Stampa estera
Opus Dei, dalla leggenda nera alla normalizzazione mediatica

Un’inchiesta di Jérome Anciberro


Le Monde Diplomatique, marzo 2008, pagg. 20-21 (traduzione dal francese di José F. Padova)


RAFFIGURATA sotto gli aspetti più neri da romanzi come «Il codice Da Vinci», assimilata al regime franchista [in Spagna, 1936-1975] e alle dittature dell’America del Sud, con reputazione di grande influenza, l’Opus Dei affascina e inquieta da decenni.
Tuttavia si assiste a una «normalizzazione» progressiva dell’organizzazione, grazie a un’abile campagna di comunicazione. Tanto più che, dopo la canonizzazione  del suo fondatore José Maria Escrivá de Balaguer da parte di Giovanni Paolo II nel 2002, l’irrigidimento della Chiesa Cattolica a poco a poco rende banali il messaggio e le pratiche dell’Opus Dei.

Camino 999… Il titolo è indiscutibilmente efficace. Jean-Jacques Reboux, il fondatore e direttore delle giovani edizioni Après la lune, non nasconde la sua soddisfazione a quasi un anno dall’uscita del libro: «Si rifletteva sul titolo da dare a questo romanzo e la soluzione è arrivata di colpo: Camino si riferisce direttamente all’opera più nota di Escrivá de Balaguer, il fondatore dell’Opus Dei. Questo libro d’edificazione religiosa conta 999 sentenze. Se si capovolgono le cifre si ottiene 666, il numero della Bestia, così come compare nell’Apocalisse. Per un “giallo”, francamente, era piuttosto bizzarro e non suonava affatto male…».

Forse è questo che, nella primavera del 2007, ha attirato l’attenzione dell’Opus Dei su questo romanzo di Catherine Fradier, autrice nota nella piccola cerchia del «giallo» francofono, la cui notorietà non giungeva senza dubbio fino agli uffici di questa organizzazione, perfettamente integrata nella Chiesa cattolica, che in Francia conta un poco più di novecento membri (ottantamila nel mondo) e che non ha nulla di amichevole per la letteratura. Camino 999 offre un’immagine particolarmente poco brillante dell’Opus Dei («Opera di Dio» in latino), che vi appare come un’organizzazione mafiosa che non esita a ricorrere all’assassinio per proteggere i suoi affari. Chiamati in giudizio dalla Prelatura dell’Opus Dei in Francia, che rimprovera a questo romanzo di mescolare elementi reali (nomi di responsabili dell’Opera, per esempio) a quelli di fantasia e di essere quindi colpevole di diffamazione nei suoi confronti, Fradier e Reboux non sono stati condannati: la querela è stata respinta dai magistrati della 17° Camera correzionale del Tribunale d’appello di Parigi, il 21 novembre 2007, a causa della mancanza di precisione delle sue accuse. «Questa questione non è stata giudicata fino in fondo», si rammarica Arnaud Gency, numerario (1) e responsabile della comunicazione per la prelatura dell’Opus Dei in Francia. «Bisogna che la gente capisca che non si può continuare a dire qualsiasi cosa su di noi». A buon intenditor…

Eppure, a parte i Gesuiti nei secoli precedenti, nessuna organizzazione cattolica è mai stata oggetto di libri, pamphlet, articoli o reportage quanto l’Opus Dei (2). La lista degli addebiti tradizionalmente formulati a suo carico riproduce quasi tutta quella delle turpitudini immaginabili da parte di spiriti illuminati: manipolazione mentale, crudeltà psicologica contro i suoi membri (3), rigorismo (o stupidità) intellettuale, sado-masochismo penitenziale, lobbying d’ispirazione reazionaria, integralismo fascista o ultraliberista secondo i casi, infiltrazione nei luoghi di potere ecclesiastici, politici ed economici, con disegni tanto più oscuri quanto meno sono definiti (avidità finanziaria, collusioni mafiose, …).

Anche la discrezione di questa organizzazione ha contribuito ad alimentare questo fascino. Fino al 1982, data alla quale Giovanni Paolo II ha elevato l’Opus Dei al rango di prelatura personale, i suoi membri erano pregati di non rivelare la loro appartenenza. Tuttavia, secondo i suoi statuti, l’Opera non mira ad altro se non ad aiutare i suoi fedeli a santificarsi «nella vita ordinaria» attraverso «l’esercizio delle virtù cristiane». È in mezzo al mondo, in particolare nel lavoro, concepito come una vera e propria preghiera, che si presume i suoi fedeli siano tenuti a vivere la «spiritualità laica» che è loro specifica. Nulla esteriormente li contraddistingue dai propri concittadini.

In questo contesto di segretezza la denuncia della presunta appartenenza all’Opus Dei è uno sport applicato assiduamente. Così in Francia i partecipanti a discussioni pubbliche su soggetti non religiosi in luoghi effettivamente gestiti dall’organizzazione, come il Centre Garnelles a Parigi, possono portarsi dietro per anni l’etichetta «Opus Dei» o «vicino all’Opus Dei». In questo modo si sono “opussati” i grandi dirigenti Claude Bébéar, Didier Pineau-Valencienne e Louis Schweitzer (un protestante!). Ci si guarderà bene dal fare altrettanto con l’ex primo ministro Jean-Pierre Raffarin, il filosofo Pierre Manent o – più spassoso – l’animatore televisivo Michel Drucker, che pure hanno partecipato recentemente a conversazioni di questo tipo.

L’ex ministro delle Finanze Hervé Gaymard a chi voglia domandarglielo direttamente risponde assicurando di non essere mai stato membro dell’Opus Dei, contrariamente alle voci correnti. L’attuale ministro degli Alloggi e delle Concentrazioni urbane, Cristiane Boutin, non ha nemmeno lei bisogno di farne parte per manifestare le sue convinzioni religiose e garantire circa i suoi impegni verso il Vaticano (4). Bisognerà ben risolversi: se esistono esempi famosi di ministri, alti funzionari o dirigenti membri dell’Opera (5), il fatto di occupare un posto di potere professando un cattolicesimo intransigente non è di per sé una caratteristica comprovante l’appartenenza all’organizzazione.

Per molto tempo questa ha lasciato che si costruisse la sua «leggenda nera», dando l’impressione di non preoccuparsene troppo. Inserendosi così in una cultura cattolica segnata dalla diffidenza verso i media e dal terrore per la pubblicità (con la notevole e recente eccezione di Giovanni Paolo II, che fu un maestro in materia) la prelatura assicurava un servizio minimo in materia di comunicazione. La beatificazione nel 1992 del fondatore dell’Opera, José Maria Escrivá de Balaguer (morto nel 1975), primo passo verso la canonizzazione, risulta difficile, almeno sotto l’aspetto mediatico. Le prese di posizione ostili si moltiplicano. All’interno della Chiesa non si trovano quasi vescovi che sostengono attivamente questa iniziativa. Mentre la polemica si gonfia, i servizi di comunicazione dell’Opera si accontentano di contattare qualche giornalista per proporre informazioni sulla vita e le opere di Escrivá de Balaguer. Con risultati quasi nulli. Il grande pubblico s’informa attraverso articoli della stampa e servizi televisivi generalmente molto critici.

«Siamo rimasti sulla difensiva. Dopo la beatificazione abbiamo valutato ciò che era successo. Ne è venuto fuori che ci era necessario essere molto più professionali», ammette Juan Manuel Mora, direttore della comunicazione dell’Opera dal 1991 al 2006. L’organizzazione decide allora di operare in questo campo una rivoluzione. L’Opus Dei dispone di un vivaio di competenti: professionisti che esercitano il loro mestiere nella società (specialisti della comunicazione, giornalisti, ecc.), insegnanti e ricercatori della facoltà di Comunicazione dell’Università di Navarra, creata dall’Opus Dei nel 1952. Si applica una nuova strategia, fondata sull’ «attività preventiva»: comunicare ancor prima che si scatenino le polemiche.

È proprio ciò che è stato fatto per preparare la campagna di stampa circa la canonizzazione del fondatore, che viene annunciata per il 2002. L’Opus Dei contatta i giornalisti molto in anticipo, propone ausilio e informazioni, cura i rapporti personali con i suoi interlocutori e tenta qualche operazione «porte aperte» nei suoi centri o nelle sue residenze per studenti. Il risultato è molto positivo. La polemica sul fondatore ha bensì avuto luogo, ma la sua intensità non ha niente a che vedere con quella del 1992 e degli anni immediatamente successivi. E poi, in seno alla Chiesa, l’Opus Dei beneficia anche di sostegni importanti. In dieci anni il cattolicesimo progressista ha perduto una larga parte della sua audience. Ora, erano proprio i cattolici critici che alimentavano con le loro informazioni la stampa. Infine, la canonizzazione del fondatore, che equivale a una specie di certificato di garanzia, rende ormai più difficili le critiche all’interno dell’istituzione [ecclesiastica]. Esse esistono sempre, ma si fanno più sommesse o emanano dai margini della Chiesa.

Dettagli gustosi per la stampa
La strategia quindi è già ben messa a punto quando dilaga l’ondata de Il codice Da Vinci, il romanzo di Dan Brown pubblicato nel 2003 dall’editore americano Doubleday, che mette sotto accusa l’Opera. In un primo tempo la prelatura si limita a prevenire e a rispondere a tutte le richieste d’informazioni, sforzandosi di evitare la polemica. L’annuncio dell’uscita della versione filmata del romanzo da parte di Ron Howard (Sony Pictures) la spinge tuttavia a mettere in atto una strategia di crisi. Le decisioni vengono prese in occasione di una riunione a Roma, il 10 gennaio 2006, dei responsabili degli uffici informazioni dell’Opus Dei di New York, Londra, Parigi, Madrid, Colonia, Lagos e Montreal, durante la quale si parla di cambiare «l’amarezza dei limoni» (gli attacchi del Codice Da Vinci) in «limonata» (6).

I servizi di comunicazione dell’organizzazione nel mondo intero raddoppiano i loro sforzi, rispondono praticamente a tutte le sollecitazioni mediatiche e affinano le loro argomentazioni riguardo a questioni che quasi tutte girano intorno alla «leggenda nera» che il Codice Da Vinci riprende. Molto presto l’Opus Dei mette in rete il suo nuovo sito Internet, disponibile in ventidue lingue, che il semiologo e scrittore Umberto Eco arriva fino a raccomandare (7), quando si è stancato delle continue sollecitazioni che gli si fanno circa la veridicità del Codice Da Vinci. I grandi media consacrano all’Opera dei dossier, quando non la mettono addirittura in «prima pagina» (Time, Le Figaro Magazine…), le televisioni si precipitano nelle residenze che organizzano giornate «porte aperte».
«Un giornalista di un grande settimanale mi ha detto che è stata nostra fortuna che i reporter inviati fossero generalisti o specialisti di fatti diversi piuttosto che di argomenti religiosi», si confida Gency. «È possibile: il loro modo di trattare l’argomento non fosse forse perfetto per noi, ma essi non avevano la preparazione specifica di certi “informatori di religione” [vaticanisti]».

L’immagine che Dan Brown dà dell’Opus Dei è certamente grottesca. Eppure, poiché l’organizzazione si era largamente preparata alla tempesta, questa le ha paradossalmente permesso di ribaltare le cose a proprio vantaggio. «Il Codice Da Vinci è stato un buon affare per l’Opus Dei», giudica Christian Terras, direttore della rivista cattolica critica Golias. «Tutto questo le ha permesso di indorare di nuovo il suo blasone, comunicando sui dettagli gustosi per i media, ma in gran parte perfettamente secondari». L’uso dell’aneddoto e delle storielle ha fatto miracoli.

Un solo esempio: uno dei protagonisti più inquietanti del romanzo si chiama Silas. Si tratta di un albino presentato come «monaco» dell’Opus Dei, assassino psicopatico al servizio dei capi paranoici dell’organizzazione. L’Opus Dei – quella vera – innanzitutto ha spiegato che nell’organizzazione non c’erano monaci, ciò che è esatto. Poi ha presentato al pubblico un soprannumerario dell’Opera che si chiamava Silas, proprio come l’assassino albino del romanzo. Nel caso specifico si trattava di un pacifico padre di famiglia, broker alla Borsa di New York e di origini nigeriane, quindi nero. I media si sono evidentemente precipitati su questo gioco tutto visuale e gli irridenti si sono ritrovati a fianco dell’Opus Dei.

«Non so se siamo buoni» dice sorridendo modestamente Manuel Sanchez, numerario responsabile delle relazioni con la stampa internazionale dell’Opus Dei a Roma, «ma è chiaro che abbiamo accumulato una certa esperienza». La quale è messa al servizio della Chiesa cattolica nel suo insieme. A Roma, l’Università pontificia della Santa Croce, che dipende direttamente dall’Opus Dei, comprende quattro facoltà: filosofia, teologia, diritto canonico e comunicazione istituzionale. Quest’ultima è la sola di questo tipo nel mondo universitario cattolico. Essa forma specialisti che lavoreranno per le diocesi, le conferenze episcopali nazionali e altre istituzioni religiose. Gli studenti, che in gran parte non sono membri dell’organizzazione, vengono dal mondo intero per formarsi alle teorie e tecniche più all’avanguardia in questo campo; possono giungere fino al dottorato. Questa facoltà organizza colloqui e seminari ad alto livello destinati ai professionisti dei servizi di comunicazione della Chiesa, ma anche a giornalisti della stampa profana.
Dal 2006 mantiene anche, in collaborazione con l’Associazione internazionale dei giornalisti accreditati in Vaticano, un corso annuale destinato ai giornalisti stranieri che vengono a Roma per seguire l’attività religiosa.
L’esistenza stessa di questa università, costituita ufficialmente dal vaticano nel 1990, e la sua posizione in pieno centro a Roma hanno fortemente contribuito a legittimare l’Opus Dei. « La gente, quando capita davanti a questa università a due passi da piazza Navona e vede che gli studenti vengono da ogni parte e che membri della Curia vi insegnano normalmente, si distende», constata John Wauck, prete dell’Opus Dei, insegnanti alla facoltà ed ex redattore di discorsi per uomini politici americani contrari al diritto all’aborto. «A Roma, l’Opus Dei è diventata del tutto normale. Constato che alcuni vescovi americani cominciano a inviare seminaristi perché si formino qui fin dal primo anno. Si tratta di una cosa molto nuova».

Santificazione opportuna
Nella pletora di opere pubblicate su questo soggetto a partire dal 2002, la minuziosa inchiesta condotta dal giornalista americano John L. Allen Jr., corrispondente a Roma del National Catholich Reporter, un settimanale cattolico il cui tono è alquanto libero, è emblematica di questa evoluzione. Allen è reputato essere alquanto liberale e la sua integrità di giornalista è incontestabile. Dalle sue ricerche esce (8) un’immagine relativamente misurata dell’Opus Dei sotto l’aspetto delle imputazioni che abitualmente si fanno a suo carico. Allen ha approfittato della nuova politica di trasparenza dell’organizzazione e ha potuto consultare per questa inchiesta tutti i documenti desiderati, compresi quelli abitualmente riservati ai soli membri o che sono ritenuti «segreti» (9). Ha accumulato più di trecento ore d’interviste, senza contare le conversazioni informali, con membri di tutti i livelli gerarchici, oppositori, ex membri, che è andato a incontrare attraverso mezzo mondo in otto diversi Paesi. Anche se non fa dell’Opera un club di angioletti, arriva a concludere «che le cose non sono così cattive – o per lo meno sono molto meglio di quanto sovente si crede».
In effetti, questa organizzazione mescola elementi risolutamente moderni a un corpo dottrinale che non lo è, cosa che può sconcertare gli osservatori. La più grande intuizione del suo fondatore è stata quella di prendere sul serio, per meglio dominarlo – e non per rigettarlo in blocco, come nel caso del cattolicesimo integralista – il movimento generale di secolarizzazione e di autonomia della società.

Esaltando per esempio la santificazione di ognuno attraverso il lavoro nella vita di tutti i giorni, Escrivá de Balaguer rompeva con quell’idea ancorata nell’immaginario cattolico secondo la quale i chierici o i consacrati (e) erano, per la loro totale disponibilità alle cose della religione, messi meglio degli altri nella corsa al regno di Dio (10). Tuttavia questa democratizzazione della santità e questo risoluto tuffo nel mondo non hanno mai minacciato l’inquadramento clericale classico del cattolicesimo. Sono sempre i preti che occupano i posti di comando e i numerari (non preti, ma che mirano a dare una disponibilità totale al loro apostolato impegnandosi al celibato) garantiscono il grosso lavoro di formazione della base. L’estremo attaccamento ai sacramenti, in particolare alla confessione, rimandano anche a quel clericalismo che pretende di farsi dimenticare. La promozione dei laici e della loro libertà da parte dell’Opus Dei è spesso presentata come profetica rispetto al Concilio Vaticano II. Ma lo stretto inquadramento spirituale al quale si sottopongono i suoi membri (messa quotidiana, recitazione del rosario, esame di coscienza, confessione settimanale, ritiro mensile, ecc.) pone senza dubbio limitazioni al rischio di deriva libertaria… Come lo confida in tutta semplicità un membro aggregato, parigino, dell’Opera (postelegrafonico e delegato sindacale della Confederazione francese democratica del lavoro!): «Nella mia vita ho un quadro di pensiero e di azione molto chiaro, dal quale non esco mai: quello del catechismo della Chiesa cattolica».

L’organizzazione non s’inserisce nemmeno nella corrente integralista del cattolicesimo. Anche se sembra che i membri apprezzino il latino e un certo classicismo, malgrado tutto essi si attengono alle norme conciliari, in particolare in materia di liturgia, e sono perfino accusati dagli integralisti di «suscitare nella società una mentalità laica, contraria alla regalità sociale di nostro Signore Gesù Cristo (11)». Pertanto una fedeltà formale ai testi del Concilio si accompagna a una grande abilità nel tirarli verso interpretazioni conservatrici (12). D’altra parte, la teologia che forma la base degli insegnamenti dell’Opera non è molto diversa da quella in cui gli integralisti si riconoscono.

L’Opus Dei ha la reputazione di avere come obiettivo essenziale di investire nei luoghi del potere. La sua reale influenza nella società è difficile da misurare, poiché i responsabili che abbiamo consultato affermano di non avere statistiche sul livello socio-professionale dei membri. Tuttavia essa si interessa molto agli ambienti intellettuali (13) e alla formazione dei suoi membri. Esige il livello universitario per diventare numerario e i preti dell’Opus Dei sono incoraggiati a prendere la laurea. D’altra parte essa gestisce numerose residenze per studenti, aperte a tutti, ma dove è raccomandato di presentare un buon curriculum scolastico o universitario per trovare un posto (14). Luoghi questi evidentemente propizi al reclutamento. In seno all’istituzione cattolica gli anni del pontificato di Giovanni Paolo II hanno visto moltiplicarsi le nomine di membri dell’Opus Dei alla Curia e nei vescovati, soprattutto in America latina. L’arrivo alla testa del servizio stampa del Vaticano, nel 1984, del numerario Joaquín Navarro-Vals, che è rimasto ventidue anni in quella funzione, sotto questo aspetto è emblematico. Allen relativizza: «Paragonata ai gesuiti, ai domenicani o perfino ai francescani è ridicolo…». Tuttavia l’Opera è ancora molto giovane misurata sulla storia della Chiesa cattolica e in rapporto a quegli ordini religiosi. D’altra parte Giovanni Avena, direttore dell’agenzia d’informazione religiosa Adista, sottolinea che la coerenza dottrinale del gruppo dei membri dell’Opus Dei è molto forte: «Fra i gesuiti, i francescani o altri ordini e movimenti si trova un ampio spettro di opinioni o di opzioni teologiche, che riflette in qualche modo quello della Chiesa universale, dal progressismo più irrequieto al tradizionalismo. Non è il caso dell’Opus Dei, che teologicamente formatta i suoi membri.».

Le relazioni fra l’Opus Dei e la Spagna franchista – che le fece da chioccia – sono state profonde. Nondimeno all’interno di quel regime dittatoriale i membri più influenti dell’Opera, coloro che furono chiamati i «tecnocrati» - alcuni dei quali furono ministri di primo piano (15) – hanno spinto più verso una certa modernizzazione economica di tipo liberale, nella quale l’Opus Dei si trova perfettamente a suo agio, che verso una teocrazia totalitaria autarchica quale era vagheggiata dalla Falange. I regimi autoritari dell’America latina non hanno mai subito le critiche dell’organizzazione, anche se, a titolo individuale, il tale membro o il talaltro ha potuto esprimere delle riserve. In Europa e in America del Nord questi ultimi sono piuttosto portati, in media, sulle questioni sociali ed economiche, ad aderire ai progetti della destra classica che a quelli dell’estrema destra.

Reinquadratura ideologica
Non è neppure escluso che un membro dell’Opera voti per o militi nel centro sinistra. La senatrice italiana Paola Binetti, numeraria dell’Opus Dei, è una delle figure più note di una corrente del nuovo Partito democratico italiano, che ha raccolto l’eredità della Federazione dell’Ulivo. Tuttavia la posizione dei membri dell’Opus Dei, comprese tutte le tendenze, sulle questioni di etica famigliare o biomedica (interruzione volontaria della gravidanza, unioni omosessuali, concepimento assistito, ricerche sulle cellule staminali, ecc.) si allinea sistematicamente all’irrigidimento del magistero cattolico e quindi taglia corto fortemente con le aspirazioni progressiste della società in questi settori.

Ormai le critiche che si possono formulare nei riguardi dell’Opus Dei ricalcano in parte quelle che si è portati a fare all’istituzione cattolica come si è evoluta dopo il pontificato di Giovanni Paolo II. Il movimento di restaurazione ideologica della Chiesa istituzionale in corso a partire dagli anni ’80 contribuisce alla relativa normalizzazione dell’immagine dell’organizzazione fra i cattolici e, in modo meccanico, nel resto del grande pubblico. Nel momento in cui la priorità dell’istituzione porta, con Benedetto XVI, all’affermazione identitaria di fronte al pericolo del «relativismo», le tesi dell’Opera sembrano essere sempre più conformi a quelle della corrente dominante nella Chiesa.




(1) L’Opus Dei ha numerosi tipi di membri. I «sopranumerari» (circa il 70%) sono per lo più sposati e conducono una vita indipendente di famiglia che, essendo segnata da una pratica religiosa intensa, resta pressappoco la stessa della maggioranza della popolazione dei Paesi nei quali essi vivono. I «numerari» e gli «aggregati» (secondo che vivano o no nei centri dell’Opera) s’impegnano al celibato, ma non pronunciano voti come fanno i religiosi. Si trovano infine preti (2% dei membri dell’Opus Dei). Alcuni preti diocesani non sono direttamente membri dell’Opus Dei ma sono affiliati alla Società sacerdotale della Santa Croce, che ne dipende direttamente.
(2) Si legga François Normand, « La troublante ascension de l’Opus Dei », Le Monde diplomatique, septembre 1995.
(3) Leggere, per esempio, su questo tema : Véronique Duborgel, Dans l’enfer de l’Opus Dei, Albin Michel, Paris, 2007, testimonianza di un ex membro.
(4) La sig.ra Boutin è consulente (consigliera) presso il Consiglio pontificio per la Famiglia.
(5) Particolarmente in Spagna e in America del Sud. Nel Regno Unito la sig.ra Ruth Kelly, attuale ministro dei Trasporti del governo laburista di gordon Brown, non nasconde di essere un sopranumerario dell’Opera.
(6) Si troveranno tutti i dettagli di questa strategia spiegati da qualcuno dei suoi progettisti in Marc Carrogio, Brian Finnerty et Juan Manuel Mora, « Three years with the Da Vinci Code ». Direzione strategica della communicazione nella Chiesa : nuove sfide, nuove proposte, Atti del 5° Seminario professionale sugli uffici comunicazione della Chiesa, EDUSC, 2007.
(7) L’Espresso, Roma, 30 luglio 2005.
(8) John L. Allen Jr, Opus Dei : An Objective Look Behi,td the hblhs and Red/ib. o% the Most Controversial Force in the Catholic (’hurch, Doubledav, New York, 2005.
(9) Fino a qualche tempo fa occorreva dare prova di una vera e propria tenacia pugnace per avere accesso a questi documenti, tenacia che non è mancata a qualche giornalista, come Peter Hertel, la cui ultima opera (in tedesco) è Schleichende Übernahme, das Opus Dei unter Papst Benedikt XVI. Publik-Forum. 2007 [Presa di possesso strisciante, l’Opus Dei sotto Papa Benedetto XVI).
(10) Ancora oggi le beatificazioni e canonizzazioni della Chiesa cattolica riguardano praticamente soltanto chierici e religiosi.
(11)
Abbé Hervé Gresland. « La canonisation de Josemarla Escriva de Balaguer ou une nouvelle étape de la glorification de l’Eglise conciliaire », Nouvelles de crétienté, n" 77. Paris, septembre-octobre 2002. Nouvelles de chrétienté è una rivista bimestrale pubblicata da Fraternité sacerdotale Saint-Pic X (cattolici integralisti).
(12) Leggere, per esempio, in Romana n. 41, Roma, luglio-dicembre 2005) la lezione di Fernando Ocariz, vicario generale dell’Opera, a proposito del paragrafo 8 della Costituzione Lumen gentium del Vaticano II, nella quale, seguendo la linea di Joseph Ratzinger, futuro papa Benedetto XVI nella Dichiarazione Dominus Jesus del 2000, afferma che il termine «Chiesa» non potrebbe riguardare altro che la sola e unica Chiesa cattolica. Romana è il bollettino pubblico dell’Opus Dei.
(13) Leggere gli statuti dell’organizzazione sul nostro sito: 
www.monde-diplomatique.frr2008iO3/A-15645
(14) L’Opus Dei gestisce anche con successo luoghi dio formazione destinati a persone non particolarmente favorite, come il centro ELIS a Roma, per la formazione di giovani e adulti, con eccellente reputazione. Walter Veltroni, sindaco di Roma e dirigente del PD, ne ha fatto l’elogio.
(15) I primi ministri «targati Opus» (Mariano Navarro Rubio, alle Finanze, e Alberto Ullastres, al Commercio) entrano nel governo [di Francisco Franco] nel 1957. secondo le fonti si contano da otto a dodici ministri (su un totale di un centinaio circa) che sarebbero stati membri dell’Opus Dei nei governi che si sono succeduti fino al 1975.

Testo originale:

MARS 2008 – LE MONDE diplomatique2 0
Opus Dei, de la légende noire à la normalisation médiatique
Une enquête de Jérome Anciberro

Dépeinte sous les traits les plus noirs par des romans tel « Da Vinci Code », associée au franquisme et aux dictatures d’Amérique du Sud, réputée influente, l’Opus Dei fascine et inquiète depuis des décennies.
Pourtant, on assiste à une « normalisation » progressive de l’organisation grâce à une habile campagne de communication.
D’autant que, depuis la canonisation de son fondateur Josemaria Escriva de Balaguer par Jean Paul Il en 2002, le raidissement de l’Eglise catholique banalise peu à peu le message et les pratiques de l’Opus Dei.

Camino 999... Le titre est indis‑ cutablement efficace. Jean‑ Jacques Reboux, le fondateur et directeur des jeunes édi‑ tions Après la lune, ne cache pas sa satisfaction près d’un an après la sortie du livre : « On réfléchissait à un titre pour ce roman, et c’est arrivé d’un coup : Camino fait directement référence à l’ouvrage le plus connu d’Escrivà de Balaguer, le fondateur de l’Opus Dei. Ce livre d’édification religieuse compte 999 sentences. Si vous retournez les chiffres, vous obtenez 666, le nombre de la Bête, tel qu’il apparaît dans l’Apocalypse. Pour un "polar", franchement, c’était plutôt marrant et ça sonnait pas mal... »

C’est peut-être ce qui, au printemps 2007, a attiré l’attention de l’Opus Dei sur ce roman de Catherine Fradier, auteure connue du petit milieu du «polar» francophone, dont la notoriété n’allait sans doute pas jusqu’aux bureaux de cette organisation parfaitement intégrée dans I’Eglise catholique, comptant un peu plus de neuf cents membres en France (quatre-vingt mille dans le monde) et n’ayant rien d’une amicale littéraire. Camino 999 donne une image particulièrement peu reluisante de l’Opus Dei (« OEuvre de Dieu » en latin), qui y apparaît comme une organisation mafieuse n’hésitant pas à recourir au meurtre pour protéger ses affaires. Assignés en justice par la prélature de l’Opus Dei en France, qui reprochait à ce roman de mêler des éléments réels (noms de responsables de l’OEuvre, par exemple) à la fiction et d’être ainsi diffamatoire à son égard, Fradier et Reboux n’ont pas été condamnés : l’assignation a été déclarée nulle par les magistrats de la 17’ chambre correctionnelle du tribunal de grande instance de Paris, le 21 novembre 2007, en raison du manque de précision de ses griefs. « Cette affaire n’a pas été jugée sur le fond », regrette M. Arnaud Gency, numéraire (1) et responsable de la communication pour la prélature de l’Opus Dei en France. «Il faut bien que les gens comprennent qu’on ne peut pas continuer à dire n’importe quoi sur nous. » A bon entendeur...

Mis à part les jésuites aux siècles précédents, aucune organisation catholique n’a suscité autant de livres, de pamphlets, d’articles ou de reportages à charge que l’Opus Dei (2). La liste des griefs traditionnellement formulés à son encontre recoupe à peu près celle de toutes les turpitudes imaginables par des esprits éclairés : manipulation mentale, cruauté psychologique envers ses membres (3), rigorisme (ou niaiserie) intellectuel(le), sado-masochisme pénitentiel, lobbying d’inspiration réactionnaire, intégriste, fasciste ou ultralibérale selon les cas, infiltration des lieux de pouvoir ecclésiaux, politiques et économiques avec des desseins d’autant plus sombres qu’ils sont rarement définis (avidité financière, collusions mafieuses...).
La discrétion même de cette organisation a contribué à alimenter cette fascination. Jusqu’en 1982, date à laquelle Jean Paul II élève l’Opus Dei au rang de prélature personnelle (lire l’encadré ci-dessous), ses membres sont priés de ne pas révéler leur appartenance. Pourtant, selon ses statuts, l’OEuvre ne vise qu’à aider ses fidèles à se sanctifier « dans la vie ordinaire » à travers 1’« exercice des vertus chrétiennes ». C’est au milieu du monde, en particulier dans le travail, conçu comme une véritable prière, que ses fidèles sont censés vivre la « spiritualité laïque » qui fait leur spécificité. Rien ne les distingue extérieurement de leurs concitoyens.

Dans ce contexte de secret, la dénonciation de l’appartenance supposée à l’Opus Dei est un sport assidûment pratiqué. C’est ainsi qu’en France les participants à des discussions publiques sur des sujets non religieux dans des lieux effectivement gérés par l’organisation, comme le centre Garnelles à Paris, peuvent traîner durant des années l’étiquette « Opus Dei » ou « proche de l’Opus Dei ». On a « opusisé » de cette manière les grands patrons Claude Bébéar, Didier Pineau-Valencienne et Louis Schweitzer (un protestant !). On se gardera de faire de même avec l’ancien premier ministre Jean-Pierre Raffarin, le philosophe Pierre Manent ou — plus drôle — l’animateur de télévision Michel Drucker, qui ont eux aussi récemment participé à des causeries de ce genre.

L’ancien ministre des finances Hervé Gaymard assure à qui veut bien lui poser directement la question qu’il n’a jamais été membre de l’Opus Dei, contraire-ment aux rumeurs. L’actuelle ministre du logement et de la ville Christine Bou-tin n’a pas non plus besoin d’en faire partie pour manifester ses convictions religieuses et assurer ses engagements auprès du Vatican (4). Il faudra bien s’y résoudre : si des exemples fameux de ministres, de hauts fonctionnaires ou de patrons membres de l’OEuvre existent (5), le fait d’occuper un poste de pouvoir tout en professant un catholicisme intransigeant n’est pas en soi caractéristique de l’appartenance à l’organisation.

Longtemps, elle a laissé se construire sa « légende noire » en donnant l’impression de ne pas trop s’en préoccuper. S’inscrivant en cela dans une culture catholique marquée par la méfiance à l’égard des médias et la terreur de la publicité (à la notable et récente exception de Jean Paul II, qui fut un maitre en la matière), la prélature assurait un service minimum en matière de communication. La béatification en 1992 du fondateur de l’Œuvre, Josemaria Escriva de Balaguer (décédé en 1975), premier pas vers la canonisation, s’avère ainsi, au moins médiatique ment, difficile. Les prises de position hostiles se multiplient. A l’intérieur de l’Eglise, on ne trouve guère d’évêques qui soutiennent activement cette démarche. Alors que la polémique enfle, les services de communication de l’OEuvre se contentent de contacter quelques journalistes pour leur proposer des informations sur la vie et l’eeuvre d’Escriva de Balaguer. Effet quasi nul. Le grand public s’informe à travers des articles de presse et des des reportages généralement très critiques.
« Nous sommes restés sur la défensive. Après la béatification, nous avons évalué ce qu’il s’était passé. Il en est ressorti qu’il nous fallait étre bien plus professionnels », admet M. Juan Manuel Mora, directeur de la communication de l’OEuvre de 1991 à 2006. L’organisation décide alors d’opérer une révolution dans ce domaine. L’Opus Dei dispose d’un vivier de compétences : des professionnels exerçant leur métier dans la société (communicants, journalistes, etc.), des ensei-gnants et des chercheurs de la faculté de communication de l’université de Navarre, créée par l’Opus Dei en 1952. Une nouvelle stratégie est mise en ceuvre, fondée sur la « proactivité » : communiquer avant même que les polémiques ne se déclenchent.

C’est ce qui est fait pour préparer la campagne de presse autour de la canonisation du fondateur, qui s’annonce pour 2002. L :Opus Dei contacte les journalistes très en amont, propose de l’aide et des informations, soigne les relations personnelles avec ses interlocuteurs et tente quelques opérations «portes ouvertes » dans ses centres ou ses résidences d’étudiants. Le résultat est très positif. La polémique autour du fondateur a bien lieu, mais son intensité n’a rien à voir avec celle de 1992 et des années qui ont immédiatement suivi. Et, au sein de l’Eglise, l’Opus Dei bénéficie aussi de soutiens importants. En dix ans, le catholicisme progressiste a perdu une large part de son audience. Or ce sont souvent les catholiques critiques qui ali-mentaient la presse en informations. Enfin, la canonisation du fondateur, qui équivaut à une sorte de certificat de garantie, rend désormais plus difficiles les critiques au sein de l’institution. Elles existent toujours, mais se font plus feutrées ou émanent des marges de l’Eglise.

Des détails savoureux pour la presse
L A STRATÉGIE est donc déjà bien rodée lorsque déferle la vague du Da Vinci Code, le roman de Dan Brown publié en 2003 chez l’éditeur américain Doubleday, et qui dénonce l’OEuvre. Dans un premier temps, la prélature se contente de prévenir et de répondre à toutes les demandes d’information en s’efforçant d’éviter la polémique. L’an-nonce de la sortie de l’adaptation filmée du roman par Ron Howard (Sony Pictures) la pousse cependant à mettre en place une stratégie de crise. Les décisions sont prises à l’occasion d’une réunion à Rome, le 10 janvier 2006, des responsables des bureaux d’information de l’Opus Dei de New York, Londres, Paris, Madrid, Cologne, Lagos et Mont-réal, où l’on parle de changer 1’« amertume des citrons » (les attaques du Da Vinci Code) en « limonade » (6).

Les services de communication de l’organisation dans le monde entier mettent les bouchées doubles, répondent à pratiquement toutes les sollicitations médiatiques et affinent leur argumentaire face à des questions qui tournent à peu près toutes autour de la « légende noire », que reprend le Da Vinci Code. L’Opus Dei met bientôt en ligne son nouveau site Internet décliné dans vingt-deux langues, que le sémiologue et écrivain Umberto Eco va jusqu’à recommander (7), lorsqu’il se fatigue des sollicitations continuelles qui lui sont faites sur la véracité du Da Vinci Code. Les grands médias consacrent des dossiers à l’OEuvre, quand ce n’est pas leur « une » (Time, Le Figaro Magazine...), les télévisions se précipitent dans les résidences qui organisent des journées « portes ouvertes ».
« Un journaliste d’un grand hebdomadaire m’a dit qu’on avait de la chance que les reporters envoyés soient des généralistes ou des spécialistes du fait divers plutöt que du religieux, confie M. Gency. C’est possible : leur façon de traiter le sujet n’était peut-être pas parfaite pour nous, mais ils n’avaient pas les a priori de certains informateurs religieux. »

L’image que donne Dan Brown de l’Opus Dei est assurément grotesque. Mais, comme l’organisation s’était large-ment préparée à la tempête, celle-ci lui a paradoxalement permis de retourner l’entreprise à son profit. « Le Da Vinci Code a été une très bonne affaire pour l’Opus Dei », juge Christian Terras, directeur de la revue catholique critique Golias. « Cela leur a permis de redorer leur blason en communiquant sur des détails savoureux pour les médias, mais pour la plupart parfaitement secondaires. » I:usage de l’anecdote et de la petite histoire a fait merveille.

Un seul exemple : un des protagonistes les plus inquiétants du roman se prénomme Silas. Il s’agit d’un albinos présenté comme «moine» de l’Opus Dei, assassin psychopathe au service des chefs paranoïaques de l’organisation. L’Opus Dei — la vraie — a d’abord expliqué qu’il n’y avait pas de moines dans l’organisation, ce qui est exact. Puis elle a présenté au public un surnuméraire de l’OEuvre se prénommant justement Silas, tout comme l’assassin albinos du roman. Il s’agissait en l’occurrence d’un paisible père de famille, courtier à la Bourse de New York, et d’origine nigériane, donc noir. Les médias se sont évidemment rués sur cette plaisanterie toute visuelle, et les rieurs se sont retrouvés du côté de l’Opus Dei.
« Je ne sais pas si nous sommes bons », dit en souriant modestement M. Manuel Sanchez, numéraire responsable des relations avec la presse inter-nationale au bureau d’information de l’Opus Dei à Rome, « mais il est clair que nous avons accumulé une certaine expérience. » Laquelle est mise au service de l’Eglise catholique dans son ensemble. A Rome, l’Université pontificale de la Sainte-Croix, qui dépend directement de l’Opus Dei, comporte quatre facultés : philosophie, théologie, droit canonique et communication institutionnelle. Cette dernière est la seule de ce type dans le monde universitaire catholique. Elle forme des spécialistes qui travailleront pour les diocèses, les conférences épiscopales nationales ou d’autres institutions religieuses. Les étudiants, qui, pour la plupart, ne sont pas membres de l’organisation, viennent du monde entier se former aux théories et aux techniques les plus en pointe dans ce domaine ; ils peuvent pousser jusqu’au doctorat. Cette faculté organise des colloques et des séminaires de haut niveau destinés aux professionnels des services de communication de l’Eglise, mais aussi aux journalistes de la presse profane.
Depuis 2006, elle assure ainsi, en collaboration avec l’Association internationale des journalistes accrédités au Vatican, un cours annuel destiné aux journalistes étrangers qui viennent couvrir l’actualité religieuse à Rome.
L’existence même de cette université, officiellement érigée par le Vatican en 1990, et sa localisation en plein centre de Rome ont fortement contribué à légitimer l’Opus Dei. « Quand les gens tombent sur cette université à deux pas de la Piazza Navona et voient que les étudiants viennent de partout et que des membres de la Curie y enseignent normalement, ils se détendent », constate M. John Wauck, prêtre de l’Opus Dei, enseignant à la faculté de communication et ancien rédacteur de discours pour des hommes politiques américains opposés au droit à l’avortement. «,9 Rome, l’Opus Dei est devenue tout à fait normale. Je constate que certains évêques américains commencent à envoyer des séminaristes se former dès leur première année ici. C’est assez nouveau. »

Sanctification opportune
P aizmi la multitude d’ouvrages publiés sur le sujet à partir de 2002, l’en-quête minutieuse menée par le journaliste américain John L. Allen Jr, correspondant à Rome du National Catholic Reporter, un hebdomadaire catholique dont le ton demeure très libre, est emblématique de cette évolution. Allen est réputé plutôt libéral, et son intégrité journalistique est incontestable. 11 res-sort de ses investigations (8) une image relativement mesurée de l’Opus Dei au regard des griefs qui lui sont habituellement faits. Allen a profité de la nouvelle politique de transparence de l’organisation et a pu consulter pour cette enquéte tous les documents souhaités, y compris ceux qui sont habituellement réservés aux seuls membres ou qui sont réputés « secrets » (9). Il a accumulé plus de trois cents heures d’entretiens, sans compter les conversations informelles, avec des membres de tous niveaux hiérarchiques, des opposants, des anciens membres, qu’il est allé rencontrer dans huit pays à travers le monde. S’il ne fait pas de l’OEuvre un club d’angelots, il en arrive à la conclusion « que les choses ne sont pas si mauvaises que cela -- ou du moins qu’elles sont bien mieux que ce que l’on croit souvent ».
De fait, cette organisation mêle des éléments résolument modernes à un corps de doctrine qui ne l’est pas, ce qui peut dérouter les observateurs. L’intuition majeure de son fondateur a été de prendre au sérieux, pour mieux le maîtriser – et non pas le rejeter en bloc, comme dans le cas du catholicisme intégriste –, le mouvement général de sécularisation et d’autonomisation de la société.

En prönant par exemple la sanctification de tous par le travail dans la vie de tous les jours, Escrivà de Balaguer rompait avec cette idée ancrée dans l’imaginaire catholique selon laquelle les clercs ou les consacré(e)s étaient, de par leur totale disponibilité aux choses de la religion, mieux placés que les autres dans la course au royaume de Dieu (10). Mais cette démocratisation de la sainteté et ce plongeon décidé dans le monde n’ont jamais menacé l’encadrement clérical classique du catholicisme. Ce sont bien les prêtres qui occupent les postes de commandement et les numéraires (non-prêtres, mais qui visent à donner une disponibilité totale à leur apostolat en s’en-gageant au célibat) qui assurent le gros de la formation de la troupe. L’extrême attachement aux sacrements, et en particulier à la confession, renvoie aussi à ce clérica-lisme qui prétend se faire oublier. La pro-motion des laïques et de leur liberté par l’Opus Dei est souvent présentée comme prophétique par rapport au concile Vati-can II. Mais l’encadrement spirituel res-serré auquel se soumettent ses membres (messe quotidienne, récitation du chape-let, examen de conscience, confession hebdomadaire, retraite mensuelle, etc.) limite sans doute beaucoup les risques de dérapage libertaire... Comme le confie en toute simplicité un membre agrégé pari-sien de l’OEuvre (postier et délégué syndical de la Confédération française démocratique du travail !) : « Dans ma vie, j’ai un cadre de pensée et d’action très clair dont je ne déborde pas : celui du catéchisme de l’Eglise catholique. »
L’organisation ne s’inscrit pas non plus dans le courant intégriste du catholicisme. Même si ses membres semblent goüter le latin et un certain classicisme, ils s’en tiennent malgré tout aux normes conciliaires, notamment en matière liturgique, et sont mêmes accusés par les intégristes de «susciter dans les sociétés une menta-lité laïque, contraire à la royauté sociale de Notre Seigneur Jésus-Christ (I I) ». Pour autant, une fidélité formelle aux textes du concile s’accompagne d’une grande habileté à les tirer vers des interprétations conservatrices (12). D’autre part, la théologie qui forme la base des enseignements de l’OEuvre n’est pas très différente de celle dans laquelle les intégristes se reconnaissent.
L’Opus Dei est réputée avoir pour objectif essentiel d’investir les lieux de pouvoir. Son influence réelle dans la société est très difficile à mesurer, les responsables que nous avons consultés affirmant ne pas disposer de statistiques sur le niveau socioprofessionnel des membres. Elle s’intéresse cependant beaucoup aux milieux intellectuels (13) et à la formation de ses membres. Elle réclame un niveau universitaire pour devenir numéraire, et les prêtres de l’Opus Dei sont encouragés à passer leur doctorat. Elle gère par ailleurs nombre de résidences étudiantes, ouvertes à tous, mais où il est recommandé de présenter de bons résultats scolaires ou universitaires pour trouver une place (14). Des lieux évidemment propices au recrutement. Au sein de l’institution catholique, les années du pontificat de Jean Paul Ii ont vu se multi-plier les nominations de membres de l’Opus Dei à la Curie et dans les épiscopats, surtout en Amérique latine. L’arrivée à la tête du service de presse du Vati-can en 1984 du numéraire Joaquín Navarro-Vals, qui est resté vingt-deux ans en poste, est à cet égard emblématique. Allen relativise : « Comparé aux jésuites, aux dominicains ou mème aux franciscains, c’est ridicule... » Cepen dant, l’OEuvre est encore très jeune à l’échelle de l’histoire de l’Eglise catholique et par rapport à ces ordres religieux. Par ailleurs, M. Giovanni Avena, directeur de l’agence d’information religieuse Adista, souligne que la cohérence doctrinale de groupe des membres de l’Opus Dei est très forte : « On trouve chez les jésuites, chez les franciscains ou dans les autres ordres ou mouvements un très large spectre d’opinions ou d’options théologiques qui reflète en quelque sorte celui de I’Eglise universelle, du progressisme le plus remuant au traditionalisme. Ce n ’est pas le cas de l’Opus Dei, qui formate théologiquement ses membres. »

Les relations entre l’Espagne franquiste et l’Opus Dei — une vrai couveuse pour celle-ci — ont été profondes. Néanmoins, au sein de ce régime dictatorial, les membres les plus influents de l’OEuvre, ceux que l’on a appelé les « technocrates » — dont plusieurs furent des ministres de premier plan (15) —, ont plus poussé vers une certaine modernisation économique de type libéral, dans laquelle l’Opus Dei se trouve parfaite-ment à son aise, que vers une théocratie totalitaire autarcique telle que la fantasmait la Phalange. Les régimes autoritaires d’Amérique latine n’ont jamais subi les critiques de l’organisation, même si, à titre individuel, tel ou tel membre a pu exprimer des réserves. En Europe et en Amérique du Nord, sur les questions sociales et économiques, ces derniers sont plutôt portés, en moyenne, à adhérer aux projets de la droite classique qu’à ceux de l’extrême droite.
Recadrage idéologique
IL N’EST PAS non plus exclu pour un membre de l’OEuvre de voter ou de militer au centre gauche. La sénatrice italienne Paola Binetti, numéraire de l’Opus Dei, est ainsi l’une des figures les plus connues d’un courant du nouveau Parti démocrate italien, lequel a pris la suite de la Fédération de l’Olivier. Cependant, le positionnement des membres de l’Opus Dei, toutes tendances confondues, sur les questions d’éthique familiale ou biomédicale (interruption volontaire de grossesse [IVG], union homosexuelle, conception assistée, recherche sur les cellules souches embryonnaires, etc.) s’accorde de façon systématique avec le raidissement du magistère catholique et tranche donc fortement avec les aspirations progressistes de la société dans ces domaines.
Désormais, les critiques que l’on peut formuler à l’encontre de l’Opus Dei recoupent en partie celles qu’on est porté à faire à l’institution catholique telle qu’elle a évolué depuis le pontificat de Jean Paul Il. Le mouvement de recadrage idéologique de l’Eglise institutionnelle en cours depuis les années 1980 contribue à la relative normalisation de l’image de l’organisation parmi les catholiques et, mécaniquement, auprès du reste du grand public. A l’heure où la priorité de l’institution porte, avec Benoît XVI, sur l’affirmation identitaire face aux dangers du « relativisme », les thèses de l’OEuvre paraissent de plus en plus en conformité avec celles du courant dominant dans I’Eglise.
JEROME ANCIBERRO.

(1) L’Opus Dei a plusieurs sortes de membres. Les «surnuméraires» (environ 70%) sont la plupart du temps mariés et mènent une sie de famille indépendante qui, pour être marquée par une pratique religieuse intense, n’en reste pas moins à peu près la même que celle de la majorité de la population des pays dans lesquels ils vivent. Les «numéraires» et les « agrégés » (selon qu’ils vivent ou non dans des centres de l’OEuvre) s’engagent au célibat, mais ne prononcent pas de vaux à la manière des religieux. On trouve enfin des prêtres (2 % des membres de l’Opus Dei). Certains prètres diocésains ne sont pas directement membres de l’Opus Dei mais sont affiliés à la Société sacerdotale de la Sainte-Croix, qui en dépend directement.
(2) Lire François Normand, « La troublante ascension de l’Opus Dei », Le Monde diplomatique, septembre 1995.
(3) Lire, par exemple, à ce sujet Véronique Duborgel, Dans l’enfer de l’Opus Dei, Albin Michel, Paris, 2007, témoignage d’une ancienne membre.
(4) M^° Boutin est consulteur (conseillère) au Conseil pontifical pour la famille.
(5) Particulièrement en Espagne et en Amérique du Sud. Au Royaume-Uni, M"" Ruth Kelly. l’actuelle ministre des transports du gouvernement travailliste de M. Gordon Brown, ne se cache pas d’être une surnuméraire de l’OEuvre.
(6) On trouvera tous les détails de cette stratégie expliqués par quelques-uns de ses concepteurs dans Marc Carrogio, Brian Finnerty et Juan Manuel Mora, « Three years with the Da Vinci Code ».
Direzione strategica della communicazione nella Chiesa : nuove sfide, nuove proposte, Atti del 5° Seminario professionale sugli uffici comunicazione della Chiesa, EDUSC, 2007.
(7) L’Espresso, Rome, 30 juillet 2005.
(8) John L. Allen Jr, Opus Dei : An Objective Look Behi,td the hblhs and Red/ib. o% the Most Controversial Force in the Catholic (’hurch, Doubledav, New York, 2005. Une traduction française de cet ouvrage de référence est disponible aux éditions québécoises Stanhé (2006).
(9) Il fallait faire preuve jusqu’à récemment d’une réelle pugnacité pour avoir accès à ces documents, pugnacité dont n’ont pas manqué quelques enquêteurs, comme Peter Hertel. Son dernier ouvrage paru (en allemand) est Schleichende Übernahme, das Opus Dei unter Papst Benedikt XVI. Publik-Forum. 2007. On trouve aussi en français : Opus Dei. engtréte au coeur d’un pouvoir occulte, de Peter Hertel. Christian Terras et Romano Libero. Golias, Lyon, 2006.
(I0) Aujourd’hui encore, les béatifications et canonisations de l’Eglise catholique ne concernent pratiquement que des clercs et des religieux.
(Il) Abbé Hervé Gresland. « La canonisation de Josemarla Escriva de Balaguer ou une nouvelle étape de la glorification de l’Eglise conciliaire », Nouvelles de crétienté, n" 77. Paris, septembre-octobre 2002. Nouvelles de chrétienté est une revue bimestrielle éditée par la Fraternité sacerdotale Saint-Pic X (catholiques intégristes).
(12) Lire, par exemple, dans Romana (n’ 41, Rome. juillet-décembre 2005) la leçon de Fernando Ocariz, vicaire général de l’ouvre à propos du paragraphe n’ 8 de la constitution Lumen Gentium de Vatican II. M,’ Ocariz, suivant en cela la ligne de Joseph Ratzinger. futur Benoìt XVI, dans la déclaration Dominuc Jesus de 2000. ç justifie que le terne Église s ne saurait concerner que la seule et unique Eglise catholique. Romana est le bulletin public de l’Opus Dei.
(13) Lire les statuts de l’organisation sur notre site, www.monde-diplomatique.frr2008iO3/A-15645
(14) L’Opus Dei gère aussi avec succès des lieux de formation destinés à des publics qui ne sont pas spécialement favorisés. comme le centre ELIS à Rome. centre de formation pour les jeunes et les adultes. et qui jouit d’une excellente réputation. M. Walter Veltroni. le maire de Rome. dirigeant du Parti démocrate (gauche), en a fait l’éloge.
115) Les premiers ministres «opusiens » (Mariano Naval-ro Rubio, ministre des finances, et Alberto Ullastres, ministre du commerce) entrent au gouverne-ment en 1957. Selon les sources, on compte de huit à douze ministres (sur un peu plus d’une centaine au total) qui auraient été membres de l’Opus Dei dans les gouvernements qui se succéderont jusqu’en 1975.







Martedì, 18 marzo 2008