Gli scandali di Genova

di Michael Braun (corrispondenza da Roma)

Gli attacchi della polizia e dei carabinieri contro cortei pacifici, i pestaggi sistematici di gente inerme, il corpo di Carlo Giuliani sull’asfalto di piazza Alimonda, le chiazze di sangue sulle pareti della scuola Diaz: chiunque sia stato a Genova, lo scorso luglio, durante i giorni del G8 si è immediatamente reso conto di aver assistito a un enorme scandalo.
I primi a gridare allo scandalo furono gli esponenti del governo. Quando Silvio Berlusconi si presentò alla stampa internazionale in chiusura del vertice, poche ore dopo l’assalto alla scuola Diaz, era già in grado di spiegare la concatenazione degli eventi grazie alle informazioni ricevute dal suo ministro dell’Interno, Claudio Scajola. Apprendemmo che decine di migliaia di "violenti" avevano messo a ferro e fuoco Genova, coperti e protetti dai falsi pacifisti del Genoa Social Forum, e che quindi gli eroi in divisa, purtroppo, avevano dovuto usare le maniere forti contro gli scalmanati annidati nella scuola Diaz, armati di molotov e pronti ad accoltellare un poliziotto.
Ben presto però il governo si dovette rendere conto che quella versione dei fatti non stava in piedi. C’erano state troppe persone a Genova, erano state scattate troppe foto, girati troppi video, raccolte troppe testimonianze per negare l’evidenza dei fatti. E si inventò un altro scandalo che tenne occupata la commissione parlamentare d’indagine per alcune settimane: apprendemmo che la polizia era incredibilmente "impreparata". E se non ci fosse stata di mezzo la morte di Carlo Giuliani avremmo anche potuto buttarla sul ridere: i paracadutisti della Tuscania si sarebbero smarriti lungo le strade di Genova, sebbene dovessero girare solo un angolo; gli assalitori della Diaz non avevano nessun ufficiale "in comando", benché avessero alle spalle il vertice quasi completo della polizia italiana. In breve un’immagine delle forze dell’ordine degna di un circolo anarchico (senza offesa per gli anarchici).
Solo nelle ultime settimane sta venendo a galla il vero scandalo di Genova. Le molotov alla Diaz la polizia se le era portate appresso, l’accoltellamento non è mai avvenuto, e la sassaiola che avrebbe causato l’assalto violento non ha mai avuto luogo. Altro che polizia impreparata. Il G8 di Genova, letto con la conoscenza dei fatti che abbiamo oggi, assume tutti i connotati di una escalation ben studiata: le strade della città lasciate ai black bloc veri e/o presunti, le cariche contro le piazze pacifiche dei cattolici di Lilliput, l’attacco a freddo contro il corteo delle tute bianche, l’aggressione brutale al grande corteo del sabato, le violenze alla caserma Bolzaneto, infine l’assalto alla Diaz. L’azione delle forze dell’ordine serviva a un solo scopo: dimostrare che la protesta contro il G8 era "comunque" violenta – che quindi "non s’aveva da fare".
Ma – scandalo nello scandalo – le notizie che in queste settimane escono dal Palazzo di giustizia di Genova non fanno notizia. Di certo non hanno avuto alcuna conseguenza. Abbiamo appreso che la polizia si autofabbrica le prove, che è stata pronta ad affibbiare a gente innocente crimini che possono significare anni di galera – eppure nessuno vuole sapere chi è il regista di questa operazione.
Nessuno poi chiede le dimissioni del ministro dell’Interno. Certo, Claudio Scajola se n’è andato, ma "solamente" per una sua macabra intemperanza. Quell’ex ministro dalle risposte sempre pronte e dalle uscite temerarie – non solo su Genova e sul suo "ordine di sparare", ma anche su Michele Landi ("suicidio") e sulla scorta a Marco Biagi ("avremmo tre morti invece di uno") – non ha commentato le ultime rivelazioni circa il G8. Nessuna parola, nessun atto, nessuna indagine, nessuna rimozione.
Ma quasi più scandaloso è il silenzio dell’opposizione. Non le interessa sapere chi era seduto nella cabina di regia del bruttissimo film sui giorni di Genova?



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22 luglio 2002

Venerdì, 26 luglio 2002