Santiago du Chili. Elle favorise la « transparence des procédures militaires» (15). Et les rencontres régulières des ministres de la défense du continent (DMA) renforcent la confiance réciproque. L’internationalisation des opérations armées, les exercices navals communs, l’entrainement par Washington de dix-sept mille militaires latino-américains (chiffre de 2005) et les ventes d’armes créent des liens.

Opinions divergentes à gauche

LE RÓLE dirigeant du Pentagone et le poids du complexe militaro-industriel ont été confirmés par la levée officielle de l’embargo sur les ventes d’armes vers 1Amérique latine, alors que les Etats-Unis étaient déjà le plus important fournisseur d’équipements de ce type de la région. Une telle décision risque d’entrainer une course aux armements : la vente des avions de combat F-16 au Chili peut conduire d’autres armées de la région à vouloir se « moderniser » (16). Le ministre de la défense brésilien a annoncé qu’en 2008 le Brésil augmenterait de plus de 50 % le budget des dépenses et investissements de ses forces armées, et ce bien que le pays entretienne des relations « consolidées et pacifiques » avec tous les pays d’Amérique du Sud.

Face à Washington, la gauche latinoaméricaine est partagée entre partisans d’un partenariat négocié qui contraint à limiter les réformes sociales et défenseurs de l’intégration politique latino-américaine dont l’Alternative bolivarienne pour les Amériques (ALBA) (17) serait un premier pas. « L’impérialisme d’aujourd ’hui n ’est pas le méme que celui d’il y a trente ans », constate Atilio A. Boron (18). Les politiques de gauche doivent tenir compte de ces changements tout en sachant que l’administration américaine n’est pas préte à tolérer la réappropriation des ressources nationales, le rejet des traités de libre-échange ni l’indépendance politique que revendiquent les gouvernements boli-vien, équatorien et vénézuélien.

JANETTE HABEL.

(1) Foreign Affairs, Palm Coast (Floride), janvierfévrier 2006

(2) Sous des formes diverses, et avec des politiques très différentes, la gauche est au pouvoir dans les pays suivants : Argentine, Bolivie, Brésil, Chili, Cuba, Equateur, Nicaragua, Uruguay, Venezuela. Sont également considérés comme sociaux-démocrates les gouvernements du Costa Rica, du Guatemala, du Panama et du Pérou (ce dernier menant une politique très conservatrice).

(3) Guy Mazet, Centre de recherche et de documentation sur 1’Amérique latine (Credal) - CNRS, Mimeo Colloque, lvey, avril 2007

(4) Né en 1999, le G20 regroupe le G8 (Alle-magne, Canada, Etats-Unis, France, Italie, Japon, Royaume-Uni, Russie), des pays émergents (Afrique du Sud, Arabie saoudite, Argentine, Australie, Brésil, Chine, Corée du Sud, lnde, Indonésie, Mexique, Turquie), plus I’Union européenne en tant que telle.

(5) El País, Madrid, 27 septembre 2007.

(6) William 1. Robinson, « Democracy or polyarchy ? », NACLA Report on the Americas, vol. 40, n° 1, New York, janvier-février 2007.

(7) Washington Office on Latin America (Wola), «US military programs with Latin America 1997-2007 », Below the Radar, Center for Intemational Policy, Latin America Working Group Education Fund, mars 2007.

(8) Général James Hill, House Armed Services Committee, Washington, 24 mars 2004.

(9) « Posture statement of generai Bantz J. Craddock before the house armed services committee », Washington, 9 mars 2005.

(10) Lucia Dammert et John Bailey, « Militarización de la seguridad pública en América latina? », Foreign Affairs en espagnol, Palm Coast, avriljuin 2007.

(I I) William LeoGrande, « A poverty of imagination : George W. Bush’s policy in Latin America», Journal of Latin American Studies, Cambridge University Press, Royaume-Uni, 2007.

(12) Ibid.

(13) Force des Nations unies, la Minustah se trouve sous commandement brésilien, et le délégué du secrétaire général est un Chilien ; elle compre desmilitaires brésiliens. uruguayens, chiliens, argentins, péruviens, équatoriens.

(14) Le Monde, 18 novembre 2004.

(15) Cf Richard Narich, « Tendances en matière de sécurité en Amérique latine », et Cristina López, « La politique extérieure des Etats-Unis envers I’Amérique latine », Défense nationale et sécurité collettive, Paris, novembre 2007.

(16) S’ils vendent des F-16 au Chili, les Etats-Unis privent en revanche Caracas de pièces de rechange pour ces mémes appareils, utilisés dans l’armée de l’air vénézuélienne.

(17) Bolivie, Cuba. Nicaragua, Venezuela.

(18) Atilio A. Boron Empire et impérialisme, CHarmattan, Paris, 2003.



Martedì, 15 gennaio 2008