Come fu smembrato l’Impero ottomano

di di Henry Laurens (professore all’ l’Institut national des langues et civilisations orientales (Inalco), Paris, e autore, in particolare, de La questione della Palestina, voll. I e II, Fayard, Paris, 2001 et 2002)
Le Monde Diplomatique, aprile 2003 (traduzione dal francese di José F. Padova)

Fra il 1916 e il 1922 l’Impero ottomano e i suoi satelliti furono oggetto di intense trattative fra Francesi e Britannici. Dopo il 1918 gli Stati Uniti si imposero come arbitri, nel nome del «diritto dei popoli». Tuttavia in nessun momento le popolazioni locali furono realmente consultate. La spartizione del territorio ne fu resa fragile in modo duraturo.


Dichiarazione britannica al momento della presa di Bagdad, marzo 19187
«(…) Le nostre operazioni militari hanno come obiettivo di vincere il nemico e di scacciarlo da questi territori. Per portare a buon fine questo compito, sono stato investito di una autorità assoluta e suprema su tutte le regioni nelle quali operano le forze britanniche, ma i nostri eserciti non sono venuti nelle vostre città e nelle vostre campagne come conquistatori o come nemici, ma come liberatori.
(…) È l’augurio, non soltanto del mio re e dei suoi sudditi, ma anche delle grandi potenze con le quali è alleato, che voi possiate prosperare, come per il passato, quando le vostre terre davano al mondo la letteratura, la scienza e le arti e quando Bagdad era una delle meraviglie del mondo.
Fra i vostri popoli e i possedimenti del mio re vi è una stretta comunanza di interessi (…).I tedeschi e i turchi, che hanno spogliato voi e i vostri, da vent’anni fanno di Bagdad un centro dal quale attaccavano la potenza britannica e quelle degli alleati dei britannici in Persia e in Arabia. Di conseguenza il governo britannico non può restare indifferente a quello che accade nel vostro Paese, oggi come in futuro, perché riguardo agli interessi del popolo britannico e dei suoi alleati, il governo britannico non può rischiare di veder ripetersi a Bagdad quello che turchi e tedeschi hanno fatto durante la guerra. Ma si impegnerà in questa direzione nell’unità e nella concordia».

Riunione dell’ Eastern Commitee
5 dicembre 1918
Lord Curzon: «Non dobbiamo noi giocare la carta dell’autodeterminazione per quello che essa vale? (…) Forse mi sento coinvolto da questa questione, forse tendo a porre molta attenzione verso l’autodeterminazione, perché credo che la maggior parte della gente di determinerà in nostro favore (…).
La mia ultima osservazione sarà che l’autodeterminazione è stata istituita come un principio e se noi non possiamo uscire dalle nostre difficoltà in altro modo, giocheremo la carta dell’autodeterminazione per tutto quello che essa vale, dovunque noi ci troveremo in difficoltà con i francesi, gli arabi o chiunque altro, e regoleremo le questioni secondo quest’ultimo argomento, ben sapendo in fondo ai nostri cuori che noi ne approfitteremo molto più di tutti gli altri (…)»

Colonnello Lawrence: « Si è molto parlato di autodeterminazione. Penso che sotto molti aspetti sia un’idea insensata. Noi possiamo permettere alle genti vche hanno combattuto con noi di determinarsi liberamente. Gente come gli arabi della Mesopotamia, che hanno combattuto contro di noi, non meritano per nulla che noi accordiamo loro l’autodeterminazione. Senza dubbio la situazione si modificherà in perpetuo».
Balfour: «È il privilegio dei conquistatori».


Nel 1914 le province arabe dell’impero ottomano si trovavano sotto l’influenza collettiva e multiforme delle potenze europee, alle quali si aggiungevano gli Stati Uniti. I Giovani Turchi, al potere dal 1908, cercavano di sbarazzarsi di queste ingerenze permanenti, ma al prezzo di un centralismo autoritario che suscitava l’emergenza di un movimento autonomista arabo pronto a cercare appoggi presso gli europei.
La Francia era la potenza dominante nella «Siria naturale», grazie ai suoi investimenti economici e al suo espansionismo scolastico e culturale. Si giungeva a parlare di una «Francia del Levante». I britannici, che occupavano l’Egitto dal 1882, avevano finito per riconoscere – obtorto collo - questo primato. Entrando in guerra nel novembre 1914, gli Ottomani intendevano liberarsi dalle dominazioni straniere e liquidare gli autonomismi locali. Dall’inizio del 1915 la repressione colpisce le élite politiche arabe (impiccagioni, esilii in Anatolia). Popolazioni interere saranno massacrate (cristiani del monte Libano decimati dalla fame, tragica sorte degli Armeni e di altri cristiani anatolici deportati e trucidati in massa). Cercando di destabilizzare le due grandi «potenze musulmane» che costituiscono gli imperi coloniali francese britannico, gli Ottomani chiamano alla guerra santa, alla jihad. I britannici si limitano in un primo tempo ad una campagna di difesa nella prossimità del canale di Suez, mentre l’armata anglo indiana comincia la difficile conquista dell’Iraq a partire da Bassora (1).
Ma la jihad minaccia l’Africa del Nord francese (e una parte dell’Africa nera) e l’India britannica. Francesi e britannici si trovano così in posizione difensiva e cercano una nuova formula giuridica suscettibile di ristabilire la loro antica dominazione. In un primo tempo pensano di mantenere un Impero ottomano decentralizzato, che di fatto sarebbe un protettorato. Attaccando i Dardanelli (1915) per minacciare la capitale Dell’impero ottomano, essi sono costretti ad accettare la rivendicazione russa su Costantinopoli e dunque di prendere in considerazione una spartizione della regione.
Lo scacco sanguinoso Dei Dardanelli non rimette in causa il principio. Suscitando una sollevazione dello sceriffo Hussein, emiro della Mecca, essi sperano di mettere fine alla minaccia della jihad e di creare un nuovo fronte contro gli Ottomani. L’alto commissario in Egitto, Mac Mahon, mantiene dunque un difficile scambio di messaggi con lo sceriffo Hussein per spingerlo a rivoltarsi.
Difetti di traduzione e malintesi sul senso delle parole utilizzate complicano ancor più il testo della corrispondenza, già ambiguo di suo, creando così un imbroglio la cui soluzione è rimandata a più tardi.

L’Iraq nell’Impero ottomano


Un certo numero di spiriti romantici del Cairo, fra i quali il più celebre sarà T. E. Lawrence, il futuro Lawrence d’Arabia, contano su un rinascimento arabo che, fondato sull’autenticità beduina, si sostituirebbe alla corruzione ottomana e al levantinismo francofono. Questi beduini, comandati dai figli di Hussein, i principi della dinastia Hascemita, accetteranno naturalmente una tutela britannica "benevola". Londra promette loro bensì una «Arabia» indipendente, ma indipendente dagli Ottomani. Da parte loro, i francesi vogliono estendere la loro «Francia del Levante» all’interno delle terre e costruire così una «grande Siria» francofona, francofila e sotto la loro tutela.
Come fissare i confini fra l’Arabia britannica e la Siria francese? Il negoziato è affidato al francese François Georges-Picot e all’inglese Mark Sykes. Esso dura diversi mesi, riflettendo l’evoluzione dei rapporti di forza e si conclude nel maggio 1916 con uno scambio di lettere fra l’ambasciatore di Francia a Londra, Paul Camion, e il segretario del Foreign Office, Edward Grey (2). I francesi amministreranno direttamente una zona che va dal litorale siriano fino all’Anatolia; la Palestina verrà internazionalizzata (condominio franco-britannico di fatto); la provincia irachena di Bassora e una enclave palestinese intorno ad Haifa saranno poste sotto amministrazione diretta dei britannici; gli Stati arabi indipendenti affidati agli Hascemiti saranno divisi in due zone d’influenza e di tutela, l’una al nord assegnata ai francesi, l’altra al sud ai britannici. La linea detta Sykes-Picot, che divide il Medio Oriente, deve anche permettere la costruzione di una ferrovia britannica da Bagdad ad Haifa. Russi e italiani danno la loro approvazione a questo accordo, di cui gli Hascemiti ricevono informazioni in termini appannati e confusi.
All’inizio del 1917 i britannici iniziano la difficile conquista della Palestina. In aprile gli Stati Uniti entrano in guerra come «associati» - e non «alleati» - della Francia e della Gran Bretagna contro la Germania. La crescente meccanizzazione della guerra completa la presa di coscienza franco-britannica della loro dipendenza dal petrolio (nel 1918 la guerra sarà vinta dagli Alleati grazie a una «fiumana di petrolio»).
Il presidente Woodrow Wilson non si sente per nulla legato dagli accordi «segreti» contrattati dai suoi partner. Egli si pone come difensore del diritto dei popoli a disporre di loro stessi, benché non sia molto chiaro nel suo spirito se questo vale anche per i popoli non bianchi, come i «bruni» (gli Arabi) e i «gialli» - i «neri» sono fuori questione (3).
Gli inglesi del Cairo vogliono rimettere in discussione l’accordo stipulato con i francesi, almeno per la Palestina, se non per il resto della Siria. Essi dispongono ora di solidi appoggi a Londra. Sanno usare con sincerità la retorica wilsoniana: sulle rovine dell’Impero ottomano arabi, curdi, armeni, ebrei coopereranno sotto la benevola tutela dei britannici.
Sykes utilizza in questo senso il movimento sionista, cosa che condurrà alla dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917 (4) con l’annuncio insediamento in Palestina di un Focolare nazionale ebreo. La strategia britannica si basa sull’occupazione del territorio con l’incoraggiamento dato alla rivolta araba perché si estenda alla Siria (ma non alla Palestina) e su una serie di dichiarazioni ufficiali in direzione dell’autodeterminazione. Per Londra il diritto dei popoli significa il diritto di scegliere la tutela britannica. Quando i nazionalisti arabi rifiutano questa dominazione vengono sminuiti col tacciarli dello stato infamante di «levantini», che essi condividono con gli elementi pro-francesi (in generale dei cristiani).
Nel 1918 la questione petrlifera diventa predominante. Secondo l’accordo la Francia dovrebbe controllare al regione di Mossul, dove si trovano importanti riserve potenziali, ma i britannici, da parte loro, hanno i diritti di concessione. Georges Clemenceau vorrebbe ben soddisfare il gruppo di pressione colonialista, ma limitandosi ad una «Siria utile» che non comprenda la terra Santa ma che permetta l’accesso alle risorse petrolifere. Un’estensione troppo grande implicherebbe pesanti oneri di amministrazione senza proporzione con gli utili che se ne potrebbero ricavare. È l’abbandono della «Siria integrale» (oggi si direbbe della «Grande Siria»). All’indomani dell’armistizio egli tratta direttamente e senza testimoni con Lloyd George la spartizione del Medio oriente.
Nel suo diario all’ 11 dicembre 1920 Maurice Hankey, sottosegretario del governo britannico , farà la seguente annotazione: «Clemenceau e Foch hanno traversato [il mare=la Manica] dopo l’armistizio, accolti con un grandioso cerimoniale militare e pubblico. Lloyd George et Clemenceau sono stati portati all’Ambasciata di Francia… Quando furono soli… Clemenceau disse «Bene. Di che cosa dobbiamo discutere?” “Della Mesopotamia e della Palestina” rispose Lloyd George. “Ditemi che cosa volete” chiese Clemenceau. “Voglio Mossul” disse Lloyd George. “L’avrete” rispose Clemenceau. “Null’altro?”. “Si, voglio anche Gerusalemme” continuò Lloyd George. “L’avrete” disse Clemenceau. “ma Pichon (5) farà difficoltà per Mossul”. Non vi è alcuna traccia scritta o memorandum fatto al momento (…). Tuttavia, nonostante le grandi pressioni da parte dei suoi colleghi e da ogni sorta di parti interessate, Clemenceau, che è sempre stato inflessibile [ndt.: era soprannominato “Il Tigre”], non ritornò mai sulla sua promessa e io sono ben situato per poter dire che Lloyd George non gli ha mai offerto l’occasione per farlo. È  così che la storia viene fatta (6)».
Poiché i francesi avevano condizionato qualsiasi accordo territoriale alla spartizione dell’accesso al petrolio, le due negoziazioni si svolgeranno parallelamente. Fin dall’inizio della conferenza per la pace, il presidente Wilson rifiuta l’annessione delle antiche colonie tedesche dell’Africa e del Pacifico agli Imperi francese e britannico: egli vuole affidarle alla futura Società delle Nazioni (SdN). Lloyd George manovra abilmente proponendo la creazione di «mandati» della SdN, che sarebbero affidati in modo temporaneo ad una potenza «civilizzata» incaricata di portarle all’indipendenza. Egli vi introduce con discrezione le province arabe dell’Impero ottomano (mandati denominati di categoria A). Wilson accetta (gennaio 1919).
Un faccia a faccia franco-britannico
I principali interessati non ne sono informati e saranno chiamati a comparire davanti al Consiglio supremo alleato (detto Consiglio dei Dieci). Nazionalisti arabi, pro-francesi (sirianisti) e sionisti (gli inglesi hanno bloccato una delegazione libanese per impedirle di venire in Francia) parleranno così, nel febbraio 1919, senza conoscere realmente le regole del gioco. Lloyd George fa intraprendere ai suoi rappresentanti una prova di forza con i francesi. La questione è quella di sapere se vi sarebbe un mandato unico sul complesso del Medio oriente (in questo caso certamente affidato ai britannici) o se vi sarebbero due amndati, uno francese, l’altro britannico. I francesi tengono duro.
Wilson, esasperato, fa decidere allora la creazione di una commissione incaricata di consultare le popolazioni sulla scelta della potenza mandataria. Bruscamente i britannici si rendono conto che gli arabi di Palestina e d’Iraq potrebbero non richiedere la loro tutela. Da parte loro i francesi temono che i siriani siano loro ostili e di trovarsi costretti ad accettare la rivendicazione di uno Stato libanese a maggioranza cristiana. Le due potenze cristiane si ritirano dalla commissione, che sarà diretta esclusivamente dagli americani.
Quest’ultima, dopo aver ascoltato gli arabi palestinesi rifiutare il sionismo, i libanesi cristiani accettare la Francia e gli arabi siriani esigere l’indipendenza, conclude con la scelta di un mandatario… americano (28 agosto 1919)! È troppo tardi: il Senato americano rigetta il Trattato di Versailles e gli americani si ritirano da tutte le conferenze interalleate.
Francesi e britannici si ritrovano così faccia a faccia. Il rapporto di forze sul terreno si è spostato a favore dei primi, che dispongono di mezzi militari potenziati mentre Londra invece smobilita. La spartizione in mandati è approvata. Dalla conferenza di Deauville (settembre 1919) a quella di San Remo (aprile 1920) ci si accontenta di apportare aggiustamenti alla linea Sykes-Picot. La frontiera palestinese è spostata di qualche chilometro verso nord. La Transgiordania collegherà la Palestina all’Iraq, permettendo di creare un corridoio che assicuri nell’immediato il passaggio delle linee aeree verso l’India e, a medio termine, di installare un oleodotto che trasporti l petrolio iracheno verso il Mediterraneo (l’idea di una ferrovia appartiene al passato). I francesi disporranno di un quarto delle quote (ulteriormente il 23,75%) in seno al consorzio incaricato di sfruttare il petrolio iracheno.

L’Iraq dopo lo smembramento dell’Impero ottomano


Rimane da imporre il regime dei mandati, mediante un’ultima prova di forza. Il Palestina, in Siria e in Irak, francesi e britannici si impegneranno in operazioni che si concluderanno in una guerra per domare le popolazioni indigene.
La divisione del Medio Oriente in diversi Stati, in sé, non è condannabile. gli Hascemiti l’avevano ideata fin dall’inizio a favore dei figli maggiori di Hussein. Ma essa venne applicata contro la volontà delle popolazioni e utilizzando una retorica liberale che l’impiego della forza privava di senso. In rapporto all’evoluzione politica dell’ultimo decennio ottomano, durante il quale la cooptazione di notabili e l’istituzione di un sistema elettorale, certamente molto imperfetto, avevano tracciato la via verso una vera rappresentanza politica, l’autoritarismo franco-inglese costituisce una regressione duratura.
Come spezzettamento territoriale, la spartizione è durata, essenzialmente perché le nuove capitali e le loro classi dirigenti hanno saputo imporre la loro autorità sui nuovi Paesi. Ma gli avvenimenti del 1919-1920 furono sentiti come un tradimento degli impegni presi (in primo luogo, del diritto dei popoli a disporre di loro stessi) e spossessarono soprattutto le élite locali del loro destino. Quando il nazionalismo arabo tornerà in forze, non riconoscerà la legittimità di questi spezzettamento e chiamerà alla costituzione di uno Stato unitario, panacea per tutti i mali della regione. Gli Stati reali saranno quindi screditati come illegittimi e resi durevolmente fragili. La costituzione di un Focolare nazionale ebreo trascinerà la regione in un ciclo di conflitti che sembra lontano dall’avere fine.
Periodicamente risorge lo spettro di un nuovo «Sykes-Picot» ovvero della spartizione del Medio Oriente imposta dall’esterno. La pretesa occidentale di una superiorità morale fondata sulla applicazione della democrazia e del liberalismo appare allora come una sinistra mistificazione. Si tratta forse della conseguenza più nefasta delle scelte del periodo 1919-1920, regolarmente ripetuta in seguito.

(1) Gli inglesi dell’India non pensano ad una Arabia romantica, essi vogliono sfruttare ciò che si considerava allora come un immenso potenziale agricolo, quello della Mesopotamia, per poi «nutrire il mondo». Leggere Charles Tripp, « Leçons d’une histoire coloniale oubliée », Le Monde diplomatique, janvier 2003.
(2) Nel 1919, per sminuire il valore di questo accordo, i britannici lo chiameranno «accordo Sykes-Picot».
(3) Alla Conferenza della pace gli americani rifiuteranno con energia la rivendicazione giapponese di eguaglianza fra le razze.
(4) Oltre alla rimessa in discussione dell’accordo franco-britannico, Londra vuole anche mettere dalla sua parte la supposta potenza occulta degli ebrei sui destini della Russia e degli Stati Uniti. Infine, l’accettazione delle tesi sioniste si trova facilitata dall’impregnazione biblica della cultura religiosa britannica.
(5) Ministro francese degli Affari esteri (Le Monde diplomatique si è appena trasferito nella strada che porta il suo nome).
(6) Stephen Roskill, Hankey, Man of Secrets, Collins, Londres, vol. II, 1972, pp. 28-29.



Lunedì, 14 aprile 2003