Dall’Europa dell’Est agli Stati Uniti
Minacce sul diritto all’aborto

da : Le Monde Diplomatique, febbraio 2008
(traduzione dal francese di José F. Padova)

In Italia un giornalista conservatore ha da poco lanciato l’idea di una «moratoria sull’aborto», mentre un deputato di Forza Italia, il partito di Silvio Berlusconi, ha deposto una mozione parlamentare per modificare la legge sulla depenalizzazione dell’IVG (interruzione volontaria della gravidanza). In Europa le tesi degli anti-IVG stanno riguadagnando terreno. Negli Stati Uniti essi ottengono ascolto dalla Casa Bianca. E il degrado dei sistemi di sanità pubblica contribuisce a compromettere il diritto delle donne di decidere sulla loro maternità.

Di Anne Daguerre *(Ricercatrice all’Università del Middlesex, Londra, e ricercatrice associata al Centro di Studi e Ricerche internazionali, Parigi)

 

Contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, il diritto all’aborto resta fragile dovunque, compresi i Paesi industrializzati. Se la liberalizzazione prosegue nella maggior parte dell’Unione Europea – come in Portogallo, dove è stata depenalizzata nel marzo 2007 -, le condizioni concrete e lo statuto legale dell’interruzione volontaria della gravidanza variano fortemente secondo i diversi Paesi. Mentre le donne dell’Europa occidentale beneficiano di una copertura sanitaria relativamente buona, soprattutto nei Paesi nordici, l’accesso all’IVG è sempre più compromesso nell’Europa dell’Est. E il diritto all’aborto è stato praticamente svuotato della sua sostanza negli Stati Uniti.

 

I Paesi scandinavi e alcuni Paesi dell’Europa continentale passano per essere pionieri in materia di diritti delle donne. Il tasso di aborti nei Paesi Bassi è uno dei più bassi d’Europa (8 su 1000), ciò che riflette una politica volontarista di educazione sessuale e contraccettiva; il 75% delle donne dai 15 ai 44 anni vi utilizzano un metodo moderno di contraccezione (1). Le IVG sono praticate in cliniche specializzate da medici altamente qualificati. L’atto è coperto integralmente da un’assicurazione pubblica.

 

Questo orientamento predomina ugualmente nei Paesi scandinavi, in particolare in Svezia e Danimarca. In questo Paese la legge ha riconosciuto la legittimità dell’IVG in casi definiti fin dal 1939. nel 1973 ha autorizzato l’aborto su richiesta fino alla dodicesima settimana dall’amenorrea. Oltre questo termine le donne devono sottoporre la loro domanda a un gruppo di esperti composto da ginecologi, assistenti sociali e psicologi. Alle minori viene richiesta una autorizzazione da parte di chi esercita la patria potestà – un’esigenza questa che crea problemi per le ragazze la cui famiglia rifiuta di ammettere che possano avere una loro vita sessuale; nel qual caso il gruppo di esperti accede alla domanda senza esigere l’accordo dei responsabili (2). Il tasso di aborti è molto basso – nell’ordine del 13 per mille. La procedura è gratuita, praticata in ambiente ospedaliero, gli aborti terapeutici nei Paesi Bassi rappresentano un terzo del totale.

 

Al contrario di altri Paesi europei, Francia compresa (3), esiste personale medico e paramedico sufficiente per compiere l’insieme delle operazioni. In Germania e Italia le donne devono sottoporsi a un colloquio preventivo; l’aborto terapeutico non è ancora generalizzato, contrariamente a quanto avviene in Francia e nei Paesi Bassi. In Spagna la gravidanza può essere interrotta se il suo proseguimento mette in pericolo la salute della madre, compresa la sua salute mentale. Eppure, anche se l’aborto è totalmente banalizzato, persiste una certa riprovazione sui luoghi in cui le donne vi hanno fatto ricorso. Esse sono talvolta giudicate irresponsabili, come se avessero bevuto o fumato in modo eccessivo (4): «Le donne talvolta possono sentirsi dire: “Perché non hai fatto più attenzione?”», suggerisce Lisbeth Knudsen, sociologa e demografa all’Università di Aalborg. «Ma non è la stessa specie di disapprovazione di quella che consiste nel dire: “Stai per sopprimere una vita (5)».

 

In Scozia, Inghilterra e nel Galles (6) l’aborto è permesso fino alla ventiquattresima settimana dall’amenorrea, se la continuazione della gestazione comporta per la salute della madre rischi più elevati di quelli derivanti dalla sua interruzione. Questa definizione molto ampia dei motivi che giustificano l’IVG pone la Gran Bretagna nel gruppo dei Paesi dotati di una legislazione in materia molto liberale. Le donne riescono sempre ad interrompere la loro gravidanza se lo vogliono: il tasso di aborti in Inghilterra e nel Galles, dell’ordine del 16 per mille, è uno dei più elevati in Europa occidentale.

 

Tuttavia vi sono anche ostacoli. Effettivamente due medici devono concordare per iscritto sulla domanda d’aborto, ciò che aumenta il rischio di superare i termini. Benché la grande maggioranza della comunità medica sia favorevole all’IVG, circa il 20% dei medici generici vi si oppongono e alcuni mettono in atto il loro potere di ostruzionismo (7): «Alcune donne ci dicono: “Il mio medico ha rifiutato di mandarmi a consultare un altro medico”», deplora Rebecca Findlay, portavoce della Family Planning Association. «I medici possono ritardare la procedura e alcune donne si ritrovano così con una gravidanza di undici settimane, quando si erano presentate con una amenorrea di sei settimane». Numerose voci si levano per reclamare una semplificazione della legislazione.

 

Ma il problema maggiore per le candidate all’aborto rimane la mancanza di strutture e di mezzi. Un esempio: nel 2004 il governo aveva stanziato 300 milioni di sterline (circa 500 milioni di euro) a disposizione delle autorità sanitarie locali, i Primari Care Trust, per i costi della contraccezione e degli aborti. Queste strutture, che godono di completa autonomia di gestione, hanno speso in media soltanto € 6,50 per persona per i servizi di IVG. «I Primari Care Trust hanno utilizzato questo denaro altrove, su poste di bilancio giudicate prioritarie, come le malattie cardio-vascolari o il cancro. I servizi per la contraccezione non sono considerati come una priorità, essi sono storicamente sotto-finanziati», spiega la sig.ra Findlay.

 

Risultato: l’accesso all’IVG gratuita diventa una lotteria. In alcune regioni le donne devono pazientare molto più delle tre settimane raccomandate dal governo. Per evitare ritardi logoranti, alcune pagano di tasca loro la procedura, circa 800 euro; il 13% delle donne che hanno abortito nel 2006 appartenevano a questa casistica, secondo le stime della Family Planning Association. Se le donne delle classi medie possono «concedersi» la loro IVG, 800 euro rappresentano una somma proibitiva per le donne povere, in particolare per quelle senza fissa dimora e per quelle che chiedono asilo.

 

Il pretesto di un declino demografico

Nonostante ueste difficoltà, le britanniche restano privilegiate rispetto alle loro consorelle dell’Europa centrale e orientale, per le quali i problemi dell’accesso alle cure si pongono in maniera molto acuta. Nei Paesi dell’Europa dell’Est (Bielorussia, Bulgaria, Slovacchia, Repubblica ceca, Ungheria, Polonia, Romania, Russia, Ucraina) 44 gravidanze su 1000 terminano con un aborto. L’IVG, universale e gratuita, costituiva il principale mezzo di contraccezione nei Paesi dell’ex blocco sovietico – salvo in Romania. Ma dopo il crollo dei regimi comunisti, le donne incontrano difficoltà crescenti per interrompere una gravidanza.

 

Primo ostacolo: i costi della procedura in un contesto di privatizzazione dei servizi di sanità pubblica. Le donne sono ormai obbligate a pagare l’IVG, ciò che penalizza le più povere. In Ungheria l’assicurazione contro le malattie non prende a suo carico la procedura, salvo che per ragioni mediche. L’intervento costa in media 100 euro, ovvero circa un terzo del salario minimo mensile che è di 273 euro nel 2008. in Polonia, dove l’aborto è stato dichiarato illegale nel 1997, i medici compiacenti fanno pagare i oro servizi a caro prezzo: da quattro a otto volte il salario minimo, che nel 2008 è di 311 euro. Poiché l’anestesia aggiunge 250 euro a una fattura già salata, la maggioranza delle donne preferisce farne a meno (8).

Seconda grande minaccia: l’influenza sempre crescente della lobby anti-IVG, spesso vicina alle Chiese ortodossa o cattolica. Questi gruppi sfruttano con successo il tema del declino demografico. In Ungheria, sotto la pressione dei difensori del «diritto alla vita», nel 2001 il governo ha limitato l’accesso all’IVG, imponendo alle donne due colloqui preventivi – con il rischio, una volta di più, di superare i termini. In Russia,dopo la fine degli anni ’90, la battaglia antiabortistica gode di influenza crescente e beneficia del sostegno di V. Putin in persona. In un discorso davanti all’Assemblea federale, nel maggio 2003, il presidente aveva descritto la questione demografica come la sfida più importante da affrontare per la Russia (9).

La maggior parte dei partiti politici attribuiscono il declino demografico all’aborto – il tasso di mortalità è superiore a quello di natalità. In questo contesto nel 2002 un deputato conservatore, Alexander Tchouev, ha depositato un progetto di legge mirante a sopprimere la pratica dell’IVG per motivi sociali. Precedentemente, in effetti, la legislazione permetteva alle donne di ricorrere a un aborto di Stato per tredici ragioni sociali (disoccupazione, isolamento, alloggio precario, mancanza di risorse finanziarie, ecc.). dal 2003, come conseguenza della proposta Tchouev adottata dal parlamento, l’aborto non è autorizzato se non nel caso di stupro, se la madre è in prigione o è stata privata dei suoi diritti parentali o se il padre è handicappato (10).

Stesso scenario in Polonia, dove la lobby integralista è riuscita a rendere l’aborto quasi illegale. Dal 1997 esso non è autorizzato se non esiste un pericolo di morte per la madre, se il feto soffre di malformazioni gravi o ancora se la gravidanza risulta da stupro o incesto. La maggior parte dei medici rifiuta d’intervenire anche nel caso di rischi per la salute della madre, per timore di procedimenti giudiziari (11) il numero di IVG dichiarate è così passato da 3047 nel 1997 a 310 nel 1998 e a 199 nel 2004. il numero di aborti clandestini è stimato in 80.000 all’anno, con tutto ciò che questo implica in tema di complicazioni post-operatorie. Se i militanti anti-IVG hanno riportato una serie di vittorie contro il diritto delle donne ciò è dovuto anche al fatto che essi beneficiano dell’appoggio logistico e finanziario dei loro omologhi degli Stati Uniti. La principale associazione antiaborista americana, Human Life International, ha così messo in piedi una unità sanitaria a Danzica, allo scopo di formare i militanti alle tattiche delle campagne anti-IVG (12).

 

Negli Stati Uniti l’aborto, legalizzato nel gennaio 1973 con una sentenza della Corte Suprema «Roe vs. Wade» - stabilendo che la decisione d’interrompere una gravidanza è presa in un quadro di rapporti privati fra il medico e la sua paziente – è stata immediatamente impugnata da una serie di leggi federali. Nel 1973 l’emendamento Church – dal nome di un senatore democratico dell’Idaho, Frank Church – permette a organismi o individui che ricevono finanziamenti di Stato federale di rifiutare di praticare l’IVG per motivi morali o religiosi. Nel 1977 l’emendamento Hype vieta di utilizzare i fondi federali per finanziare un aborto, salvo in caso di stupro o d’incesto o anche per salvare la vita della madre. Il finanziamento dell’IVG dipende ormai interamente dalla buona volontà degli Stati federali. Nel 1989 questi saranno autorizzati dalla Corte Suprema a ridurre l’accesso all’IVG.

 

Ma è nel corso degli anni ’80 e ’90 che la lobby americana anti-IVG si organizza e riesce a riportare vittorie decisive, compreso il ricorso alla violenza. Durante gli anni ’80 i gruppi anti-IVG hanno moltiplicato le loro azioni di commando contro i centri di pianificazione famigliare. Negli anni ’90 la situazione si è degradata: sette assassini e diciassette tentativi di omicidio sono stati registrati, obbligando lo Stato federale a reprimere severamente ogni tentativo d’intimidazione sui luoghi riservati ai medici e alle loro pazienti. Tuttavia la legge del 1994, che garantisce il libero accesso ai centri di IVG (Freedom of Access to Clinic Entrances Act)non ha avuto l’effetto dissuasivo sperato.

In occasione della manifestazione annuale chiamata «Marcia per la vita», il 22 gennaio 1995 a Washington, uno dei gruppi anti-IVG, American Coalition of Life Activists, sbandiera uno striscione con l’iscrizione: «Colpevole di crimini contro l’umanità». Vi sono elencati nomi e indirizzi di tredici «abortisti», che in seguito saranno obbligati a vivere sotto la protezione permanente della polizia (13).

Poiché si trovano in forte minoranza – soltanto il 2% dei ginecologi effettua 25 interventi al mese o più -, i medici americani che praticano l’IVG sono facilmente identificabili. Accelera la crisi delle vocazioni. L’offerta di servizi ne soffre, certi Stati sono ormai di fronte a una penuria. Di colpo l’IVG è destinata prima di tutto alle donne delle classi medie che hanno la possibilità di pagare. Effettivamente la maggior parte delle assicurazioni private non prendono a carico né la contraccezione né l’aborto – mentre il Viagra, questo sì, è quasi sempre rimborsato.

Di fronte a questi attacchi, il movimento «pro scelta» (14) è rimasto passivo. Più grave ancora, i democratici a poco a poco hanno accettato nei fatti certi aspetti del discorso anti-IVG. In effetti una gran parte del loro elettorato pensa che l’aborto è moralmente condannabile. Per motivi tattici i democratici mettono l’accento sulla necessità di ridurre il numero di gravidanze non desiderate, affermando che l’aborto deve restare una soluzione di ultima istanza. Ciò permette ai democratici dissidenti di votare con i repubblicani o di astenersi sulla legislazione anti-aborto. Così i democratici mettono molto meno entusiasmo nel difendere il diritto incondizionato all’IVG di quello che i loro avversari repubblicani mettono nello smantellarlo.

 

Vittoria ideologica degli anti-IVG

Dal ritorno dei repubblicani al potere in poi, nel 2000, il presidente Gorge W. Bush ha dato supporto incondizionato ai militanti anti-aborto. Il suo governo finanzia con priorità i programmi per l’astinenza sessuale e fa tagli netti nelle spese destinate alla contraccezione e all’IVG. Per di più la legislazione anti-aborto si è indurita. La legge federale del 2004 vieta un metodo chirurgico d’interruzione tardiva di gravidanza, soprannominata dai suoi detrattori «aborto per nascita parziale», perché il feto è ancora vivo all’inizio dell’intervento. Ormai i diritti del feto sono uguali a quelli della madre. La legge del 2004 sulle «vittime non nate» prevede che, se un’infrazione è commessa contro una donna incinta, il responsabile sarà punito per duplice delitto o omicidio, contro la donna e il suo feto (15).

 

L’amministrazione repubblicana non soltanto è riuscita a rendere più difficile l’accesso all’IVG, ma è giunta a proibirlo parzialmente, dopo la nomina dell’ultraconservatore Samuel Alito alla Corte suprema. Grazie al voto di quest’ultimo, il 18 aprile 2007 la Corte ha convalidato la legge del 2003, autorizzando così una rimessa in causa dell’aborto dalle fondamenta. Più allarmante ancora: a causa dell’ambivalenza dei democratici la vittoria ideologica del campo anti-IVG è totale (16). In occasione di una conferenza che riuniva i Centri di pianificazione famigliare dello Stato di New York, il 24 gennaio 2005 la senatrice Hillary Clinton dichiarava: «Possiamo tutti riconoscere che l’aborto rappresenta una scelta triste e perfino tragica per molte, molte donne». Tuttavia è ancora più tragico mettere al mondo un bambino non desiderato, come lo dimostra la persistenza dell’infanticidio (17).

 

Per la grande maggioranza delle giovani donne europee l’IVG è un diritto fondamentale che non può essere rimesso in discussione. Gli accenti piagnucolosi dei gruppi anti-IVG, minoritari in Francia, fanno sorridere quando non suscitano indignazione (18). Eppure il successo dei movimenti reazionari in Europa dell’Est e negli Stati Uniti dovrebbe ricordarci che – soprattutto per le donne più povere – nulla è mai acquisito [definitivamente].

 

(1) «Accessibility and availability of abortion in six European countries », The European Journal of Contraception and Reproductive Health Care, Londres, mars 2005, p. 51-58.

(2) Lara M. Kudsen, Reproductive Rights in a Global Context, Vanderbilt University Press, Nash-ville, 2006.

(3) Vedi Mona Chollet, «Les acquis féministes sont-ils irréversibles ? », Le Monde diplomatique, juin 2007.

(4) Vedi François Cusset, « Votre capital santé m’intéresse...», Le Monde diplomatique, janvier 2008.

(5) Cité dans Reproductive Rights in a Global Context, op. cit, p. 104.

(6) La legge britannica del 1967 non si applica all’Irlanda del Nord, dove l’aborto è autorizzato soltanto in caso di grave pericolo per la vita della madre.

 (7) Marie Stopes International, « General practitioners : Attitudes to abortion », Londres, juin 1999.

(8) Stéphane Portet, « Teenage pregnancy in Poland », in Anne Daguerre et Corinne Nativel (sous la dit. de), When Children Become Parents, Bristol Policy Press, 2006, p. 210.

(9) Rossiskaïa Gazeta, Moscou, 14 maggio 2003, p. 4.

(10) Elena Ivanova, « Meeting the challenge of new teenage reproductive behaviour in Russia », dans When Children Become Parents, op. cit., p. 196.

(11) Stéphane Portet, « Teenage pregnancy in Poland », dans When Children Become Parents, op. cit., p. 210.

(12) Elisabeth Rosenthal, « Across Europe, a broad assault by abortion foes », International Herald Tribune, Paris, 28 juillet 2005.

(13) Reproductive Rights in a Global Context, op. cit.

(14) Negli Stati Uniti i partigiani del diritto all’aborto sono chiamati «pro scelta» e gli oppositori «pro vita».

 (15) La medesima legge è mancato poco fosse votata in Francia, alla fine del 2003, con l’emendamento Garraud.

 (16) Cf Melody Rose, Safe, Legal and Unavailable ? Abortion Politics in the United States, CQ Press, Washington, 2007.

(17) « Unexplained deaths in infancy », The Lancet, Londres, 1999.

(18) Paul Cesbron, «Menaces sur la liberté d’avorter », Le Monde diplomatique, février 1997.

 

Testo originale:

 

De l’Europe de l’Est aux Etats-Unis

Menaces sur le droit à l’avortement

Le Monde Diplomatique, février 2008

 

En Italie, un journaliste conservateur vient de lancer l’idée d’un

moratoire sur l’avortement », tandis qu’un député de Forza Italia, le parti de M. Silvio Berlusconi, a déposé une motion parlementaire pour revenir sur la loi dépénalisant l’interruption volontaire de grossesse (IVG). En Europe, les thèses des anti-IVG connaissent un regain d’influence. Aux Etats-Unis, elles ont l’oreille de la Maison Blanche. Et la dégradation des systèmes de santé publique contribue à compromettre le droit des femmes à décider de leurs maternités.

PAR ANNE DAGUERRE *

CONTRAIREMENT à ce que l’on pourrait penser, le droit à l’avortement reste fragile, y compris dans les pays industrialisés. Si la libéralisation se poursuit dans la majeure partie de l’Union européenne – comme au Portugal, où il a été dépénalisé en mars 2007 –, les conditions concrètes et le statut légal de l’interruption volontaire de grossesse (IVG) varient fortement selon les pays. Alors que les femmes d’Europe occidentale bénéficient d’une prise en charge relativement bonne, surtout dans les pays nordiques, l’accès à l’IVG est de plus en plus compromis en Europe de l’Est. Et le droit à l’avortement a été pratiquement vidé de sa substance aux Etats-Unis.

 

Les pays scandinaves et certains pays d’Europe continentale font figure de pionniers en matière de droits des femmes. Le taux d’avortement aux Pays-Bas est l’un des plus bas d’Europe (8 pour 1 000), ce qui reflète une poli-tique volontariste d’éducation sexuelle hautement qualifiés. L’acte est couvert dans son intégralité par une assurance publique.

 

Cet état d’esprit prédomine égale-ment dans les pays scandinaves, en particulier en Suède et au Danemark. Dans ce pays, c’est dès 1939 que la loi a reconnu la légitimité de l’interruption de grossesse dans certains cas. En 1973, elle a autorisé l’avortement à la demande, jusqu’à la douzième semaine d’aménorrhée. Au-delà de ce délai, les femmes doivent soumettre leur demande à un panel composé de gynécologues, de travailleurs sociaux et de psychologues. Les mineures sont tenues d’obtenir une autorisation parentale – une exigence problématique pour certaines jeunes filles dont la famille refuse d’admettre qu’elles aient une vie sexuelle ; auquel cas le panel accède à la demande sans exiger d’accord parental (2). Le taux d’avortement est très bas – de l’ordre de 13 pour 1 000. La procédure est gratuite, pratiquée en milieu hospitalier ; les avortements médicamenteux représentent le tiersaux Pays-Bas. En Espagne, la grossesse peut être interrompue si sa poursuite met en danger la santé de la mère, y compris sa santé mentale. Mais, si l’avortement est totalement banalisé, une certaine réprobation persiste à l’en-droit des femmes qui y ont recours. Elles sont parfois jugées irresponsables, comme si elles avaient bu ou fumé de manière excessive (4) : « Les femmes peuvent parfois s’entendre dire : "Pourquoi n’as-tu pas ,fait plus attention ? "», avance Lisbeth K. Knud-sen, sociologue et démographe à l’université d’Aalborg. « Mais ce n’est pas la même sorte de désapprobation que celle qui consiste à dire : "Tu es en train de supprimer une vie (5)." »

 

En Ecosse, en Angleterre et au Pays de Galles (6), l’avortement est autorisé jusqu’à la vingt-quatrième semaine d’aménorrhée si la continuation de la gestation pose des risques plus élevés pour la santé de la mère que son arrêt. Cette définition très large des raisons justifiant l’IVG place la Grande-Bretagne dans le groupe des pays dotés d’une législation très libérale en la matière. Les femmes parviennent toujours à interrompre leur grossesse si elles le souhaitent : le taux d’avortement en Angleterre et au Pays de Galles, de l’ordre de 16 pour 1 000, est l’un des plus élevés d’Europe occidentale.

 

Pourtant, des obstacles persistent. En effet, deux médecins doivent appuyer par écrit la demande d’avortement, ce qui augmente le risque de dépasser les délais. Bien que la vaste majorité de la communauté médicale soit favorable à l’IVG, environ 20 % des généralistes y demeurent opposés, et certains jouent de leur pouvoir d’obstruction (7). « Des femmes nous disent : "Mon médecin a refusé de m’envoyer voir un autre médecin" », déplore M’"’ Rebecca

Mais le problème majeur pour les candidates à l’avortement reste le manque de structures et de moyens. Un exemple : en 2004, le gouvernement avait alloué 300 millions de livres (soit environ 500 millions d’euros) aux autorités sanitaires locales, les Primary Care Trusts, pour les dépenses de contraception et d’avortement. Ces structures, disposant d’une complète autonomie de gestion, ont dépensé en moyenne seulement 6,50 euros par personne pour les services d’IVG. « Les Primary Care Trusts ont utilisé cet argent ailleurs, sur des postes jugés prioritaires, comme les maladies cardio-vasculaires ou le cancer. Les services de contraception ne sont pas perçus comme une priorité, ils

EN DÉPIT de ces difficultés, les Britanniques demeurent privilégiées par rapport à leurs consoeurs d’Europe centrale et orientale, pour qui les problèmes d’accès aux soins se posent de manière très aiguë. Dans les pays d’Europe de l’Est (Biélorussie, Bulgarie, Slovaquie, République tchèque, Hongrie, Pologne, Roumanie, Russie, Ukraine), 44 grossesses sur 1 000 se terminent par un avortement. L’IVG, universelle et gratuite, constituait le principal moyen de contraception dans les pays de l’ancien bloc soviétique – sauf en Roumanie. Mais, depuis l’effondrement des régimes communistes, les femmes rencontrent des difficultés croissantes pour inter-rompre une grossesse.

 

Premier obstacle : le coût de la procédure dans un contexte de privatisation des services de santé. Les femmes sont désormais obligées de payer l’IVG, cesont historiquement sous-financés », explique Mme Findlay.

 

Résultat : l’accès à l’IVG gratuite devient une loterie. Dans certaines régions, les femmes doivent patienter bien plus longtemps que les trois semaines recommandées par le gouverne-ment. Afin d’éviter des délais éprouvants, certaines payent de leur poche la procédure, soit 800 euros ; 13 % des femmes ayant avorté étaient dans ce cas en 2006, selon les estimations de la Family Planning Association. Si les femmes des classes moyennes peuvent « s’offrir » leur IVG, 800 euros représentent une somme prohibitive pour les femmes pauvres, en particulier les sans-domicilefixe et les demandeuses d’asile.

quatre et huit fois le salaire minimum, qui est de 311 euros en 2008. L’anesthésie ajoutant 250 euros à une facture déjà salée, la majorité des femmes préfèrent s’en passer (8).

Deuxième grande menace : l’influence croissante du lobby anti-IVG, souvent proche des Eglises orthodoxe ou catholique. Ces groupes exploitent avec succès le thème du déclin démographique. En Hongrie, sous la pression des défenseurs du « droit à la vie », le gouvernement a limité en 2001 l’accès à l’IVG, imposant aux femmes deux entretiens préalables – avec, là encore, le risque de dépasser les délais. En Russie, depuis la fin des années 1990, le combat antiavortement jouit d’une influence croissante, et bénéficie du soutien de M. Vladimir Poutine lui-même. Dans un discours à l’Assemblée fédérale, en mai 2003, le président avait

Le prétexte du déclin démographique

et contraceptive ; 75 % des femmes âgées de 15 à 44 ans y utilisent une méthode moderne de contraception (1). Les IVG sont pratiquées dans des cliniques spécialisées par des médecins

* Chercheuse à l’université du Middlesex, Londres, et chercheuse associée au Centre d’études et de recherches internationales (CERI). Sciences Po, Paris.des IVG.

A l’inverse d’autres pays européens, y compris la France (3), il existe suffisamment de personnel soignant pour accomplir l’ensemble des opérations. En Allemagne et en Italie, les femmes passent un entretien préalable ; l’avortement médicamenteux n’est pas encore généralisé, contrairement à la France et

Findlay, porte-parole de la Family Planning Association. « Les médecins peuvent retarder la procédure, et certaines femmes se retrouvent ainsi avec une grossesse de onze semaines alors qu’elles se sont initialement présentées avec une aménorrhée de six semaines. » De nombreuses voix s’élèvent pour réclamer une simplification de la législation.

qui pénalise les plus pauvres. En Hongrie, l’assurance-maladie ne prend pas en charge la procédure, sauf pour rai-sons médicales. L’intervention revient en moyenne à 100 euros, soit environ le tiers du salaire minimum mensuel, qui est de 273 euros en 2008. En Pologne, où l’avortement a été déclaré illégal en 1997, les médecins complaisants font payer leurs services au prix fort : entre

décrit l’enjeu démographique comme le défi le plus important qu’avait à affronter la Russie (9).

La plupart des partis politiques attribuent le déclin démographique – le taux de mortalité est supérieur au taux de natalité – à l’avortement. C’est dans ce contexte qu’en 2002 un député conservateur, M. Alexandre Tchouev, a déposé

(1) «Accessibility and availability of abortion in six European countries », The European Journal of Contraception and Reproductive Health Care, Londres, mars 2005, p. 51-58.

(2) Lara M. Kudsen, Reproductive Rights in a Global Context, Vanderbilt University Press, Nash-ville, 2006.

(3) Lire Mona Chollet, «Les acquis féministes sont-ils irréversibles ? », Le Monde diplomatique, juin 2007.

(4) Lire François Cusset, « Votre capital santé m’intéresse...», Le Monde diplomatique, janvier 2008.

(5) Cité dans Reproductive Rights in a Global Context, op. cit, p. 104.

(6) La loi britannique de 1967 ne s’applique pas à l’Irlande du Nord, où l’avortement est autorisé seule-ment en cas de grave danger pour la vie de la mère.

(7) Marie Stopes International, « General practitioners : Attitudes to abortion », Londres, juin 1999.

(8) Stéphane Portet, « Teenage pregnancy in Poland », dans Anne Daguerre et Corinne Nativel (sous la dit. de), When Children Become Parents, Bristol Policy Press, 2006, p. 210.

(9) Rossiskaïa Gazeta, Moscou, 14 mai 2003, p. 4.

un projet de loi visant à supprimer la pratique de l’IVG pour raisons sociales. Auparavant, la législation permettait en effet aux femmes d’avoir recours à un avortement d’Etat pour treize raisons sociales (chômage, isolement, habitat précaire, manque de ressources financières, etc.). Depuis 2003, conséquence de la proposition Tchouev, qui a été adoptée par le Parlement, l’avortement n’est autorisé qu’en cas de viol, si la mère est en prison ou déchue de ses droits parentaux, ou si le père est handicapé (10).

 

Même scénario en Pologne, où le lobby intégriste est parvenu à rendre l’avortement quasiment illégal. Depuis 1997, il n’est autorisé que s’il existe un danger de mort pour la mère, si le fcetus souffre de malformations graves, ou encore si la grossesse résulte d’un viol ou d’un inceste. La plupart des médecins refusent d’intervenir même en cas de risque pour la santé de la mère, par crainte de poursuites judiciaires (11). Le nombre d’IVG déclarées est ainsi passéde3047en 1997à310en 1998età 199 en 2004. Le nombre d’avortements clandestins est estimé à 80 000 par an, avec ce que cela implique de complications postopératoires (lire l’encadré ci-dessous). Si les militants anti-IVG ont remporté une série de victoires contre les droits des femmes, c’est aussi parce qu’ils bénéficient de l’appui logistique et financier de leurs homologues des Etats-Unis. La principale association catholique antiavortement américaine, Human Life International, a ainsi établi une antenne à Gdansk afin de former les militants aux tactiques des campagnes anti-IVG (12).

 

Aux Etats-Unis, l’avortement, légalisé en janvier 1973 par l’arrêt de la Cour suprême « Roe vs Wade » – jugeant que la décision d’interrompre une grossesse se prend dans le cadre d’une relation privée entre le médecin et sa patiente –, a été immédiatement mis en cause par une série de lois fédérales. En 1973, l’amendement Church – du nom d’un sénateur démocrate del’Idaho, Frank Church – permet aux organismes ou individus recevant des financements de dEtat fédéral de refuser de pratiquer l’IVG pour des raisons morales ou religieuses. En 1977, l’amendement Hype interdit d’utiliser les fonds fédéraux pour financer un avortement, sauf en cas de viol ou d’in-ceste, ou encore pour sauver la vie de la mère. Le financement de l’IVG dépend désormais entièrement du bon vouloir des Etats fédérés. En 1989, ceux-ci seront autorisés par la Cour suprême à restreindre l’accès à l’IVG.

 

Mais c’est au cours des années 1980 et 1990 que le lobby anti-IVG américain s’organise et parvient à remporter des victoires décisives, y compris par le recours à la violence. Dans les années 1980, les groupes anti-IVG ont multiplié les actions commandos contre les centres de planning familial. Dans les années 1990, la situation s’est dégradée : sept meurtres et dix-sept tentatives de meurtre ont été enregistrés, obligeant l’Etat fédéral à réprimer sévèrement

toute tentative d’intimidation à l’endroit des médecins et de leurs patientes. Pour-tant, la loi de 1994 garantissant le libre accès à l’entrée des centres IVG (Free-dom of Access to Clinic Entrances Act) n’a pas eu l’effet dissuasif espéré.

Lors de la manifestation annuelle appelée « Marche pour la vie », le 22 janvier 1995 à Washington, l’un des groupes anti-IVG, l’American Coalition of Life Activists, dévoile une pan-carte portant l’inscription : « Coupables de crimes contre l’humanité ». Y sont énumérés les noms et adresses de treize « avorteurs », qui seront par la suite obligés de vivre sous protection policière permanente (13).

Les médecins américains pratiquant l’IVG étant très minoritaires — seulement 2 % des gynécologues effectuent vingt-cinq actes par mois ou davantage —, ils sont très faciles à identifier. La crise des vocations s’accélère. L’offre de services en pâtit, certains Etats étant désormais confrontés à une pénurie. Du coup, l’IVG est destinée avant tout auxfemmes des classes moyennes qui ont la possibilité de payer. En effet, la plupart des assurances privées ne prennent en charge ni la contraception ni l’avorte-ment — alors que le Viagra est, lui, presque toujours remboursé.

Face à ces attaques, le mouvement « pro-choix » (14) est resté passif. Plus grave, les démocrates ont peu à peu entériné certains aspects du discours anti-IVG. En effet, une grande partie de leur électorat pense que l’avortement est moralement condamnable. Pour des rai-sons tactiques, les démocrates mettent l’accent sur la nécessité de réduire le nombre de grossesses non désirées, affirmant que l’avortement doit rester une solution de dernier ressort. Cela per-met aux démocrates dissidents de voter avec les républicains ou de s’abstenir sur la législation antiavortement. Les démocrates mettent ainsi beaucoup moins d’ardeur à défendre le droit inconditionnel à l’IVG que leurs adversaires républicains n’en mettent à le démanteler (lire l’encadré « Un enjeu dans la course à la présidence américaine »).

Victoire idéologique des anti-IVG

DEPUIS le retour des républicains au pouvoir, en 2000, le président George W. Bush a apporté un soutien inconditionnel aux militants antiavortement. Son gouvernement finance en priorité les programmes d’abstinence sexuelle et réalise des coupes claires dans les dépenses consacrées à la contraception et à l’IVG. De plus, la législation antiavortement s’est durcie. La loi fédérale de 2003 interdit une méthode chirurgicale tardive d’interruption de grossesse, surnommée par ses détracteurs « avortement par naissance partielle » car le fœtus est encore vivant au début de l’intervention. Désormais, les droits du fœtus sont égaux à ceux de la mère. La loi de 2004 sur les « victimes non nées » prévoit que, si une infraction est commise contre une femme enceinte, le responsable sera poursuivi pour un double délit ou homicide, contre la femme et son fœtus (15).

 

Non seulement l’administration républicaine a réussi à rendre l’accès à l’IVG plus difficile, mais elle est parvenue à l’interdire partiellement depuis la nomination de I’ultraconservateur Samuel Alito à la Cour suprême. Grâce au vote de ce dernier, le 18 avril 2007, celle-ci a validé la loi de 2003, autorisant ainsi une remise en cause fonda-mentale de l’avortement. Plus alarmant encore : en raison de l’ambivalence des démocrates, la victoire idéologique du camp anti-IVG est totale (16). Lors d’une conférence réunissant les centres de planning familial de l’Etat de New York, le 24 janvier 2005, la sénatrice Hillary Clinton déclarait : « Nous pouvons tous reconnaître que l’avortement représente un choix triste et méme tragique pour beaucoup, beaucoup de femmes. » Il est pourtant plus tragique encore de mettre au monde un enfant non désiré, comme l’atteste la persistance de l’infanticide (17).

Pour la vaste majorité des jeunes femmes européennes, l’IVG est un droit fondamental qui ne peut être remis en cause. Les accents pleurnichards des groupes anti-IVG, minoritaires en France, prêtent même à sourire quand ils ne suscitent pas l’indignation (18). Le succès des mouvements réactionnaires en Europe de l’Est et aux Etats-Unis devrait pour-tant rappeler que — surtout pour les femmes les plus pauvres — rien n’est jamais acquis.

ANNE DAGUERRE.

(10) Elena Ivanova, « Meeting the challenge of new teenage reproductive behaviour in Russia », dans When Children Become Parents, op. cit., p. 196.

(11) Stéphane Portet, « Teenage pregnancy in Poland », dans When Children Become Parents, op. cit., p. 210.

(12) Elisabeth Rosenthal, « Across Europe, a broad assault by abortion foes », International Herald Tribune, Paris, 28 juillet 2005.

(13) Reproductive Rights in a Global Context, op. cit.

(14) Aux Etats-Unis, les partisans du droit à l’avortement sont dénommés «pro-choix », et les opposants « pro-vie ».

(15) La même législation a failli être votée en France, fin 2003, avec l’amendement Garraud.

(16) Cf Melody Rose, Safe, Legal and Unavailable ? Abortion Politics in the United States, CQ Press, Washington, 2007.

(17) « Unexplained deaths in infancy », The Lancet, Londres, 1999.

(18) Paul Cesbron, «Menaces sur la liberté d’avorter », Le Monde diplomatique, février 1997.

 

 



Lunedì, 18 febbraio 2008