Lo spettro del berlusconismo

Di Robert Maggiori, professore di filosofia, giornalista di Libération, Paris

(traduzione dal francese di José F. Padova)


Da Libération
http://www.liberation.fr/rebonds/309927.FR.php?mode=PRINTERFRIENDLY

Con tutta probabilità dopo le elezioni del 13 e 14 aprile il fantasma si materializzerà di nuovo sotto forma di «capo del governo italiano». Può darsi che fuori d’Italia non si sapesse che Silvio Berlusconi era «immortale», come ha certificato il suo medico e come lo dimostrano all’evidenza la sua faccia senza rughe e i suoi capelli neri. Così non si dubitava che potesse ritornare.

Lo si immaginava tutt’al più in preda alla nevrastenia, causata dall’affronto che gli aveva fatto il popolo italiano non eleggendolo, Lui, e preferendogli (con qualche migliaio di voti) un piccolo professore triste, perfino non ricco, amante di mortadella e bicicletta, il quale, alla testa di una coalizione di centro-sinistra, nomina ministri gente del centrosinistra, dei Verdi, dei sindacalisti e, Gesummaria, dei «comunisti» mangiatori di bambini.

Effettivamente Egli lo è stato un poco, depresso, – dalla sera della vittoria striminzita di Romano Prodi. Anche se si è «unto del Signore», come ha detto di essere, ci si rovina per forza la salute nel volere, a ogni seduta del Parlamento, dare un «colpo di spalla», una spallata, per fare cadere il governo del Diavolo, e nel gridare giorno e notte, battendo rabbiosamente il piedino: Perdinci, mi arrabbio! Sono io il capo, sono io il capo, sono l’uomo più ricco d’Italia, io possiedo tutto, i giornali, le case editrici, le televisioni, perché mi si priva del potere? Io sono l’Amico del popolo, il popolo si è sbagliato, gli si deve dare una seconda chance! Che si torni alle urne e mi si elegga di nuovo, se no muoio!

Trovandosi a un certo momento nel punto più basso, criticato dai suoi alleati, temendo di essere «sorpassato» da Pierferdinando Casini,leader dell’UDC e dall’ex fascista Gianfranco Fini, leader di AN, entrambi stufi di rimanere gli eterni «pretendenti», Silvio Berlusconi realizza un colpo di genio politico: inventa, oplà, il Partito delle libertà, destinato a liberare Forza Italia dall’UDC, da AN, dalla Lega Nord e dagli altri gruppuscoli che fino ad allora formavano la «Casa delle libertà». Immediatamente il Cavaliere, resuscitato, ridiventa l’uomo-chiave della vita politica italiana. Organizza riunioni dappertutto, tiene comizi appollaiato sul tetto di un’automobile, sciarpa al vento, T-shirt blu sotto giacca blu doppiopetto, attorniato da una claque che agita gagliardetti e bandiere come per la presa del Palazzo d’Inverno.

Walter Veltroni, il sindaco di Roma diventato capo del nuovo PD (Partito Democratico) di sinistra, gli propone un «dialogo». L’eventualità che un simile dialogo si trasformi in accordo su una forma di bipolarismo che vedrebbe affrontarsi le due forze principali di destra e di sinistra (Partito delle libertà e Partito democratico) suscita paura e ira in tutti i piccoli partiti alla destra della destra e alla sinistra del centrosinistra, che intravedono all’orizzonte la propria scomparsa o l’indebolimento del loro «peso» nella costruzione-disfacimento delle maggioranze.

Arriva allora il «tradimento» di Clemente Mastella, Guardasigilli del governo di Romano Prodi. Presidente della piccolissima e molto cristiana Udeur (Unione dei democratici per l’Europa), re del trasformismo, emblema di una classe politica vista come casta, uomo delle reti di potere clientelare e nepotista, implicato contemporaneamente alla moglie e a certi membri del suo partito in diversi affari sui quali indaga la magistratura, Clemente Mastella dà le dimissioni e ritira il sostegno dell’Udeur al governo Prodi, che quindi «cade» per cinque o sei voti al Senato.

Il PD di Walter Veltroni andrà da solo alle elezioni del mese di aprile (a grande discapito dell’estrema sinistra). Silvio Berlusconi, da parte sua, propone all’insieme della destra ( «Nessuno si vedrà opporre un veto», ha dichiarato Sandro Bondi, il portavoce di Forza Italia) una «lista unica» che avrà come simbolo quello del Partito delle libertà. Gianfranco Fini, che qualche settimana fa aveva duramente criticato la «creazione» di questo partito, dimentica tutto e firma immediatamente.

Gli altri alleati ritornano anche loro di corsa e davanti alla prospettiva di una vittoria (quasi) assicurata riprendono contriti i loro esercizi di genuflessione davanti all’«Unto del Signore». Soltanto l’UDC di Casini recalcitra e dice, per ora, di andare avanti sola. Ma da adesso al mese d’aprile la destra sarà unita dietro a Berlusconi. Essa si presenterà in una coalizione di una dozzina di formazioni, che vanno dall’Udeur di Mastella (il cambio di gabbana è stato rapido) ai piccoli partiti di estrema destra e, certamente, alla Lega Nord di Umberto Bossi (i cui militanti e rappresentanti, allucinati, terrificanti, impresentabili, per fortuna non escono quasi mai dal Paese dei sogni che essi chiamano la Padania: in qualsiasi altro Paese europeo essi sarebbero probabilmente in prigione per le loro azioni e i loro discorsi discriminatori, xenofobi o razzisti).

L’Italia sembra aver perso la sua forza d’indignarsi e si ritroverà quindi la bella squadra che l’ha governata prima del breve intermezzo del governo Prodi. Una compagine che non ha smesso un momento di delegittimare i magistrati che mettevano sotto inchiesta quelli dei suoi membri colti in affari di concussione, falso in bilancio, conflitto d’interessi, concorso in associazione mafiosa , prevaricazione, fuga di capitali, ecc., che ha votato leggi essenzialmente destinate a proteggere il suo Capo e il suo impero mediatico, che ha elevato il servilismo al rango di virtù (bisogna aver ascoltato una volta i suoi uomini ligi, Renato Schifani, Sandro Bondi e Fabrizio Chicchitto, o aver visto il telegiornale di Emilio Fede, il TG4, interamente dedicato alla Sua santificazione! Se il padrone passa un semaforo col rosso, essi direbbero che la colpa è dei Rossi che vogliono macchiare la Sua anima immacolata!).

Quando era presidente del Consiglio, poiché gli piaceva più di ogni altra cosa essere fotografato a fianco dei grandi di questo mondo, farsi bello davanti alle signore (sua moglie Veronica Lario ha dovuto far pubblicare su la Repubblica una lettera aperta per incitarlo a moderare i suoi ardori nei confronti delle veline della TV), fare il cantante di motivetti e raccontare barzellette, Silvio Berlusconi ha imposto all’estero l’immagine di un’Italia folcloristica ed è riuscito a farne un Paese che non crede più in nulla, dove i ricchi sono più ricchi, i poveri più numerosi e più poveri (cosa alla quale Romano Prodi non è riuscito a porre rimedio).

Che cosa si deve temere se ritorna?

L’avvenire lo dirà. Ma una cosa dovrebbe preoccupare questo lato delle Alpi: quando Nicolas Sarkozy è stato eletto, Silvio Berlusconi ha detto di essere il «modello» al quale il Presidente francese s’ispira.

Mamma mia! Si attende una smentita.

Testo originale:

Le spectre du berlusconisme

Robert Maggiori professeur de philosophie, journaliste à Libération.

QUOTIDIEN : jeudi 14 février 2008

Selon toute vraisemblance, après les élections des 13 et 14 avril, le fantôme va se matérialiser de nouveau sous forme de «chef du gouvernement italien». Peut-être, hors d’Italie, ne savait-on pas que Silvio Berlusconi était «immortel», comme l’a assuré son médecin et comme le montrent à l’évidence son visage sans rides et ses cheveux noirs. Aussi ne redoutait-on pas qu’il pût revenir.

On l’imaginait tout au plus en proie à la neurasthénie, due à l’affront que lui avait fait le peuple italien en ne l’élisant pas, Lui, et en lui préférant (de quelques milliers de voix) un petit professeur triste, même pas riche, amateur de mortadelle et de vélo et qui, à la tête d’une coalition de centre gauche, nomme ministres des gens du centre gauche, et des Verts, et des syndicalistes, et, Jésus Marie, des «communistes» mangeurs d’enfants !

De fait, il l’a été un peu, déprimé - dès le soir de la victoire riquiqui de Romano Prodi. Même si l’on est «oint du Seigneur», comme il s’est dit être, on s’abîme forcément la santé à vouloir à chaque séance du Parlement donner un «coup d’épaule» (spallata) pour faire tomber le gouvernement du Diable, et à crier jour et nuit, en tapant rageusement des petons : Tudieu, j’enrage ! C’est moi le chef, c’est moi le chef, je suis l’homme le plus riche d’Italie, je possède tout, les journaux, les maisons d’édition, les télévisions, pourquoi me prive-t-on du pouvoir ? Je suis l’Aimé du peuple, le peuple s’est trompé, on lui doit une deuxième chance ! Qu’il retourne aux urnes et m’élise de nouveau sinon je meurs !

Se trouvant un moment au plus bas, critiqué par ses propres alliés, craignant d’être «dépassé» par Pier Ferdinando Casini, leader de l’UDC (Union des démocrates chrétiens et du centre), et l’ex-fasciste Gianfranco Fini, leader de l’AN (Alliance nationale), tous deux las de demeurer les éternels «prétendants», Silvio Berlusconi réalise un coup de génie politique : il invente, hop, le Parti des libertés, censé défaire Forza Italia de l’UDC, d’Alliance nationale, de la Ligue du Nord et des autres groupuscules qui formaient jusqu’alors la «Maison des libertés». Aussitôt, le Cavaliere, ressuscité, redevient l’homme-clé de la vie politique italienne. Il organise des réunions partout, fait des comices juché sur le toit d’une voiture, écharpe au vent, tee-shirt bleu sous veste bleue à double boutonnage, entouré d’une claque qui agite fanions et drapeaux comme pour la prise du Palais d’hiver.

Walter Veltroni, le maire de Rome devenu patron du nouveau PD (Parti démocratique) de gauche, lui propose un «dialogue». L’éventualité qu’un tel dialogue se mue en accord sur une forme de bipolarisme qui verrait s’affronter les deux forces principales de droite et de gauche (Parti des libertés et Parti démocratique), suscite la peur et l’ire dans tous les petits partis à la droite de la droite et à la gauche du centre gauche, qui entrevoient à l’horizon leur propre disparition ou l’affaiblissement de leur «poids» dans la construction-déconstruction des majorités.

Vient alors la «trahison» de Clemente Mastella, garde des Sceaux du gouvernement de Romano Prodi. Président de la petite et très chrétienne Udeur (Union des démocrates pour l’Europe), roi du transformisme, emblème d’une classe politique vue comme caste, homme des réseaux de pouvoir clientélistes et népotistes, impliqué en même temps que sa femme et certains membres de son parti dans diverses affaires sur lesquelles enquête la magistrature, Clemente Mastella démissionne et retire le soutien de l’Udeur au gouvernement Prodi, qui dès lors «tombe» pour cinq ou six voix lors d’un vote du Sénat.

Le PD de Walter Veltroni ira seul aux élections du mois d’avril (au grand dam de l’extrême gauche). Silvio Berlusconi, lui, propose à l’ensemble de droite («personne ne se verra opposer un veto», a déclaré Sandro Bondi, le porte-parole de Forza Italia) une «liste unique» qui aura comme symbole celui du Peuple de la liberté. Gianfranco Fini, qui, il y a quelques semaines, avait durement critiqué la «création» de ce parti, oublie tout et signe aussitôt.

Les autres alliés reviennent aussi en courant, et devant la perspective d’une victoire (presque) assurée, reprennent contrits leurs exercices de génuflexion devant l’«oint du Seigneur». Seule l’UDC de Casini rechigne et dit, pour l’instant, marcher seule. Mais d’ici le mois d’avril, la droite sera unie derrière Berlusconi. Elle se présentera en une coalition d’une douzaine de formations, allant de l’Udeur de Clemente Mastella (le changement de veste a été rapide) aux petits partis d’extrême droite, et, bien sûr, à la Ligue du nord d’Umberto Bossi (dont, par chance, les militants et les représentants effrayants, hallucinés, imprésentables, ne sortent quasiment jamais du pays de Tintin qu’ils appellent la Padanie : dans n’importe quel autre pays européen, ils seraient probablement en prison pour leurs actes et leurs propos discriminatoires, xénophobes ou racistes).

L’Italie semble avoir perdu sa force d’indignation et va donc retrouver la belle équipe qui l’a régie avant le bref intermède du gouvernement Prodi. Une équipe qui n’a eu de cesse que de délégitimer les magistrats qui mettaient en examen ceux de ses membres pris dans les affaires de concussion, faux en bilan, conflits d’intérêts, concours en association mafieuse, prévarication, fuite de capitaux, etc., qui a voté des lois essentiellement destinées à protéger son chef et son empire médiatique, qui a élevé le servilisme au rang de vertu (il faut avoir entendu une fois ses hommes liges, Renato Schifani, Sandro Bondi et Fabrizio Cicchitto, ou avoir vu le journal télévisé d’Emilio Fede, le TG4, entièrement dédié à Sa sanctification ! Si le maître brûlait un feu rouge, ils diraient que la faute est des rouges qui veulent salir son âme immaculée !).

Lorsqu’il était président du Conseil, aimant plus que tout être photographié à côté des grands de ce monde, faire le beau devant les dames (son épouse Veronica Lario a dû publier dans la Repubblica une lettre ouverte pour l’inciter à modérer ses ardeurs vis-à-vis des starlettes de la télé), jouer au crooner et raconter des histoires drôles, Silvio Berlusconi a imposé à l’étranger l’image d’une Italie folklorique et a réussi à en faire un pays qui ne croit plus en rien, où les riches sont plus riches, les pauvres plus nombreux et plus pauvres (ce à quoi Romano Prodi n’a guère réussi à porter remède).

Qu’a-t-on à craindre s’il revient ?

L’avenir le dira. Mais une chose devrait déjà inquiéter de ce côté-ci des Alpes : lorsque Nicolas Sarkozy a été élu, Silvio Berlusconi a dit être le «modèle» dont le Président français s’inspirait. Mamma mia ! On attend un démenti.



Lunedì, 18 febbraio 2008