Con l’elezione, il 30 settembre, di un’Assemblea costituente con maggioranza a favore del presidente Rafael Correa gli ecuadoriani gli hanno dato carta bianca per modificare le regole del gioco politico-economico. Nonostante sia stata ampiamente sconfitta nelle urne, la destra si compone in ordine di battaglia per opporsi al suo progetto: economia regolamentata, redistribuzione sociale [della ricchezza], democrazia partecipativa, integrazione regionale, «socialismo del XXI secolo»… ma il vento del cambiamento soffia su tutta la zona. Dal nostro inviato speciale Hernando Clavo Ospina, giornalista «Comincia adesso la sfida del cambiamento, lancia Rocío Peralbo, giornalista e militante di Diritti dell’Uomo. Tutte le condizioni sono favorevoli, saremo noi i soli colpevoli se falliremo». Mai la storia dell’Ecuador aveva visto un trionfo elettorale tanto strabiliante. Il 30 settembre il 70% hanno accordato la loro preferenza ai candidati del movimento Alianza País (Alleanza Paese) (1), , che partecipano al progetto del presidente Rafael Correa. Con ottanta rappresentanti su centotrenta essi avranno un’ampia maggioranza nell’Assemblea Costituente, con la quale il capo dello Stato vuole «rifondare la Repubblica» e mettere in opera un modello di sviluppo che rompe con il neoliberalismo (2). L’Alleanza Paese è nata alla fine del 2005. «non era un raggruppamento d’illuminati, ma un movimento che si nutriva delle lotte e degli sforzi di numerosi settori sociali e politici», spiega Alberto Acosta, già ministro dell’Energia e delle Miniere e futuro presidente dell’Assemblea costituente. Da questo movimento è uscito il candidato Correa, economista e professore universitario, vincitore in novembre-dicembre 2006 dell’elezione presidenziale. «Eravamo specialisti della protesta. Avuto accesso al potere abbiamo dovuto cominciare a costruire». La sede del governo si trova a Quito, nel palazzo Carondelet, un monumento di architettura coloniale. Nel suo sobrio ufficio il presidente Correa afferma: «Abbiamo dato l’avvio a una “rivoluzione di cittadini”, che deve portarci a trasformare radicalmente, profondamente e rapidamente le strutture di questo Paese. Quelle che vi si trovano adesso non funzionano più». Conducenti di taxi, edicolanti, lustrascarpe, impiegati d’ufficio… tutti – in ogni caso molti – credono in questo progetto portato avanti dal capo dello Stato. In un Paese che ha visto otto presidenti in dieci anni essi non hanno alcuna fiducia nel Parlamento, che considerano incompetente e corrotto. Un rifiuto impressionante della «partitocrazia» - così Correa chiama i partiti, feudi e gruppi diretti da caudillos che fino ad allora dominavano la scena politica. A un punto tale che, in occasione delle elezioni che lo videro trionfare alla presidenza, il suo movimento Alleanza Paese non ha presentato alcun candidato alle legislative, lasciando con questo il Parlamento nelle mani dell’opposizione. E giocando fino in fondo la carta dell’Assemblea costituente, che potrebbe sostituirlo. Vescovo di Esmeraldas, mons. Eugenio Arellano vive in Ecuador da più di trent’anni, «sempre molto vicino al popolo», ciò che lo ha portato ad affermare di conoscere…«il 90% dei suoi abitanti». «Questo nuovo governo ha suscitato una speranza molto grande nella popolazione: quella di migliorare radicalmente la proprie condizioni di vita». Affermando che la Chiesa ecuadoriana ha fatto la sua scelta aggiunge: «Noi dobbiamo sostenere, accompagnare, diventare i propagatori di questa speranza». Ma, come dice un’espressione popolare, «il cammino è cosparso di spine [lett.: serpenti]». L’Ecuador conta circa tredici milioni d’abitanti. Nel 2006, secondo l’Istituto nazionale di statistica e censimento (INEC) (3), il 12,9% dei cittadini non arrivava a disporre di 75 centesimi di euro al giorno per sopperire alla propria alimentazione e figuarava nella categoria degli «indigenti». In media il 38,3% degli ecuadoriani vivevano in uno stato di povertà cronica, il 60% era sotto-occupato. Secondo la stessa fonte, il 26% delle famiglie ha fatto ricorso all’indebitamento, durante il 2006, per fare fronte a spese come la salute, l’alimentazione, l’educazione, ecc. il resto dei dati economico-sociali è coerente. I progetti di sviluppo del governo di R. Correa trovano la loro fonte immediata di finanziamento nel petrolio, del quale in America latina l’Ecuador è il quinto produttore. Le storie dell’uno e dell’altro – dell’Ecuador e del petrolio – sono strettamente legate. Nel 1972 un colpo di Stato ha portato al potere «militari nazionalisti devoti alla sovranità del Paese», racconta il contrammiraglio a riposo Gustavo Jarrin che, all’epoca, era stato nominato ministro delle Risorse naturali ed energetiche. Fino ad allora nelle mani di multinazionali americane, lo sfruttamento petrolifero passa sotto il controllo dello Stato. Molte imprese straniere lasciano il Paese, le altre accettano le condizioni dei militari, compresa la riduzione della durata dei contratti di sfruttamento, che passa da cinquanta a vent’anni. Nel novembre 1973, poiché l’Ecuador si integra nell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (OPEP), gli Stati Uniti sospendono il loro aiuto militare. Ma ormai lo Stato percepisce il 90% dei ricavi petroliferi invece di circa il 5%, dando origine al periodo d’oro dell’economia. L’amm. Jarrin ricorda con passione che nel 1978 il sistema democratico era ristabilito, con l’arrivo al potere del candidato di un piccolo partito del centro-sinistra, Jaime Roldós, che morirà il 24 maggio 1981 in un incidente aereo di origine sospetta. In seguito e in meno di trent’anni la situazione si rovescia: di nuovo l’80% dei ricavi petroliferi vanno nelle casse delle multinazionali. «In alcuni casi i terreni ceduti per lo sfruttamento petrolifero comprendevano perfino la chiesa e il parco pubblico del villaggio». Ricupero delle risorse petrolifere «Incredibile ma legale, conferma Acosta. È scritto nella Costituzione. L’argomento? Libertà per gli investimenti stranieri». Ministro dell’Energia e delle miniere nel primo gabinetto Correa e messo di fronte all’impossibilità di poter cambiare alcunché nel quadro delle leggi in vigore – poiché il Parlamento era sempre nelle mani dell’opposizione – ha dato le dimissioni dalla sua funzione in giugno per poter presentarsi come candidato all’Assemblea costituente. «Il petrolio non è stato il garante dello sviluppo dell’Ecuador, anche se è stato essenziale per l’economia». Effettivamente le popolazioni che hanno il più forte indice di povertà – e di tumori – si trovano nelle province petrolifere. «Si è distrutta l’Amazzonia e due popoli nativi sono scomparsi a causa della mancanza di dignità dei governi e dell’azione delle transnazionali, che hanno agito come imprese di demolizione». Il ricupero delle risorse petrolifere è stato messo all’ordine del giorno a partire dalla campagna elettorale di Correa. Come in Venezuela, come in Bolivia, gli investitori stranieri saranno i benvenuti se si sottomettono agli interessi nazionali. «E l’apertura commerciale a oltranza non sarà accettata, precisa Acosta. Nessuno dei Paesi che si sono aperti in questo modo ne è uscito vincente; al contrario, hanno tutti subito enormi perdite». Altro compito strategico: la conquista della sovranità regionale. «Dobbiamo seppellire questa visione di apertura all’Impero (gli Stati Uniti) e di chiusura nei confronti dei nostri vicini. Bisogna lottare per l’integrazione latino-americana» in questo campo, spiega Correa, «sono un “operaio” in più, al fianco dei presidenti Hugo Chavez e Evo Morales. Senza dimenticare i capi di Stato di Brasile e Argentina, che hanno anch’essi questa disposizione». In agosto, Quito e Caracas hanno così firmato un accordo d’integrazione energetica basato sulla costruzione di una raffineria a Manabí (Ecuador). Questo impianto d’ora in poi eviterà ai due Paesi di esportare il loro petrolio greggio (al prezzo delle multinazionali) per importarlo una volta raffinato (al prezzo del mercato mondiale)». L’integrazione è necessaria e inevitabile, prosegue il presidente. Molti forse non se ne rendono conto, ma questa parte del mondo vive un momento straordinario. Noi dobbiamo contribuire a costruire la grande patria della quale sognava Simón Bolívar ». Inutile precisare che, negli ambienti conservatori, questo discorso non fa fare salti di gioia. Giornalista star dei programmi politici della catena TV Teleamazonas, Jorge Ortiz ha ben pochi dubbi riguardo alla direzione che prenderà il progetto di Correa. «Molto probabilmente sceglierà il modello economico “chavista”, ne ha già copiato il concetto di “socialismo del XXI secolo”, il cui vero significato nessuno conosce». La prossimità col suo omologo venezuelano Chàvez è l’argomento più utilizzato per attaccare il presidente Correa. Il paragone non è assolutamente dovuto al caso. Da parecchi anni la grande stampa ecuadoriana picchia duro: Chàvez è un «demonio», un «pazzo», e un «comunista», che ha impoverito e diviso il suo popolo. Non vi è alcuna necessità di cambiamenti strutturali in Ecuador, afferma Ortiz. «Perché non conservare il modello economico in essere, dal momento che ha funzionato finora? Si tratta soltanto di rafforzarlo». In occasione delle interviste al presidente il passato non esiste; sembrerebbe che i problemi del Paese siano iniziati il 15 gennaio 2007, giorno del suo insediamento. Poiché l’obiettivo di certi giornalisti è evidentemente quello di «incastrarlo», egli li disarma grazie alla sua formazione universitaria, alla sua eccellente memoria e al fatto di essere costantemente ben informato. Dimostra loro che essi mentono, che speculano con i numeri e i fatti. Disperati, essi attaccano con maggiore intensità. Ortiz sostiene che essi agiscono con lui come facevano con i suoi predecessori. «La differenza sta nel fatto che gli altri accettavano la contraddizione, mentre lui è visceralmente intollerante. Discredita la stampa per sottrarsi alle critiche e in un certo qual modo distruggere il sistema democratico esistente». Pur non essendo «correista», Rodrigo Santillàn, già presidente dei giornalisti e presidente del loro “tribunale deontologico”, riconosce che, dall’istante in cui «ha cominciato a parlare della necessità di cambiamenti nelle strutture della nazione», Correa ha subito una valanga di attacchi e d’insulti «provenienti dai media più importanti». Santillàn confessa di vergognarsi dello spettacolo dato dalla sua professione. «Invece di essere deferito al giurì d’onore, due giornalisti che durante una conferenza stampa hanno pubblicamente insultato il presidente sono stati trasformati in eroi (4)». L’aggressività di uno di loro fu tale che il servizio di sicurezza del capo dello stato dovette espellerlo. In un Paese nel quale non esiste alcuna rete televisiva o radiofonica pubblica Correa – che conta porre rimedio a questa situazione insolita – ogni sabato si ritira in una città [diversa] per «rendervi conto» alla popolazione. Ogni volta egli invita due o tre giornalisti. Rocío Peralbo constata che, per la prima volta, quelli dei media alternativi e provinciali hanno voce in capitolo. «questo non fa altro che accrescere lo scontento della stampa verso il presidente». La sua risposta è stata chiara e netta: «Noi democratizziamo l’informazione. Abbiamo deciso di non accordare altri privilegi a coloro che da sempre sono privilegiati». Nel corso dell’anno, coordinata con i principali media ecuadoriani, qualche organizzazione internazionale di difesa della libertà d’espressione, distogliendo lo sguardo da questa collusione fra mezzi di comunicazione di massa e poteri economico-finanziari, hanno protestato contro la decisione presidenziale di non accordare interviste a certi giornalisti. Anche qui il capo dello stato non ha avuto peli sulla lingua: «Se alcuni mi hanno insultato e hanno deformato il mio pensiero, in quanto persona e presidente ho la libertà d’espressione di dire loro che non mi presto a quel loro gioco in nome della libertà di stampa». L’ex ministro Acosta vede un altro motivo di tensione nel fatto che, per la prima volta, un governo «non ha rapporti incestuosi con la stampa. Non siamo il solo Paese al mondo dove questo accade, ma qui era cosa normale che i proprietari di media si trovassero nominati a posti onorifici che nulla avevano a che vedere con la professione». In Ecuador, su sette reti televisive, sei appartengono a gruppi bancari o dipendono da clan finanziari. Non è quindi difficile confondere libertà d’espressione e libertà d’impresa. «La classe sociale formata da un centinaio di famiglie, la stessa che ha tenuto le redini del potere, afferma Arellano, ha fabbricato l’opinione pubblica e generato una sorta di filosofia sociale a suo favore, perché possedeva i mezzi d’informazione più grandi». «La democrazia è buona, precisa il presidente, fino al giorno in cui gli interessi del settore oligarchico sono minacciati. Fino al giorno in cui un governo pretende di ridistribuire le ricchezze della nazione. In quel momento l’aggressività della stampa si risveglia. Quindi, anche se i grandi mezzi di comunicazione di massa e i loro giornalisti non sono responsabili dei mali del Paese, vi contribuiscono seriamente». Per quanto lo riguarda, Santillàn «sa» che l’ambasciata americana a Quito agisce, con discrezione, ma agisce. «Essa entra sempre più in combutta con i grandi media. Che ne sono estasiati. Non manca più molto perché la campagna di demonizzazione del presidente divenga massiccia. È un primo passo verso il tentativo di destabilizzazione». L’attuale determinazione del governo ecuadoriano rientra, dal punto di vista di Washington, nella categoria dell’insubordinazione. «Noi speriamo che gli Stati Uniti, ma anche l’Unione Europea o qualunque altra nazione ci rispettino, dichiara con fermezza Correa, e che nessuno tenterà di dettarci le politiche che dobbiamo seguire né di realizzare qualsiasi tipo d’intervento». Tuttavia, più di un’azione degli Stati Uniti contro il governo, attualmente è il conflitto in Colombia che costituisce fonte d’inquietudine a Quito. Circa cinquecentomila colombiani si trovano in Ecuador, numerosi dei quali fanno parte dei profughi che sono dovuti sfuggire agli scontri. Ogni giorno centinaia di persone cercano un rifugio temporaneo da questa parte della frontiera. In quella regione limitrofa la situazione è talvolta molto tesa, anche se il governo ecuadoriano e le sue forze armate hanno agito con prudenza e umanità. Correa ha annunciato che non si intrometterebbe nella guerra civile che devasta il Paese vicino. Che non qualificherebbe neppure come «gruppo terrorista» i guerriglieri delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC). Ha ripetuto che il suo governo è disposto a contribuire alla ricerca di una soluzione politica del conflitto. Ma rimane categorico affermando che «il piano Colombia, messo in atto da Bogotà e Washington, è un piano militarista e violento che, invece di aiutare a risolvere la situazione drammatica esistente, non fa che aggravarla». Correa non soltanto ha preteso dal suo omologo colombiano Alvaro Uribe che interrompa le aspersioni aeree di diserbanti sulle piantagioni di coca vicine alla frontiera, ma ha anche avvertito che, se necessario, porterebbe questo problema davanti ai tribunali internazionali. Commissioni governative e indipendenti hanno riconosciuto i gravi effetti che i prodotti chimici utilizzati hanno sulle persone, l’acqua , gli animali e le piante. «Il nostro vicino è un Paese fratello, ma noi dobbiamo mettere dei limiti al piano Colombia». D’altra parte un’altra inquietudine aleggia a Quito: il governo colombiano potrebbe essere il cavallo di Troia di Washington per sostenere un tentativo di destabilizzazione del governo ecuadoriano. Esso ha agito così, in più riprese, nei confronti del Venezuela. Se il governo non godesse di un sostegno popolare massiccio, pensano molti, «già da tempo ci sarebbe stato un tentativo di colpo di Stato». Tuttavia, sempre in contatto con gli ufficiali di alto rango, il contrammiraglio Jarrin assicura: «Non ho percepito la benché minima intenzione da parte loro di partecipare a un’avventura di questo genere». È pur vero che il governo sta guadagnandosi le simpatie dei militari, grazie alle misure prese a loro favore. In condizioni di lavoro e di vita difficili, in passato militari e poliziotti non sono stati trattati bene dal potere. Per di più, importanti progetti di sviluppo su piano nazionale sono affidati al corpo degli ingegneri delle forze armate. L’iniziativa non va a genio alle imprese private e straniere, ma il governo difende la capacità di questi professionisti e ricorda che, secondo logica, una parte del denaro investito in questo modo sarà ricuperato dallo Stato. Fino ad ora, si afferma a palazzo Carondelet, «tutto era fatto in funzione del capitale finanziario speculativo e non già dei reali generatori di ricchezza». In Ecuador si è giunti talvolta a simili contraddizioni, tali che il settore produttivo si trovava in crisi, mentre il settore finanziario, che lo amministra, batteva tutti i record d’incassi. «Il problema è che numerosi capi d’impresa frodano: non pagano le imposte, sfruttano i loro lavoratori, non rispettano l’ambiente, ecc. costoro devono nutrire effettivamente qualche timore con il nostro progetto di Stato nuovo. Essi preferirebbero assistere alla destabilizzazione di questo governo che non potranno dominare». Il giornalista Ortiz vede l’avvenire con occhio pessimista, per non dire catastrofico. «Grandi scontri scoppieranno, in particolare perché il presidente Correa è diventato un uomo che suscita odio, rivalità, divisioni fra ecuadoriani». Al contrario Arellano propone un’altra spiegazione delle difficoltà future: «La minoranza di privilegiati si accanisce per mettere fine a questo progetto di vita. Lo choc verrà alla loro parte, perché si metterà mano ai loro smisurati privilegi. Essi si sentono come il bambino al quale si toglie il seno che lo nutre: piangono». Hernando Calvo Ospina. (1) Al quale si uniscono alcuni alleati come il Movimento popolare democratico (MPD) e il movimento indigeno Pachakutik. (2) Diretto dall’ex presidente Lucio Gutierrez, dimesso dalle sue funzioni da una mobilitazione popolare nell’aprile 2005, il Prtito socialista patriottico (PSP) ha soltanto superato di poco il 7% dei voti. Il partito rinnovatore istituzionale di azione nazionale (Prian), del magnate delle banane Alvaro Noboa, ha ottenuto il 6,5% dei suffragi. Il quarto posto spetta al Partito sociale-cristiano (PSC, 3,7%), che ha diretto la politica ecuadoriana durante due decenni. (3) « Las condiciones de vida de los Ecuatorianos », Instituto nacional de estadistica y censos, Quito, 2006 ; www.inec.gov.ec/default.asp (4) Emilio Palacios, del quotidiano El Universal, e Alfonso Espinosa de los Monteros, direttore dei telegiornali sulla rete televisiva Ecuavisa. Quest’ultimo rifiutò il posto di vice-presidente che gli si propose al PSC in occasione delle votazioni del 2006.
Dal quotidiano ecuadoriano Hoy (Oggi) Quito, Jueves 15 de Noviembre de 2007 - Boletines informativos • Especiales Online http://www.hoy.com.ec/home.htm
Solo para demócratas Por Thalía Flores y Flores Es interesante escuchar al presidente Correa cuando confiesa que aunque le fascina cantar está consciente de no hacerlo bien. Tanta certeza tiene de su deficiencia que asegura que si se habría inscrito en un coro, su director lo habría reconocido por su constancia, pero jamás incluido en el grupo. La actitud del jefe de Estado evidencia certezas sobre sus propios límites y honestidad intelectual, lo que es bueno para un dirigente, aunque sin efectos directos sobre sus gobernados. Lo triste es que estas cualidades le son esquivas cuando alude a temas constitucionales, y emite sui géneris opiniones sobre la democracia, esto sí con efectos perniciosos sobre la sociedad. Tras una década de grave inestabilidad política que llevó al Ecuador a tener ocho presidentes en 10 años, renunciar a su propia moneda y expulsar a más de 2 millones de compatriotas a quienes no pudo dar empleo, el mayor desafío no parece ser rediseñar el nuevo mapa geopolítico y la carta de navegación del país, sino enrrumbarlo sin causar lesiones que dejen traumas. A cuenta del innegable enorme respaldo electoral, Acuerdo País pretende hoy atribuirse condiciones de perdona vidas, decidiendo quién se va y quién se queda en el poder. Qué se cambia totalmente y qué se renueva parcialmente, extraño en los estados de derecho y frecuente en los totalitarismos. Actitudes semejantes desbordan los límites autoimpuestos por las democracias, donde la cancha no la diseñan los jugadores, actores sociales de apenas un tramo de la infinita historia de los pueblos, sino que están en los textos y manuales universales que perduran desde que la civilización descubrió una fórmula para el buen vivir en sociedad. Los triunfos electorales continuos y contundentes de Alianza País y Rafael Correa son en realidad un aval para que lideren el viraje institucional que necesita de urgencia este país que, democráticamente, parece haber permanecido en terapia intensiva. Pero pretender matar al Estado enfermo, en lugar de suministrarle las dosis adecuadas de medicinas es prueba de negligencia que arrastraría al aniquilamiento colectivo. Y es que intentar levantar la nueva arquitectura institucional derribando lo poco que queda de ella es ausencia de liderazgo, ya que líder es quien es capaz de recomponer el andamiaje torcido para levantar la nueva estructura sin causar traumas ni alterar la paz social. Con instituciones desarticuladas, partidos políticos reducidos a escombros, dirigencias empresariales, sindicales y gremiales que tras usufructuar del país se han autoarrinconado, temerosas y sin argumentos, las tentaciones totalitarias que hasta pretenden enfocar lo que suceda en las sesiones de la Asamblea solo desde el ángulo oficial, como en las dictaduras, más la tendencia a descalificar el criterio ajeno, probarían la creencia que sugiere que a algunos el poder les produce vértigo. Solo los verdaderos demócratas deberían ejercerlo. E-mail: tflores@hoy.com.ec
Testo originale: MALGRÉ LHOSTILITÉ DE LA DROITE, DES BANQUES, DES MÉDIAS, DES ETATS-UNIS... Champ libre pour transformer lEquateur Le Monde Diplomatique, novembre 2007 En élisant, le 30 septembre, une Assemblée constituante majoritairement acquise au président Rafael Correa, les Equatoriens lui ont mis toutes les cartes en main pour modifier les règles du jeu politico-économique. Bien que largement battue dans les urnes, la droite se met en ordre de bataille pour affronter son projet : économie régulée, redistribution sociale, démocratie participative, intégration régionale, « socialisme du XXIe siècle »... Mais le vent du changement souffle sur toute la région. Par notre envoyé spécial Hernando Calvo Ospina ** Journaliste. Cest maintenant que commence le défi du changement, lance Rocío Peralbo, journaliste et militante des droits de lhomme reconnue. Toutes les conditions sont favorables, nous serons les seuls coupables si nous échouons. » Jamais lhistoire de lEquateur navait vécu triomphe électoral aussi époustouflant. Le 30 septembre, 70 % des électeurs ont accordé leur confiance aux candidata du mouvement Alianza País (Alliance pays) (1), qui partagent le projet du président Rafael Correa. Avec quatre-vingts représentants sur cent trente, ils auront une majorité confortable à 1Assemblée constituante gràce à laquelle le chef de 1Etat veut « refonder la République » et mettre en ceuvre un modèle de développement en rupture avec le néolibéralisme (2). L; Alliance pays est née fin 2005. « Ce nétait pas un regroupement d illuminés, mais un mouvement qui se nourrissait des luttes et des efforts de nombreux secteurs sociaux e! politiques », explique M. Alberto Acosta, ancien ministre de lénergie et des mines et futur président de 1Assemblée constituante. De ce mouvement est issu le candidat Correa, économiste et professeur duniversité, vainqueur de lélection présidentielle en novembre-décembre 2006. «Nous étions des spécialistes de la protestation. En accédant au pouvoir, nous avons dú commencer à construire. » Cest à Quito, dans le palais Carondelet, un monument darchitecture coloniale, que se trouve le siège du gouvernement. Dans son sobre bureau, le président Correa affirme : « Nous avons entrepris une "révolution citoyenne" qui doit nous amener à transformer radicalement, profondément et rapidement les structures de ce pays. Celles qui sont en piace ne fonctionnent plus. » Chauffeurs de taxi, vendeuses de journaux, cireurs de bottes, employés de bureau... Tous – en tout cas beaucoup – croient en ce projet conduit par le chef de 1Etat. Dans un pays qui a connu huit présidents en dix ans, ils ne font aucune confiance au Congrès, quils considèrent comme incompétent et corrompu. Un refus frappant de la o partitocratie » – cest ainsi que M. Correa nomme les partir, fiefs et groupes dirigés par des caudillos qui dominaient jusque-là la scène politique. A tel point que, lors des élections qui le virent triompher à la présidentielle, son mouvement Alliance pays na présenté aucun candidat aux législatives, laissant de ce fait le Congrès entre les mains de lopposition. Et jouant à fond la carte de lAssemblée constituante, qui pourrait se substituer à celui-ci. Evéque dEsmeraldas, MO Eugenio Arellano vit depuis plus de trente ans en Equateur, « toujours très proche du peuple », ce qui lamène à avancer quil connait... « 90 % de ses habitants ». « Ce nouveau gouvernement a généré un très grand espoir au sein de la population : celui daméliorer radicalement ses conditions de vie. » Affirmant que lEglise équatorienne a fait son choix, il ajoute : « Nous devons soutenir, accompagner, devenir les propagateurs de cet espoir. » Mais, comme le dit une expression populaire, « le chemin est semé de couleuvres ». L’ Equateur compte environ treize millions dhabitants. En 2006, daprès lInstitut national de statistiques et recensements (INEC) (3), 12,9 % des citoyens ne disposaient pas de 75 centimes deuro par jour pour subvenir à leur alimentation et figuraient dans la catégorie des « indigente ». En moyenne, 38,3 % des Equatoriens vivaient dans une pauvreté chronique ; 60 % étaient sous-employés. Daprès la même source, 26 % des familles ont eu recours à lendettement, en 2006, pour faire face à des dépenses de type santé, alimentation, éducation, etc. Le reste des données économico-sociales est à lavenant. Les projets de développement du gouvernement de M. Correa trouvent leur source immédiate de financement dans le pétrole, dont lEquateur est le cinquième producteur en Amérique latine. Les histoires de lun et de lautre – lEquateur et le pétrole – étant étroitement liées. En 1972, un coup dEtat a mis au pouvoir « des militaires nationalistes attachés à la souveraineté du pays », raconte lancien contre-amiral Gustavo Jarrin, qui, à lépoque, fut nommé ministre des ressources naturelles et énergétiques. Jusqualors aux mains de multinationales américaines, lexploitation pétrolière passe sous le contrôle de l’Etat. Plusieurs entreprises étrangères quittent le pays, les autres acceptent les conditions des militaires, y compris la réduction de la durée des contrats dexploitation, qui passe de cinquante à vingt ans. En novembre 1973, lEquateur intégrant lOrganisation des pays exportateurs de pétrole (OPEP), les Etats-Unis suspendent leur aide militaire. Mais, désormais, l’Etat perçoit 90 % des revenus pétroliers au lieu denviron 5 %, provoquant les beaux jours de léconomie. M. Jarrín se souvient avec passion quen 1978 le système démocratique est rétabli, avec larrivée au pouvoir du candidat dun petit parti de centre gauche, Jaime Roldós. Celui-ci mourra le 24 mai 1981 dans un accident davion tenu pour douteux. Par la suite, et en moins de trente ans, la situation se renverse : de nouveau, 80 % des bénéfices pétroliers tombent dans les poches des transnationales. « Dans certains cas, les terrains cédés aux exploitations pétrolières comprenaient même léglise et le pare du village ! » Récupération des ressources pétrolières «Incroyable mais légal, confirme M. Acosta. Cest inscrit dans la Constitution. Largument ? La liberté pour les investissements étrangers. » Ministre de lénergie et des mines dans le premier cabinet de M. Correa, et confronté à limpossibilité de pouvoir changer quoi que ce soit dans le cadre des lois en vigueur – le Congrès étant toujours entre les mains de Iopposition –, il a démissionné en juin de sa fonction pour pouvoir se présenter comme candidat à lAssemblée constituante. « Le pétrole na pas été le garant du développement de lEquateur, même sil a été essentiel pour léconomie. » De fait, les populations qui connaissent le plus fort indice de pauvreté – et de cancer ! – se trouvent dans les provinces pétrolières. « On a détruit 1Amazonie, et deux peuples natifs ont disparu à cause du manque de dignité des gouvernements et de laction des transnationales, qui ont agi comme des entreprises de démolition. » La récupération des ressources pétrolières a été mise à lordre du jour dès la campagne de M. Correa. Comme au Venezuela, comme en Bolivie, les investisseurs étrangers seront les bienvenus sils se plient aux intérêts nationaux. « Et louverture commerciale à outrance ne sera pas acceptée, précise M. Acosta. Aucun des pays qui se sont ouverts de cette manière nest sorti gagnant ; au contraire, ils ont énormément perdu. » Autre tâche stratégique : la conquête de la souveraineté régionale. « Nous devons enterrer cette vision douverture à lEmpire [les Etats-Unis] et de fermeture à Iégard de nos voisins. II faut lutter pour lintégration latino-américaine. » Dans ce domaine, explique M. Correa, «je suis un "ouvrier" de plus, aux cótés des présidents Hugo Chàvez et Evo Morzrles. Sans oublier les chef d Etat du Brésil et d Argentine, qui sont aussi dans cet état desprit. » En aoút, Quito et Caracas ont ainsi signé un accord dintégration énergétique portant sur la construction dune raffinerie à Manabí (Equateur). Cette installation évitera désormais au pays dexporter son pétrole brut (au prix des multinationales) pour limporter une fois raffiné (au prix du marché mondial). « Lintégration est nécessaire et inévitable, poursuit le président. Peut-étre beaucoup de gens ne sen rendent-ils pas compre, mais cene partie du monde vit un moment extraordinaire. Nous devons contribuer à construire la grande patrie dont rêvait Simón Bolívar. » Inutile de préciser que, dans les milieux conservateurs, ce discours nouveau ne fait pas sauter de joie. Journaliste vedette des espaces politiques de la chaine Teleamazonas, Jorge Ortiz na que peu de doutes concernant la direction que prendra le projet de M. Correa : « Il est jòrt probable quil va choisir le modèle économique "chaviste"; il a déjà copié le concept de "socialisme du XXI siècle", doni personne ne sait vraiment ce quil signifie. » La proximité avec son homologue vénézuélien Chàvez est largument le plus utilisé pour attaquer le président Correa. La comparaison ne doit rien au hasard. Depuis plusieurs années, la grande presse équatorienne matraque : M. Chàvez est un « démon », un «fou », un e communiste », qui a appauvri et divisé son peuple. Aucun besoin de changements structurels en Equateur, affirme Ortiz. « Pourquoi ne pas conserver le modèle économique en place, puisquil a fonctionné jusque-là ? 11 ny a quà le renforcer. » Lors des interviews du président, le passé nexiste pas ; il semblerait que les problèmes du pays aient commencé le 15 janvier 2007, jour de sa prise de fonctions. Lobjectif de certains journalistes étant, à lévidence, de le « coincer », celui-ci les désarme gràce à sa formation universitaire, à son excellente mémoire et parce quil est toujours bien informé. Il leur démontre quils mentent, quils spéculent avec les chiffres et les faits. Désespérés, ils attaquent de plus belle. Ortiz soutient quils agissent avec lui comme ils le faisaient avec ses prédécesseurs. « La différence, c est que les autres acceptaient la contradiction, alors que lui est viscéralement intolérant. Il discrédite la presse pour se soustraire aux critiques et pouvoir de certe fagon détruire le système démocratique existant. » Sans étre « corréiste », Rodrigo Santillàn, ancien président de 1Union nationale des journalistes et président de son tribuna/ dhonneur, reconnait que, dès linstant où M. Correa « a commencé à parler de la nécessité de changements dans les structures de la nation », il a subi une avalanche dattaques et dinsultes « en provenance des médias les plus importants ». Santillàn avoue quil a honte du spectacle donné par la profession : « Au lieu détre conduits devant le tribuna/ dhonneur, deux journalistes qui [lors dune conférence de presse] ont publiquement insulté le président ont été convertis en héros (4). » Lagressivité de lun deux fut telle que le servite de sécurité du chef de lEtat dut lexpulser. Dans un pays où il nexiste aucune chaine publique de télévision ou de radio, M. Correa — qui compte remédier à cette situation insolite — se déplace chaque samedi dans une ville pour y « rendre des comptes » à la population. A chaque fois, il invite deux ou trois journalistes. Rocío Peralbo constate que, pour la première fois, ceux des médias alternatifs et provinciaux ont voix au chapitre. « Cela na fait quaccroitre le malaise de la presse envers le président. » La réponse de celui-ci a été claire et nette : « Nous démocratisons Information. Nous avons décidé de ne pas accorder davantage de privilèges à ceux qui, depuis toujours, sont privilégiés. » Au cours de lannée, en coordination avec les principaux médias équatoriens, quelques organisations internationales de défense de la liberté dexpression, détournant les yeux de cette collusion entre médias et pouvoirs économiques et financiers, ont protesté contre la décision présidentielle de ne pas accorder dentretiens à certains journalistes. Là encore, le chef de lEtat na pas mâché ses mots : « Si certains m ont insulté et ont déformé mes propos, jai, en tant que personne et président, la liberté d expression de leur dire que je ne me prête pas à ce jeu-là au nom de la liberté de la presse. » Lancien ministre Acosta voit un autre motif de tension dans lc fait que, pour la première fois, un gouvernement «na pas de rapport incestueux avec la presse. Nous ne sommes pas le seul pays au monde où cela se produit, mais ici il était norma! que les propriétaires de médias se retrouvent nommés à des postes honorifiques n ayant rien à voir avec la profession ». En Equateur, sur sept chaines de télévision, six appartiennent à des groupes bancaires ou dépendent de clans financiers. Il nest donc pas difficile de confondre liberté dexpression et liberté dentreprise. « La classe sociale formée par une centaine de familles, la même qui a tenu les rênes du pouvoir; affirme Mg` Arellano, a fabriqué 1opinion publique et généré une espèce de philosophie sociale en sa faveur, parce quelle possédait les plus grands médias dinformation. » « La démocratie est bonne, précise le président, jusquau jour où les intérêts du secteur oligarchique sont menacés. Jusquau jour où un gouvernement prétend redistribuer les richesses de la nation. A ce moment-là, 1agressivité de la presse se réveille. Donc, même si les grands médias et leurs journalistes ne sont pas responsables des maux du pays, ils v contribuent sérieusement. » En ce qui le concerne, Santillàn «sait» que lambassade américaine à Quito agit, discrètement, mais agit. « Elle sacoquine de plus en plus avec les grands médias. Qui sont ravis. Il ne manque pas grande chose pour que la campagne de diabolisation du président devienne massive. Cest un premier pas vers la tentative de déstabilisation. » La détermination actuelle du gouvernement équatorien entre, vue depuis Washington, dans la catégorie de linsoumission. « Nous espérons que les Etats-Unis, mais aussi lUnion européenne ou n importe quelle autre nation, vont nous respecter, déclare avec fermeté M. Correa, et qu aucun n essaiera de nous dicter les politiques que nous devons suivre, ni de réaliser un quelconque type dintervention. » Toutefois, plus quune action des Etats-Unis contre le gouvernement, cest actuellement le conflit en Colombie qui constitue une source dinquiétude à Quito. Environ cinq cent mille Colombiens sont installés en Equateur ; nombre dentre eux font partie des « déplacés » qui ont dù fuir les affrontements. Chaque jour, des centaines de personnes cherchent un refuge temporaire de ce còté de la frontière. Dans cette région limitrophe, la situation est parfois très tendue, méme si le gouvernement équatorien et ses forces armées ont agi avec prudence et humanité. M. Correa a annoncé quil ne simmiscerait pas dans la guerre civile qui ravage le pays voisin. Quil ne qualifierait pas non plus la guérilla des Forces armées révolutionnaires de Colombie (FARC) de groupe « terroriste ». Il a répété que son gouvernement est disposé à contribuer à la recherche dune solution politique du conflit. Mais il reste catégorique en affirmant que « le plan Colombie, mis en ceuvre par Bogotà et Washington, est un plan militariste et violent qui, au lieu daider à résoudre la situation dramatique, na fait que laggraver ». Non seulement M. Correa a exigé de son homologue colombien Alvaro Uribe quil interrompe les aspersions aériennes sur les plantations de coca proches de la frontière, mais il a aussi averti que, si nécessaire, il porterait cette affaire devant les tribunaux internationaux. Des commissions gouvernementales et indépendantes ont reconnu les graves effets des produits chimiques utilisés sur les humains, leau, les animaux et les plantes. « Notre voisin est un pays frère, mais nous devons mettre des limites au plan Colombie. » Une autre inquiétude existe par ailleurs à Quito : le gouvernement colombien pourrait étre le cheval de Troie de Washington pour soutenir une tentative de déstabilisation du gouvernement équatorien. A plusieurs reprises, il a agi ainsi à 1égard du Venezuela. Si le gouvernement ne bénéficiait dun soutien populaire massif, pensent beaucoup, « il y a longtemps quil y aurait e une tentative de coup dEtat ». Néanmoins, toujours en contact avec les officiers de haut rang, le contre-amiral Jarri assure : «.Je nai pas perçu la moindre intention chez eux de participer à un aventure de ce genre. » Il est vrai que le gouvernement est en train de gagner la sympathie des militaires grâce aux mesures quil a prises e leur faveur. Avec des conditions de travail et de vie pénibles, militaires et policiers nont pas été bien traités par le pot voir dans le passé. De plus, dimportants projets de développement national sont confiés au corps dingénieurs des forces armées. Linitiative nest pas du gout des entreprises privées et étrangères, mais le gouvernement défend la capacité de c( professionnels et rappelle que, en tour logique, une partie de largent investi c cette manière sera récupérée par 1Etat. Jusqua présent, affirme-t-on au palais Carondelet, « tout était fait en fonction du capital financier spéculatif, et non pas des générateurs réels de richesse ». En Equateur, on a parfois atteint de telles contradictions que, tandis que le secteur productif se trouvait en crise, le secteur financier, qui ladministre, battait tour le records de bénéfices. « Le problème, c est que de nombreux chefs dentreprise fraudent : ils ne payent pas les impôts, exploitent leurs travailleurs, ne respectent pas lenvironnement, etc. Ceux-là doivent effectivement avoir quelques craintes avec notre projet de nouvel Etat Ils préféreraient assister à la déstabilisation de ce gouvernement quils ne pourront pas dominer » Le journaliste Ortiz voit lavenir d’un oeil pessimiste, pour ne pas dire catastrophé. « De grands affrontements vont éclater en particulier parce que le président Correa est devenu un homme qui provoque la haine, les rivalités, les divisions entre Equatoriens. » En revanche M° Arellano propose une autre explication des difficultés à venir : « La minorité de privilégiés sacharne à mettre fin à ce projet de vie. Le choc viendra de leur coté, car on va sen prendre à leurs privilèges démesurés. Ils se sentent comme lenfant à qui lon retire le sein qui le nourrit : ils pleurent. » HERNANDO CALVO OSPINA. (1) Auquel se joignent quelques alliés comme le Mouvement populaire démocratique (MPD) et le mouvement indigène Pachakutik. (2) Dirigé par lancien président Lucio Gutiérrez, démis de ses fonctions par une mobilisation populaire en avril 2005, le Parti société patriotique (PSP) na que légèrement dépassé 7 des voix. Le Parti rénovateur institutionnel action nationale (Prian), du magnat de la banane Alvaro Noboa, a obtenu 6,5 % des suffrages. La quatrième piace revient au Parti social-chrétien (PSC. 3,7 %), qui a dirigé la politique équatorienne durant deux décennies. (3) « Las condiciones de vida de los Ecuatorianos », Instituto nacional de estadistica y censos, Quito, 2006 ; www.inec.gov.ec/default.asp (4) Emilio Palacios, du quotidien EI Univeisnl, et Alfonso Espinosa de los Monteros. directeur des journaux télévisés sur la chaine de télévision Ecuavisa. Ce dernier refusa la piace de vice-président quon lui proposa au PSC lors de lélection de 2006.
Domenica, 18 novembre 2007
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