Le Temps, Genève – 22 settembre 2010
«L’elezione presidenziale [francese] si giocherà sulla questione dell’ingiustizia»

di Catherine Dubouloz

Intervista – Il sociologo Denis Muzet ritiene che il presidente Sarkozy abbia raggiunto un punto di rottura irreversibile.
(traduzione dal francese di José F. Padova)


Ogni tanto nei confronti dei francesi sembra serpeggiare qui da noi una sorta d'insofferenza, non si capisce bene se originata o no da un senso d'inferiorità. Certo i "cugini d'Oltralpe" sovente sono tosti. Tagliano le teste ai potenti, e non metaforicamente, fanno la Rivoluzione, conquistano l'Europa lasciando macerie, Reazione/Restaurazione e Codici civili e penali, fanno la Comune, inaugurano in Indocina la decolonizzazione, e via dicendo. Forse sono meno furbi, scaltri, adattabili, anche meno servili, egoisti e concentrati sul "particulare" di altri popoli che non nomino. Fate voi e leggete quanto riferisce "Le Temps": i francesi saprebbero andare in collera per l'ingiustizia. Ed entrare "in una dinamica di alternanza e di speranza di cambiamento". Proprio come noi, guarda un po'.
JFPadova

Aumento dell’età pensionabile, sospetti di traffico di favori nel cuore dell’ affaire Woerth-Bettencourt e, prima di questo, crisi finanziaria e poi economica, chiusura di fabbriche, aumento della disoccupazione: accanto alla collera, nei francesi si diffonde un sentimento d’ingiustizia. Lo dimostrano i commenti dei manifestanti in occasione della mobilitazione del 7 settembre contro la riforma delle pensioni, votata in prima lettura il 15 settembre. O quelli raccolti dall’Istituto Mediascope, società di studi e consulenze specializzata nel campo della comunicazione e dei media. L’analisi del suo presidente, il sociologo Denis Muzet, prima delle nuove manifestazioni previste il 23 settembre.
Le Temps: Il 7 settembre i manifestanti segnavano a dito i potenti risparmiati dalla crisi, mentre i lavoratori sono chiamati a lavorare più a lungo. Essi gridavano il loro senso d’ingiustizia. I sondaggi che state eseguendo confermano tutto questo?
Denis Muzet: Sì, essi ne confermano a un tempo l’intensità e il meccanismo. La crisi ha posto la questione dell’ingiustizia al centro della società e sono persuaso che è proprio su di essa che si giocherà l’elezione presidenziale del 2012.
L.T.: Come si è realizzata questa sensazione?
D.M.: All’inizio vi è il cambiamento di paradigma indotto dalla crisi. Durante l’inverno 2008-2009 un sondaggio ha dimostrato che per i francesi la crisi, prima di essere finanziaria, era una crisi della moralità e della dismisura: gli uomini hanno dimenticato gli uomini e non hanno più pensato ad altro che al denaro. Qualche mese più tardi la questione della giustizia si è posta di nuovo a proposito della ripartizione degli sforzi destinati a rimettere in piedi il Paese. Il sentimento dominante, al tempo dei sequestri dei dirigenti d’impresa, nella primavera 2009, era che quegli sforzi non erano ripartiti con equità. I francesi hanno avuto la sgradevole sensazione di pagare due volte la crisi: una prima volta con i suoi effetti sull’impiego e il potere d’acquisto, una seconda volta quando è stato necessario portare sostegno alle banche mediante l’imposta. Questo profondo senso d’ingiustizia si è ancor più aggravato quando è sorta la questione delle remunerazioni per i dirigenti invitati ad abbandonare certi gruppi in difficoltà. L’ affaire Woerth-Bettencourt è venuto a innestarsi su questo fondo di amarezze.
L.T.: E che cosa ha rivelato?
D.M.: I francesi hanno scoperto che un ministro del Bilancio – la medesima persona che ai contribuenti teneva discorsi di sforzi e di rigore, quando era a Bercy -, attraverso le sue buone relazioni con il gestore del patrimonio di Liliane Bettencourt [ndt.: la ricchissima proprietaria di L’Oréal] in quanto tesoriere del partito UMP avrebbe ricevuto danaro da quest’ultima, per finanziare la campagna elettorale di Nicolas Sarkozy. Poi ha fatto trasmettere dai suoi uffici a Liliane Bettencourt un assegno di 30 milioni di euro a titolo di rimborso d’imposte, applicando lo scudo fiscale. E tutto ciò chiudendo gli occhi sulle pratiche di “ottimizzazione fiscale” a favore di quell’immenso patrimonio. Questo ha permesso di fare rinascere un vecchio tema, diventato il motto aziendale del Fronte Nazionale [ndt.: il partito fascista di Le Pen] negli anni ’90, quello per il quale «Tutti sono corrotti».
L.T.: Come collega Lei i sequestri dei dirigenti e le manifestazioni contro la riforma delle pensioni?
D.M.: Le rivolte del maggio 2009 hanno preparato il terreno. Ma, a quell’epoca, il potere politico nazionale non era messo in discussione. Nicolas Sarkozy stesso partecipava alla critica del capitalismo senza fede né legge e incitava alla sua moralizzazione. Quello che poi ha modificato la situazione è che si è entrati nel 2010, nella crisi della politica. Innanzitutto perché con la crisi i francesi si sono resi conto di quanto fosse illusoria la supposizione di un potere ispirato dalla [buona] politica. Poi, hanno la sensazione di una classe politica sconnessa dalla loro vita quotidiana, occupata a mettere a segno i suoi «affarucci» e a prendersi privilegi senza curarsi della sofferenza del popolo.
La candidatura del figlio di Nicolas Sarkozy alla presidenza dell’Epad [Azienda pubblica di pianificazione della Difesa], nell’autunno 2009, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Il distacco del presidente dall’opinione pubblica data da quel momento. Infine sale oggi il sospetto che i dirigenti fossero complici della crisi e che, in un modo o nell’altro, approfittassero del sistema. Da allora la rivolta non punta più contro i dirigenti delle grandi società, ma contro i dirigenti politici e ha trovato il mezzo per esprimersi nella riforma delle pensioni. Tanto più che l’uomo che propugna la riforma è colui che incarna maggiormente, simbolicamente, l’ingiustizia sociale, fiscale ed economica. Eric Woerth stenterà a cavarsela.
L.T.: E Nicolas Sarkozy? Lei pensa che potrà staccarsi dalla sua immagine di presidente dei ricchi, da ora fino alla campagna presidenziale?
D.M.: Avrà grandi difficoltà nel ricomparire, da qui al 2012, come il presidente di tutti i francesi e, iniziata la campagna, come il candidato di tutti i francesi. Temo si sia raggiunto un punto di rottura irreversibile.
L.T.: La progressione nel settore “sicurezza” [ndt.: allude all’indecente espulsione etnica dei rom], che mirava a creare una diversione che distogliesse dall’ affaire Woerth, secondo Lei non ha raggiunto il suo scopo?
D.M.: Non soltanto ha coperto d’obbrobrio la politica messa in atto e i discorsi di stigmatizzazione [ndt.: dei rom]  che l’accompagnano, ma ha anche finito col gettare discredito sulla sincerità di un potere che dava l’impressione di voler fare dimenticare l’ affaire Woerth-Bettencourt. L’Eliseo non è riuscito a sostituire la tematica delle ingiustizie con quella dell’insicurezza. La ripresa [dopo le ferie] si è fatta sotto l’egida della riforma delle pensioni e il binomio maledetto Woerth-Bettencouert è riemerso. Le due tematiche si fanno eco l’una dell’altra e creano un sentimento confuso: all’insicurezza fisica si mescola l’insicurezza sociale ed economica.
L.T.: Lei crede a una possibile esplosione sociale?
D.M.: No, non più adesso. La manifestazione del 7 settembre è servita come sfogo. Dopo che la sinistra ha promesso di fare retromarcia sull’età della pensione ciò canalizza la rivolta. Nei nostri sondaggi noi ascoltiamo dalla gente, comprese le persone di destra: «Viva il 2012!». Si è entrati in una dinamica di alternanza e di speranza di cambiamento.


Mercoledì 29 Settembre,2010 Ore: 14:31