Diritti umani nel 60° della “Dichiarazione”

di don Aldo Antonelli  (12 novembre 2008)

A Bruxelles, una maggioranza di 369 voti (tutti i parlamentari conservatori, più i cosiddetti “liberali” e qualcosa di più di una trentina di socialisti) ha votato a favore della direttiva sui “procedimenti e norme comuni negli Stati membri per il ritorno dei cittadini di Paesi terzi che si trovano illegalmente nel loro territorio”, nota popolarmente come “Direttiva della vergogna”, perché comporta la rinuncia ai valori che la Vecchia Europa si vanta di difendere.

Argenpress, un’agenzia di stampa argentina, il  27 giungo 2008, ha pubblicato un articolo di Carlos Iaquinandi Castro in cui si stigmatizza il fatto con questi termini: «Ci troviamo indubbiamente di fronte ad una direttiva che viola la dignità e i diritti fondamentali delle persone straniere che, con il pretesto di regolare i flussi migratori, stabilisce norme che sono politicamente, socialmente ed eticamente discutibili; a una direttiva  che delibera soprattutto misure di polizia e che promuove i Centri di Internamento di Stranieri, paragonabili a un limbo carcerario, specie di Guantanamo Europee». E continua: «E non è sufficiente il marchio di “immigrato”. La direttiva europea tenta di costruire una nuova categoria di esseri umani: gli “illegali” o “irregolari”. Ora non sono più un “problema” economico o occupazionale, ora sono un problema di ordine pubblico, di sicurezza. Un fatto sociale trasformato in un fatto di polizia».

Purtroppo in ogni paese del mondo l’insicurezza delle città viene usata come arma politica dalle opposizioni: da Los Angeles ai maras del Centro America, ranchons venezuelani, favelas di Rio, villas miserias argentine. Per non parlare delle baraccopoli dell’Africa e dell’Asia dove mafie e guerriglie divorano le nuove generazioni. Questa volta, e in Italia in modo particolare, sono i rom sul banco degli imputati. Rom che Hitler aveva bruciato nei forni come gli ebrei. Rom che i paesi socialisti hanno ridotto alla schiavitù, servi della gleba moderni. Adesso che la Romania fa parte dell’Europa civile possono prendere il largo senza tribolazioni portandosi dietro furbizie e trasgressioni, pedagogia imparata per sopravvivere in qualche modo. Ecco l’allarme: invadono l’Italia. Nelle loro tribù vivono ladri, truffatori, ubriachi, qualche assassino. Appostati ai semafori infastidiscono le automobili delle nostre città dove non esistono ladri, imbroglioni, assassini, pedofili o mariuoli.

Italiani immacolati, loro criminali.

L’attuale deriva nazionalista e xenofoba, alimentata ad arte anche dalle scelte governative con la legge Fini Bossi per quanto riguarda gli immigrati e la più recente disposizione sulle impronte digitali da prendere ai bambini rom, ferisce a sangue l’anima di quanti, come me, nati nel primo dopoguerra, ricordano la grande migrazione italiana verso il Sud-America o il Canada o l’Australia per elemosinare pane e lavoro e dignità e futuro. L’Italia è stato il paese che ha ‘invaso’ con più immigrati il resto del mondo, senza che i cittadini italiani abbiano ricevuto per questo un trattamento disumano e vessatorio della loro dignità umana, come succede alle persone che approdano sulle nostre spiagge in cerca di futuro.

Ferisce questo “dagli all’untore” che si scatena ogni volta che c’è una rapina, un assassinio, un fatto di sangue. Salvo a scoprire poi che si tratta di italiani (vedi Erba), di concittadini (vedi Chiavenna) o addirittura di familiari (vedi Novi Ligure) e non sempre di immigrati.

Ferisce veder trattare gli immigrati come manodopera “usa e getta”, disposti ad accettarli solo per i lavori che nessuno di noi è più disposto a svolgere e solo per il periodo strettamente necessario.

La ferita diventa mortale se al ricordo del nostro recente passato aggiungiamo la nostra vocazione di cristiani che ci qualifica come “stranieri e pellegrini”, sic et simpliciter, in questo mondo.

Doppia, mortale ferita nel cuore del cittadino come nella coscienza del credente, in quanto demolisce il pilastro fondante del diritto civile, secondo il quale i diritti fondamentali “ineriscono la persona”, e rinnega, appunto, il comandamento categorico di quel Dio che ordina: “Non approfittare dello straniero e non opprimerlo, perché voi stessi siete stati stranieri in terra d’Egitto” (Esodo 22,20).

 

Il Diritto

Quando si afferma che ci sono dei diritti che sono inerenti la persona, si riconosce che quei diritti affondano le loro radici sul fatto di esserci di una persona e non sui suoi aggettivi. Il diritto alla vita, e a tutto ciò che la rende praticamente possibile, come il cibo, l’istruzione, la salute ecc., per esempio, è un diritto primo, a prescindere dal colore, dalla razza, dalla religione, dal censo e dal sesso e anche dalla nazionalità. La portata di questo principio appare ancora più pregnante ed anche destabilizzante per le nostre miopie narcisiste quando  si fa la necessaria distinzione tra “persona” e “individuo”. L’individuo non è altro che una semplice astrazione, cioè la selezione, a scopi pratici, di alcuni aspetti della persona.  “La mia persona, scrive Raimon Panikkar, si trova anche nei ’miei’ genitori, nei ’miei’ figli, nei ’miei’ amici, nei ’miei’ nemici, nei ’miei’ antenati e nei ’miei’ discepoli. La mia persona si trova anche nelle ’mie’ idee, nei ’miei’ sentimenti e nei ’miei’ averi... Un individuo è un nodo isolato; una persona è tutto il tessuto che sta intorno a quel nodo, frammento del tessuto totale che costituisce il reale. E’ innegabile che il tessuto, senza i nodi, si disferebbe; ma i nodi, senza il tessuto, non esisterebbero neppure. Una difesa troppo accanita dei miei diritti individuali, ad esempio, può comportare ripercussioni negative su altri e forse anche su me stesso"(InterCulture n. 5/06).

Se poi a questa distinzione aggiungiamo anche la distinzione tra legalità, quale corrispondenza alla legge, e legittimità, quale corrispondenza al diritto, apparirà ancora più chiara l’illegittimità di certe leggi.

“Il mondo del diritto è saturo di leggi - ebbe a denunciare ad alta voce Gustavo Zagrabelsky, vicepresidente della Corte Costituzionale in un discorso a Montecitorio il 25 giugno 2003 - La silenziosa sacralità del diritto è stata soppiantata dalla verbosa esteriorità della legge"

Contro quella che potremmo chiamare “giuridificazione” del mondo bisogna riconoscere che esistono zone dell’esistenza in cui la norma giuridica non deve entrare, o deve farlo con mitezza. L’uso autoritario del diritto può essere rischioso: trasformare l’uomo da soggetto libero e pensante a oggetto impacchettato.

 

L’Etica

Accostato all’orfano e alla vedova, lo straniero, nella Bibbia, fa parte di quei “senza dignità” che vivono nel bisogno, nella povertà, nella precarietà e quindi nella dipendenza. Coloro sui quali va posato con una particolare “preferenza” l’occhio del credente. Dal Dio della Genesi che pone un segno su Caino, il delinquente errante, perché nessuno abbia a toccarlo a Gesù di Nazareth che si identifica con lo straniero (“Ero straniero e mi avete ospitato”) quello dell’attenzione e dell’ospitalità verso l’emigrante è una costante non scorporabile dal messaggio biblico e, in particolare, evangelico. Così come, in negativo, riecheggia altisonante la maledizione verso coloro che disprezzano il forestiero, dal “Maledetto chi lede il diritto dello straniero!” (Deut. 27,19) al “Lontano da me, maledetti,…. Perché ero straniero e non mi avete ospitato” (Matteo 25).

A tal punto è discriminate il riferimento allo straniero che, come appena accennato, lo stesso cristiano è ritenuto straniero nella sua patria. L’apostolo Pietro, ricordando la condizione dei padri ebrei riassunta nell’endiadi “stranieri e ospiti”, definisce i cristiani proprio con questi termini “stranieri e pellegrini” (paroikoi kai parepidemoi: 1Pt. 2,11).

E’, sì, antica la tentazione di sacrificare l’universalismo cristiano al narcisismo autoreferenziale del religioso (Cfr. la parabola del fariseo); come pure è significativo che l’ultimo Sinodo della Pentarchia tenutosi a Costantinopoli nel 1872, abbia condannato il filetismo, cioè il principio nazionale o etnico nell’organizzazione della Chiesa; ciononostante fa scandalo che a tutt’oggi ci siano cristiani che vogliono brandire il Vangelo come arma di difesa di una cultura contro le altre, di una storia contro altre storie; cristiani che hanno dimenticato di essere ospiti e che vogliono farla da padroni, in un paese, l’Italia, affetto da una sorta di talassemia etica.  Un paese senz’anima in uno stato senza diritto, con un popolo senza idee né ideali che si esaurisce nella figura del "consumatore". Consumiamo beni e bellezze, religione e diritti a tal punto da restarne senza. E senza la possibilità di riprodurli e rigenerarli. Questa,  l’immagine dell’Italia all’occhio disincantato di quanti hanno ancora a cuore il Diritto e la Giustizia, l’Amore per i piccoli e gli indifesi.

Di fronte a questa pericolosa inversione a “U” che la società italiana sta compiendo, assecondata e favorita dalla religione fascista delle identità e delle paure e benedetta dalla politica condominiale del Vaticano, trovo quanto mai attuale il richiamo di un guerrigliero ed il sogno di un monaco.

«Se senti il dolore degli altri come tuo, se l’ingiustizia sul corpo dell’oppresso è l’ingiustizia che ferisce anche la tua pelle, se la lacrima che cade dal volto disperato sarà la lacrima che anche tu versi, se il sogno dei disperati di questa società crudele e senza pietà sarà il tuo sogno di una terra promessa, allora avrai vissuto la solidarietà essenziale» (Che Guevara).

«Se la chiesa resta fedele al suo Signore e alla sua volontà che l’ha plasmata, si strutturerà nella povertà che le consentirà di discernere i poveri e di essere da loro riconosciuta, sarà capace di accogliere gli stranieri in piena fedeltà alla sua comunione plurale, e non si lascerà imprigionare dalla seduzione del nazionalismo, delle logiche di patria e dell’identificazione su base etnica. Solo così la chiesa potrà essere un segno, povero e debole eppure estremamente limpido, del Regno che viene, in cui tutte le genti prenderanno finalmente parte alla benedizione donata da Dio ad Abramo, il padre dei credenti, il prototipo di colui che attende la salvezza».

(Enzo Bianchi: Ero straniero e mi avete ospitato; pag. 59 – Rizzoli 2006)

 

Aldo Antonelli



Giovedì, 13 novembre 2008