Haiti, il film-shock italiano che commuove la Francia

di Laura Putti
Repubblica — 17 luglio 2008   pagina 44   sezione: SPETTACOLI

C’ è un piccolo film italiano che da più di un mese resiste in due sale parigine e in una quindicina in tutta la Francia. è, come "La classe" e come "Gomorra", un film al confine tra la finzione e il documentario, e non ha attori professionisti. Una storia di sconvolgente crudezza. Proprio come i due film premiati a Cannes, fa parte di quel cinema militante, di denuncia, molto apprezzato in Francia. S’intitola Haiti chérie (titolo di una canzone di Toto Bissainthe, voce simbolo del popolo haitiano, morta nel ’ 94) è diretto da Claudio Del Punta, prodotto da sua sorella Giuliana - indipendente e coraggiosa produttrice anche di "Il mio viaggio in Italia" di Martin Scorsese - e ha riempito le pagine dei più importanti giornali francesi. Tanto che, grazie al film di Del Punta, Amnesty International è riuscita a riportare l’ attenzione sulle violazioni dei diritti umani nella Repubblica Dominicana.
Perché Haiti Chérie parla dello schiavismo di oggi praticato in un paradiso tropicale frequentatissimo non solo da americani, ma anche da europei, in prevalenza italiani. A Santo Domingo esistono circa quattrocento "batey", villaggi costruiti in mezzo alle piantagioni di canna da zucchero, nei quali i diritti umani non esistono, e i lavoratori - tutti provenienti da Haiti, quindi dalla stessa isola, grazie a un’ autarchica e discriminatoria politica di immigrazione - vivono come schiavi, senza servizio sanitario, senza acqua corrente e senza istruzione per i loro bambini.
Autore di documentari televisivi (e nel 2000 anche di un film: "Femminile singolare"), Del Punta non è nuovo ad argomenti che trattano emigrazione e disparità sociali. «Mi sento ancora molto influenzato dal neorealismo» dice il regista «Volevo girare un film "utile". Mi è capitato tra le mani un giornale in cui un missionario raccontava di come, nelle piantagioni di canna da zucchero a Santo Domingo, ai lavoratori provenienti da Haiti veniva negato ogni diritto. Ho cercato finanziamenti, ma ho anche messo molto del mio per poter rimanere totalmente libero. Poi, senza autorizzazioni e con una troupe di poche persone, sono arrivato a Santo Domingo».
Lì Del Punta ha trovato i suoi attori: Yeraini Cuevas e Valentin Valdez. Lei sedicenne e studentessa, lui ventunenne ed ex tagliatore di canna da zucchero. Nel film sono Magdaleine e Jean-Baptiste, moglie e marito, che vivono in un "batey". La morte per fame del loro bambino li convince che la cosa più giusta da fare sarebbe tornare ad Haiti. Il paese più povero del mondo è la loro patria e sarà sempre meglio del lavoro durissimo e sottopagato, della crudeltà dei guardiani della piantagione (i quali, non solo non permettono ai due ragazzi di seppellire il loro bambino, ma cercano anche di violentare Magdaleine), della negazione di ogni diritto. Haiti Chérie mostra tutto questo. Non è finzione. è la vita di ogni giorno in un "batey" dominicano.
«All’ inizio, con la scusa di fare un documentario sulla canna da zucchero, sono riuscito a girare in un "batey" enorme di proprietà della famiglia Fanjul, cubano-americani residenti a Miami» dice Del Punta. «I Fanjul sono proprietari anche di Casa de Campo, notissima località turistica a mezz’ ora dalla piantagione. Questo contrasto tra un turismo più o meno inconsapevole e una schiavitù mai abolita è davvero inconcepibile». Le riprese del film sono state interrotte varie volte dai guardiani e anche dalla polizia dominicana, e la troupe di Del Punta ha dovuto cambiare "location", passando da un "batey" a un altro. «Subito dopo le interruzioni potevamo riprendere a girare senza problemi. Ci lasciavano fare perché nessuno capiva che cosa ci fosse di interessante in una situazione tanto miserabile».
L’ ultima parte di Haiti Chérie è una specie di "on the road" pieno di tensioni, imprevisti e colpi di scena. Perché, se per un futuro schiavo è facile passare da Haiti alla Repubblica Dominicana, fare il contrario è invece difficilissimo. Arrivando a Santo Domingo il lavoratore haitiano perde la sua nazionalità, ma non acquista quella dominicana. è privato quindi dei documenti. è prigioniero. Grazie all’ aiuto di un pietoso medico spagnolo e superando molti e molto corruttibili posti di blocco, Magdaleine e Jean-Baptiste riusciranno ad attraversare il confine e rientrare ad Haiti. Ma, una volta in patria, la fortuna non sarà dalla loro parte. - LAURA PUTTI



Sabato, 27 settembre 2008