Un approccio globale al commercio triangolare

di Marcel Dorigny* (traduzione dal francese di José F. Padova)

Praticata fin dall’antichità, in Africa la tratta degli schiavi ha dato luogo a tre rami specifici. L’ultimo, organizzato da potenze europee, si inseriva in un commercio triangolare con le Americhe. Ricerche storiche recenti definiscono il coinvolgimento umano ma soprattutto economico di questo traffico.


*Marcel Dorigny, dell’Università Paris VIII, autore con B. Gainot e F. Le Goff di Atlante delle schiavitù, Parigi, 2006
Le Monde Diplomatique, novembre 2007

Negli ambienti sia scientifici che di associazioni e attivisti la storia della tratta dei neri è stata oggetto di numerose controversie. Comprovato fin dai tempi più antichi, il commercio di uomini e donne d’Africa ha avuto inizio molto prima che gli europei dell’epoca moderna esplorassero le coste del continente nero. Così è essenziale distinguere bene tra le grandi forme di tratta degli schiavi che avevano fatto della popolazione nera la fonte principale, se non l’unica, di approvvigionamento di schiavi: la tratta detta orientale, la tratta interna africana, la tratta coloniale e europea. Queste tre forme di tratta degli schiavi non sono comparse nei medesimi periodi e non hanno avuto la stessa durata, ma si sono sovrapposte all’epoca coloniale.
La tratta orientale si inserisce nella continuità delle pratiche schiaviste delle società dell’antichità classica: l’antico Egitto, la Mesopotamia, l’impero romano, hanno in particolare fatto abbondante ricorso agli schiavi africani per il lavoro agricolo, nella costruzione degli edifici pubblici e delle strade, ma anche per i lavori domestici. Erede del mondo romano, l’impero bizantino ha continuato in questa pratica fino nel cuore del medioevo. Sorti in gran parte sul territorio dell’impero bizantino, gli imperi arabi, a partire dal VII secolo, hanno continuato questo trasferimento di popolazioni africane asservite fino ai centri dei nuovi poteri, verso Mossul e Bagdad, per esempio.
Il lavoro agricolo era allora la principale attività garantita da questi schiavi, ma essi erano ugualmente destinati ai compiti dell’economia domestica e agli harem. I circuiti di approvvigionamento di questi grandi imperi sono rimasti pressoché immutati durante millenni: per via di terra attraverso il Sahara, il deserto arabico, l’alta valle del Nilo, poi attraverso il Sinai, l’Anatolia, la valle del Tigri e dell’Eufrate, e poi l’Asia centrale e i confini dell’impero russo a partire dalla fine del 17° secolo; per via marittima attraverso il mar Rosso e il Golfo Persico partendo dalle coste orientali dell’Africa, perfino dal Madagascar per quanto riguarda la tratta nella sua parte araba.
Cifre vivamente controverse
Questa pratica di assai lunga durata è sopravvissuta ai numerosi cambiamenti politici e agli sconvolgimenti religiosi: dal paganesimo antico all’Islam, passando per il cristianesimo tanto greco che latino, la riduzione in schiavitù degli africani si è mantenuta in queste società ed è stata alimentata da un commercio regolare di provenienza dall’Africa orientale, da Zanzibar all’Abissinia, passando per la regione dei Grandi Laghi. Mentre è impossibile misurare l’ampiezza della tratta antica e bizantina, in mancanza di fonti affidabili, sono stati effettuati tentativi di valutazione quantitativa della tratta chiamata musulmana (o araba) - terminologia questa sulla quale non vi è unanimità. Si stima che dal settimo al diciannovesimo secolo sono stati strappati al continente nero dai 7 ai 12 milioni di persone. Ma queste cifre restano oggetto di vivaci controversie.
La tratta in terra africana, fondata principalmente sul rendere schiavi i prigionieri di guerra, è esistita per un periodo ancora più lungo, del quale in mancanza di informazioni è estremamente difficile fissare la durata. Sotto forme diverse, la schiavitù e il commercio delle persone sono stati praticati diffusamente nella maggior parte delle società africane molto prima dell’arrivo dei navigatori europei e indipendentemente dai circuiti delle tratte orientali. Hanno potuto essere avanzate valutazioni che fanno della tratta dei neri interna all’Africa – la cui esistenza è ancor oggi contestata da certi intellettuali africani – l’equivalente della tratta orientale, ma ripartita su un periodo ancora più lungo. Tuttavia – essenziale questa diversità – mentre la tratta orientale privava l’Africa di una parte della sua popolazione, la tratta africana interna manteneva intatto il potenziale umano del Continente.
Infine, nocciolo delle attuali controversie, la tratta negriera coloniale europea presenta caratteristiche radicalmente nuove, sia qualitative che quantitative. A differenza delle precedenti, essa ebbe preponderante carattere “razziale”: ne furono vittime soltanto i Neri dell’Africa,al punto di rendere il termine “negro” sinonimo di schiavo nella lingua francese del XVIII secolo. Questa “deriva razziale” dello schiavismo ha portato al trasferimento di una ingente popolazione africana sul continente americano e alle Antille i cui discendenti formano oggi un’importante componente, perfino come maggioranza alle Antille.
La tratta coloniale degli schiavi, organizzata dagli Stati più strutturati dell’Europa moderna, è stata oggetto di una minuziosa legislazione (fiscale, commerciale, amministrativa, sanitaria). Gli archivi pubblici e privati ne abbondano e hanno permesso agli storici, da più di tre decenni, di analizzare con rigore i meccanismi messi in opera da armatori, capitani di navi, fornitori di merci destinate a servire da moneta per l’acquisto degli schiavi sulle coste africane, piantatori delle colonie acquirenti di questa mano d’opera schiava, amministratori incaricati della gestione e della difesa delle colonie… È accettato che la tratta europea ha prelevato in Africa fra i 12 e i 13 milioni di esseri umani, comprese tutte le destinazioni, dei quali circa un terzo donne. La mortalità durante le traversate era molto variabile secondo le spedizioni, ma il numero dei morti nel corso delle traversate – accuratamente registrati sui libri di bordo – si è elevato a circa il 15% del totale degli schiavi imbarcati, facendo dell’Atlantico il «più grande cimitero della storia»; ai quali devono essere aggiunte le vittime – quasi altrettanto numerose in termini assoluti – fra i membri degli equipaggi. Dal livello di circa il 30% nel XVII secolo, la mortalità degli schiavi è scesa al 12% alla fine del XVIII grazie alla minore durata delle traversate e all’incontestabile miglioramento dell’igiene e dell’alimentazione degli schiavi, per risalire a più del 15% nel XIX secolo durante il periodo della tratta illegale.


Museo della Tratta a Nantes: sezione di nave negriera Altra particolarità della tratta coloniale: la sua durata fu molto più breve di quella della tratta orientale e interafricana, perché si svolse dalla fine del XV secolo fino agli anni 1860. Il XVIII secolo concentra da solo il 60% delle spedizioni, il XIX – periodo nel quale la tratta era diventata illegale – quasi il 33%, mentre i secoli XVI e XVII raggiungono a malapena il 7% del totale. Eppure la massima intensità della tratta europea degli schiavi, che le attribuì tutta la sua specificità storica, si è in realtà concentrata su un periodo molto più breve, poiché il 90% degli schiavi africani deportati verso le colonie europee delle Americhe e dell’Oceano Indiano lo sono stati fra il 1740 e il 1850, ovvero in poco più di un secolo. Proprio questo carattere di brutalità, circoscritto a un lasso di tempo molto corto, ha profondamente segnato gli spiriti e urtato le coscienze di molti contemporanei: fra il 1780 e gli anni ’20 del 1800, circa 100.000 africani furono comperati ogni anno, cifra che nessun’altra tratta negriera ha mai raggiunto e cui neppure si è mai avvicinata.
La graduatoria delle potenze negriere si stabilisce sulla base delle statistiche della tratta stessa: il Portogallo ha effettuato il trasferimento alle Americhe di più di 4,6 milioni di schiavi. Dopo aver inaugurato questo tristo commercio a partire dalla metà del XV secolo, ha svolto la parte essenziale della tratta illegale nel XIX secolo. La Gran Bretagna viene in seconda posizione, con più di 2,6 milioni di deportati, una parte dei quali fu venduta nelle colonie spagnole e anche francesi, malgrado il divieto legale. La Spagna, malgrado l’immensità del suo impero americano, arriva soltanto al terzo posto, soprattutto nel XIX secolo a causa dell’attività di Cuba, punto di partenza di un buon numero di navi della tratta clandestina. Gran parte dell’approvvigionamento in schiavi delle colonie spagnole fu eseguito dai britannici. La Francia occupava il quarto posto, con circa 1,2 milioni di deportati sulle proprie navi, dei quali circa l’80% furono destinati a Santo Domingo (Haiti), primo produttore mondiale di zucchero alla fine del XVIII secolo.


Museo della Tratta a Nantes: piano di stivaggio di nave negriera La geografia dell’Europa negriera è ben nota: i grandi porti negrieri si concentrarono in un triangolo che andava da Bordeaux a Liverpool e all’Olanda. Questa facciata nord-occidentale d’Europa organizzò più del 95% delle spedizioni negriere europee. In ordine d’importanza i grandi porti della tratta sono stati Liverpool, con 4.894 spedizioni identificate, seguito da Londra (2.704), Bristol (2.064), Nantes (1.714), Le Havre-Rouen (451), La Rochelle (448), Bordeaux (419), Saint-Malô (218), … Si deve segnalare il caso del Portogallo. Primo Paese negriero, di gran lunga davanti a Inghilterra e Francia, questo Paese seguì una pratica diversa: i circuiti non partivano sistematicamente da Lisbona, ma il commercio degli schiavi si svolgeva fra il Brasile – di gran lunga la principale destinazione – e le coste dell’Angola, della Guinea o del Mozambico, attraverso l’Atlantico meridionale.
Un aspetto particolare del commercio negriero: il pagamento degli schiavi sulle coste dell’Africa, nei regni costieri che si erano strutturati intorno a questo lucrativo commercio, si faceva soltanto eccezionalmente in metalli preziosi, e abitualmente invece con manufatti: tessuti, ferramenta, stoviglie, armi bianche e da fuoco, alcol, bigiotteria, ecc. queste merci dette da tratta non erano affatto – come sovente si è detto – di cattiva qualità o di valore irrisorio: corrispondevano invece alla domanda dei venditori, che non avrebbero accettato a lungo di essere ingannati dagli europei. In cambio di prigionieri (il più sovente in seguito a guerre o razzie), i re africani che controllavano la tratta a monte ottenevano strumenti di prestigio che garantivano loro un potere spesso molto esteso.
Le esigenze di una clientela numerosa
Nondimeno, e per l’Europa qui stava l’essenziale, questo scambio di una forza lavoro destinata alle sue colonie contro prodotti usciti dall’attività manifatturiera delle sue città e campagne era altamente remunerativo. Non soltanto l’acquisto di schiavi contribuiva alle attività manifatturiere più diverse e sovente distanti dai porti negrieri, ma quegli schiavi venduti alle colonie costituivano la mano d’opera indispensabile per la produzione delle derrate coloniali – zucchero, caffè, cacao, … - molto ricercate in un’Europa in pieno sviluppo. Queste merci coloniali, trasformate sul continente europeo, venivano esportate lontano dai porti d’arrivo e procuravano notevoli guadagni: la Francia, allora grande esportatrice di zucchero, equilibrava la sua bilancia commerciale grazie alle sue colonie piene di schiavi.
Inoltre, e a quel tempo si trattava di un elemento di capitale importanza, il «baratto» di schiavi contro merci evitava l’uscita dall’Europa di metalli preziosi, a differenza del famoso commercio con le sedi commerciali in India, che esportavano in Europa tessuti pagandoli con monete dell’argento proveniente dal Perù.
Senza entrare nelle controversie circa la redditività della tratta negriera – che avrebbe generato profitti dell’8% fino al 10% soltanto – si può tuttavia affermare che deve essere presa in considerazione la totalità del circuito commerciale negriero: a monte, le attività sviluppate da un flusso continuo di armamento di navi per questo commercio, pesantemente caricate di manufatti, la costruzione navale, l’attrezzatura e la manutenzione delle navi; a valle, l’esistenza delle colonie della zona tropicale e le loro produzioni agricole di elevato valore agli occhi di una clientela sempre più numerosa ed esigente.
Queste colonie furono non soltanto fonti di immensi profitti, tanto per i piantatori che per i negozianti dei porti, ma erano considerate come i segni più visibili della potenza delle metropoli. Nel XVIII secolo le guerre franco-inglesi avevano tutte sullo sfondo la rivalità per la supremazia coloniale. Ora, senza la mano d’opera fornita dalla tratta negriera, queste colonie non sarebbero state altro che terre vuote…
Così soprattutto nei secoli XVII e XVIII la tratta degli schiavi costituì il cuore della ricchezza e della potenza coloniale delle grandi nazioni d’Europa. La sua violenza ne fece il principale bersaglio della nascente contestazione del sistema coloniale. Il movimento antischiavista e abolizionista, all’inizio sorto e formatosi negli Stati Uniti al momento della Dichiarazione d’Indipendenza, poi in Inghilterra e in Francia alla fine degli anni 1780, mise l’eliminazione della tratta al primo posto nei suoi obiettivi politici. La prima tappa sarebbe dovuta essere la sua proibizione mediante un accordo fra i Grandi Paesi; ne sarebbe derivata una trasformazione delle condizioni stesse della schiavitù, che avrebbe aperto la strada alla sua soppressione progressiva, senza scontri né crolli economici.
Entità del prelievo umano
Per il movimento abolizionista internazionale, la schiavitù era una conseguenza del crimine iniziale rappresentato dalla tratta – il crimine assoluto. La sua scomparsa avrebbe avuto un doppio effetto benefico: da una parte, l’estinzione programmata della schiavitù, sostituita dal salariato, e dall’altra la fine dello spopolamento dell’Africa….
Questo schema, idealizzato all’estremo dai più ferventi antischiavisti – l’Abbé Grégoire e Mirabeau in Francia, Thomas Clarkson e William Wilberforce in Inghilterra – nei fatti non si è mai realizzato in questa forma. In Francia, la prima abolizione della schiavitù, il 4 febbraio 1794, venne imposta dall’insurrezione dei Neri di Haiti a una Convenzione che non si prospettava certo di procedere tanto in fretta. Ora, la soppressione della tratta non aveva preceduto questa abolizione rivoluzionaria. In Inghilterra, dove il movimento abolizionista era molto potente, come pure negli Stati Uniti, la tratta fu abolita con una legge nel 1807.
Nel 1815, al Congresso di Vienna, le Potenze si accordarono per mettere fuori legge la tratta negriera. Tuttavia in nessun luogo si vide come conseguenza il deperimento della schiavitù.
È pur vero che una tratta illegale mantenne a lungo in funzione i circuiti di approvvigionamento delle grandi piantagioni del Brasile, di Cuba e perfino degli Stati Uniti. Dappertutto l’abolizione di questo sfruttamento fu il solo modo di mettere fine a una pratica che la sola interruzione dell’arrivo di schiavi africani non minacciava.
Così le tratte negriere sono state una delle più violente fonti di approvvigionamento di schiavi. Tuttavia non si deve attenuare ciò che caratterizzò profondamente la tratta coloniale: innanzitutto la sua iniziale connotazione “razziale”, poi la sua organizzazione amministrativa da parte di Stati, Inghilterra e Francia, che sul proprio territorio avevano proclamato la proibizione della schiavitù, e infine l’ampiezza stessa del prelievo umano operato a detrimento dell’Africa, letteralmente svuotata delle sue forze vive.
Marcel Dorigny

Sullo stesso numero di Le Monde Diplomatique segue una riflessione di Eric Mesnard, professore di storia e geografia e autore di Storia delle tratte negriere e della schiavitù, che lamenta come in Francia la storia di questa tragica pratica, profondamente radicata nelle pagine più buie della Nazione e ignorata dai più, manchi quasi totalmente dai programmi scolastici.

Testo originale (che non ho revisionato dopo averlo passato allo scanner):

Une approche globale du commerce triangulaire
Le Monde Diplomatique, novembre 2007
Pratiqué dès l’Antiquité, l’esclavage donna lieu à trois traites spécifiques en Afrique.
La dernière, organisée par des puissances européennes, s’inscrivait dans un commerce triangulaire avec les Amériques.
Des recherches historiques récentes précisent l’enjeu humain mais surtout économique de ce trafic.
Par Marcel Dorigny ** Maitre de conférences en histoire à l’université Paris-VIII, auteur avec Bernard Gainot et Fabrice Le Goff de l’Atlas des esclavages, Autrement, Paris, 2006.

Tant dans les milieux scientifiques que militants et associatifs, l’histoire des traites négrières a fait l’objet de nombreuses controverses. Attesté dès la plus haute antiquité, le commerce des hommes et femmes d’Afrique a commencé bien avant que les Européens de l’époque moderne n’explorent les côtes du continent noir. Ainsi, il est essentiel de bien distinguer trois grandes formes de traite esclavagiste ayant fait de la population noire la source principale, sinon unique, d’approvisionnement en captifs : la traite dite orientale, la traite intra-africaine, la traite coloniale européenne. Ces trois traites ne sont pas apparues aux mêmes périodes et n’ont pas eu la même durée, mais elles se sont superposées à l’époque coloniale.

La traite orientale s’inscrit dans la continuité des pratiques esclavagistes des sociétés de l’Antiquité classique : l’Egypte ancienne, la Mésopotamie, l’Empire romain, notamment, ont abondamment eu recours aux esclaves africains pour le travail agricole et la construction des édifices publics et des routes, mais également pour la domesticité. Héritier du monde romain, l’Empire byzantin a poursuivi cette pratique jusqu’au cœur du Moyen Age. Edifiés en grande partie sur le territoire de l’Empire byzantin, les empire arabes, à partir du VIIe siècle, ont continué ce transfert de populations africaines asservies jusqu’aux centres des nouveaux pouvoirs, vers Bagdad et Mossoul par exemple.

Le travail agricole était alors la principale activité assurée par ces esclaves, mais ils étaient également affectés aux tâches domestiques et aux harems. Les circuits d’approvisionnement de ces grands empires sont restés presque immuables durant plusieurs millénaires : par voie terrestre à travers le Sahara, le désert arabique, la haute vallée du Nil, puis à travers le Sinaï, l’Anatolie, les vallées du Tigre et de l’Euphrate, et encore par l’Asie centrale et les confins de l’Empire russe dès la fin du XVIIe siècle ; par voie maritime, par la mer Rouge et le golfe Persique à partir des côtes orientales de l’Afrique, voire de Madagascar pour la traite arabe.
Des chiffres vivement controversés
Cette pratique de très longue durée a survécu aux nombreux changements politiques et aux bouleversements religieux : du paganisme antique à l’islam, en passant par le christianisme tant grec que latin, l’esclavage des Africains s’est maintenu dans ces sociétés et a été alimenté par un commerce régulier en provenance d’Afrique orientale, de Zanzibar à l’Abyssinie, en passant par la région des Grands Lacs. S’il est impossible de mesurer l’ampleur de la traite antique et byzantine, faute de sources fiables, des tentatives de chiffrage de la traite appelée musulmane (ou arabe) — terminologie qui ne fait pas l’unanimité — ont été effectuées. On estime qu’entre 7 et 12 millions de personnes ont été arrachées au continent du VIIe au XIXe siècle. Mais ces chiffres restent l’objet de vives controverses (lire l’article de Louise-Marie Diop-Maes page IV).

La traite intra-africaine, principalement fondée sur la mise en esclavage des prisonniers de guerre, a existé sur une période plus longue encore, dont il est extrêmement difficile de fixer la
durée faute de sources. Sous des  formes diverses, l’esclavage et le commerce des humains ont été des pratiques répandues dans la plupart des sociétés africaines bien avant l’arrivée des navigateurs européens et indépendamment des circuits des traites orientales. Des chiffres ont pu étre avancés faisant de la traite intra-africaine — dont l’existence reste contestée par certains intellectuels africains — l’équivalent de la traite orientale, mais étalée sur une période beaucoup plus longue encore. Mais — différence essentielle — alors que la traite orientale privait l’Afrique d’une partie de sa population, la traite intra-africaine maintenait intact le potentiel humain du continent.
Enfin, et là réside le cœur des controverses actuelles, la traite négrière coloniale européenne présente des caractéristiques radicalement nouvelles, à la fois qualitatives et quantitatives. A la différence des précédentes, elle fut massivement racialisée : seuls les Noirs d’Afrique en furent les victimes, au point de faire du mot « nègre » un synonyme d’esclave dans la langue française du XVIIIe siècle. Cette racialisation de l’esclavage a abouti au transfert d’une importante population africaine sur le continent américain et aux Antilles dont les descendants forment aujourd’hui une composante importante, voire majoritaire aux Antilles.
La traite coloniale, organisée par les Etats les plus structurés de l’Europe moderne, a fait l’objet d’une législation minutieuse (fiscalité, commerce, administration, sanitaire). Les archives publiques et privées abondent et ont permis aux historiens, depuis plus de trois décennies, d’analyser avec rigueur les mécanismes mis en œuvre par les armateurs, capitaines des navires, fournisseurs des marchandises destinées à l’achat des captifs sur les cotes d’Afrique, planteurs des colonies acheteurs de cette main-d’œuvre servile, administrateurs chargés de la gestion et de la défense des colonies... II est admis que la traite européenne a prélevé en Afrique entre 12 et 13 millions d’êtres humains, toutes destinations confondues, dont environ un tiers de femmes. La mortalité au cours de la traversée a été très inégale selon les expéditions, mais le nombre de morts au cours des traversées — soigneusement consignés sur les registres de bord — s’est élevé à environ 15 % du total des captifs embarqués, soit entre 1,6 million et 2 millions de disparus en mer, faisant de l’Atlantique le « plus grand cimetière de l’histoire » ; auxquels il faut ajouter les victimes — presque aussi nombreuses — parmi les équipages. De l’ordre de 30 % au XVIC siècle, la mortalité des captifs est descendue à 12 % à la fin du XVIIIe siècle grâce à la diminution de la durée des traversées et à l’incontestable amélioration de l’hygiène et de l’alimentation des captifs, pour remonter à plus de 15 % au XIX` siècle pendant la période de la traite illégale.

Autre spécificité de la traite coloniale, sa durée fut beaucoup plus courte que la traite orientale et intra-africaine : elle s’est déployée de la fin du XV’ siècle jusqu’aux années 1860. Le
XVIIl’ siècle représente à lui seul 60 % des expéditions, le XIX’ siècle – période où la traite était pourtant devenue illégale – en assura près de 33 %, alors que les XVl’ et XVIl’ siècles assurèrent à peine 7 % du total. Mais l’intensité maximale de la traite européenne, qui lui donna toute sa spécificité historique, s’est en réalité concentrée sur une période beaucoup plus brève encore puisque 90 % des esclaves africains déportés vers les colonies européennes des Amériques et de !’océan Indien l’ont été entre 1740 et 1850, soit à peine plus d’un siècle. C’est bien ce caractère brutal, inscrit en un laps de temps très court, qui a profondément marqué les esprits et heurté les consciences de beaucoup de contemporains : entre 1780 et les années 1820, près de 100 000 Africains furent achetés chaque année, chiffre qu’aucune autre traite négrière n’a jamais atteint ni même  approché.

La hiérarchie des puissances négrières est établie à partir des statistiques de la traite ellemême  : le Portugal a effectué le transfert aux Amériques de plus de 4,6 millions d’esclaves. Ayant inauguré celle-ci dès le milieu du XVe siècle, il a assumé l’essentiel de la traite illégale au XIX` siècle. La Grande-Bretagne vient en deuxième position, avec plus de 2,6 millions de déportés, dont une partie furent vendus dans les colonies espagnoles, voire franaises malgré l’interdiction légale. l’Espagne, malgré l’immensité de son empire américain, n’arrive qu’en troisième piace, surtout en raison de l’activité de Cuba au XIX` siècle, point de départ de bon nombre de navires de traite clandestine. Une grande partie des approvisionnements en esclaves des colonies espagnoles fut assurée par les Britanniques. La France occupait le quatrième rang, avec environ 1,2 million de déportés sur ses navires, dont près de 80 % furent destinés à Saint-Domingue (Haiti), premier producteur mondial de sucre à la fin du XVIII` siècle.
La géographie de l’Europe négrière est bien connue : les grands ports négriers furent concentrés dans un triangle allant de Bordeaux à Liverpool et à la Hollande. Cette fa4ade nordouest de l’Europe organisa plus de 95 % des expéditions négrières européennes. Par ordre d’importance, les grands ports négriers ont été Liverpool, avec 4 894 expéditions identifiées, suivi de Londres (2 704), Bristol (2 064), Nantes (I 714), Le Havre-Rouen (45 I), La Rochelle (448), Bordeaux (419), Saint-Malo (218)... Le cas du Portugal doit étre signalé. Premier pays négrier, loin devant l’Angleterre et la France, ce pays eut une pratique différente : les circuits ne partaient pas systématiquement de Lisbonne, mais faisaient le commerce des esclaves entre le Brésil – de loin la principale destination des captifs – et les côtes de l’Angola, de la Guinée ou du Mozambique, à travers l’Atlantique sud.

Un aspect particulier du commerce négrier : le paiement des esclaves sur les côtes d’Afrique, auprès des royaumes côtiers qui s’étaient structurés autour de ce commerce lucratif, ne se faisait qu’exceptionnellement par des métaux précieux, et bien plus par des marchandises fabriquées : tissus, fers, vaisselle, armes blanches et à feu, alcools, bijoux... Ces marchandises dites de traite n’étaient pas — comme on l’a trop dit — de mauvaise qualité ou de piètre valeur : elles correspondaient à la demande des vendeurs qui n’auraient pas accepté longtemps d’être dupés par les Européens. En échange de captifs (le plus souvent à la suite de guerres ou de razzias), les rois africains qui contrôlaient la traite en amont obtenaient des instruments de prestige leur assurant un pouvoir souvent très étendu.
Les exigences d’une clientèle nombreuse
Néanmoins, et pour 1’Europe l’essentiel était là, cet échange d’une force de travail destinée à ses colonies contre des productions elles-mêmes issues de l’activité manufacturières de ses villes et de ses campagnes était hautement profitable. Non seulement l’achat d’esclaves contribuait aux activités manufacturières les plus diverses et souvent éloignées des ports négriers eux-mêmes, mais ces esclaves vendus aux colonies étaient la main-d’œuvre indispensable à la production des denrées coloniales – sucre, café, cacao... – tant recherchées par une Europe en plein essor. Ces denrées coloniales, transformées sur le continent européen, étaient exportées loin des ports d’arrivée et rapportaient des profits importants : la France, alors grande exportatrice de sucre, équilibrait sa balance du commerce grâce à ses colonies à esclaves.
De plus, et c’était alors capital, le «troc» d’esclaves contre des marchandises évitait toute sortie de métaux précieux d’Europe, à la différence du fameux commerce des comptoirs de l’Inde qui exportaient des tissus en Europe en les payant avec des pièces d’argent issues des mines du Pérou.

Sans entrer dans les controverses sur la rentabilité de la traite négrière – qui aurait généré des taux de profit de 8 à IO % seulement —, on peut tout de même  affirmer que c’est la totalité du circuit négrier qui doit être prise en compte : en amont, les activités développées par un flux continu d’armement de navires pour ce commerce, lourdement chargés de marchandises manufacturées, la construction navale, l’équipement et l’entretien des navires ; en aval, l’existence des colonies de la zone tropicale et leurs productions agricoles de très haute valeur aux yeux d’une clientèle de plus en plus nombreuses et exigeante.

Ces colonies furent non seulement sources d’immenses profits, tant pour les planteurs que pour les négociants des ports, mais elles étaient considérées comme les signes les plus visibles de la puissance des métropoles. Au XVIII` siècle, les guerres franco-anglaises eurent toutes pour arrière-plan la rivalité pour la suprématie coloniale. Or, sans la main-d’ceuvre acheminée par la traite négrière, ces colonies n’eurent été que terres vaines...

Ainsi, la traite négrière fut-elle au cœur de la richesse et de la puissance coloniales des grandes nations de l’Europe aux XVII` et XVIII` siècles principalement. Sa violence en fit la cible principale de la contestation naissante du système colonial. Le mouvement antiesclavagiste et abolitionniste, d’abord structuré aux Etats-Unis au moment de la déclaration d’indépendance, puis en Angleterre et en France à la fin des années 1780, mit la suppression de la traite au premier rang de ses objectifs politiques. La première étape devait être son interdiction par un accord entre les grands pays ; de là découlerait une transformation des conditions même s de l’esclavage, ouvrant la voie à la suppression progressive de la servitude sans heurts et sans effondrement économique.
Ampleur du prélèvement humain
Pour le mouvement abolitionniste international, l’esclavage n’était qu’une conséquence du crime initial que représentait la traite — le crime absolu. Sa disparition aurait un double effet bénéfique : d’une part, l’extinction programmée de l’esclavage, remplacé par le salariat ; d’autre part, la fin du dépeuplement de l’Afrique...

Ce schéma, idéalisé à l’extrême par les plus fervents antiesclavagistes — l’abbé Grégoire et Mirabeau en France, Thomas Clarkson etWilliam Wilberforce en Angleterre —, ne s’est en fait jamais réalisé sous cette forme. En France, la première abolition de l’esclavage, le 4 février 1794, a été imposée par l’insurrection des Noirs de Saint-Domingue (Haiti) à une Convention qui ne souhaitait certainement pas aller aussi vite. Or la suppression de la traite n’avait pas précédé cette abolition révolutionnaire. En Angleterre, où le mouvement abolitionniste était très puissant, la traite fut abolie par une loi en 1807, tout comme aux Etats-Unis.
En 1815, au congrès de Vienne, les puissances s’accordèrent pour mettre la traite négrière hors la loi. Pourtant, nulle part on ne vit s’ensuivre le dépérissement de l’esclavage.
Il est vrai qu’une traite illégale maintint longtemps en place les circuits d’approvisionnement des grandes plantations du Brésil, de Cuba et même  des Etats-Unis. Partout l’abolition de cette exploitation fut la seule façon de mettre un terme à une pratique que la seule interruption de l’arrivée des captifs africains ne mena4ait pas.
Ainsi, les traites négrières ont été une des sources les plus violentes d’approvisionnement en esclaves. Il ne faut cependant pas diluer ce qui fit la spécificité de la traite coloniale : d’abord sa racialisation initiale, puis son organisation administrative par des Etats puissants qui avaient proclamé l’interdiction de l’esclavage sur leur propre sol, tant en Angleterre qu’en France, enfin, l’ampleur même  du prélèvement humain opéré au détriment de l’Afrique, littéralement vidée de ses forces vives.
MARCEL DORIGNY.










- De Paris à Gorée -
L AssoclATloN de descendants d’esclaves noirs et de leurs amis (ADEN) est née à la suite du vote par le Parlement fran9ais, le 10 mai 2001, de la loi déclarant la traite négrière et l’esclavage crimes contre l’humanité. Fondée par Marcel Rosette (1926-2006), ancien sénateur-maire de Vitry-sur-Seine, descendant d’esclave, elle fut successivement présidée par MM. Serge Hermine, professeur des universités, membre du Comité pour la mémoire de l’esclavage ; Jean Métellus, médecin, écrivain ; et Daniel Voguet, avocat à la cour de Paris, militant des droits de l’homme.
Elle est composée de femmes et d’hommes, descendants d’esclaves ou amis, qui luttent sans concession contre le racisme et les discriminations. l’ADEN entend d’abord concourir au « devoir de
Ce qu’on enseigne

PAR ERIC MESNARD *F
N FRANCE, l’histoire des traites
négrières et de l’esclavage organi‑
sés par les puissances coloniales
européennes demeure peu enseignée avant le baccalauréat. Publiés après le vote de la loi Taubira (lire page l), les programmes de l’école élémentaire (1) commencent à lui faire une piace depuis 2002. Rédigés sous l’autorité de l’historien Philippe Joutard, ceux-ci tendent à intégrer, tant en histoire qu’en géographie, les apports de la recherche et visent à rompre avec la mythologie nationale des programmes précédents. Les documents d’application destinés aux professeurs des écoles évoquent explicitement « le massacre des Indiens d’Amérique, une nouvelle forme d ’esclavage avec la traite des Noirs... », qu’ils définissent comme un « point fort des programmes ». lls citent les « esclaves d’une plantation » dans la rubrique des « personnages et groupes significatifs » ainsi que Victor Schcelcher, « père » de la seconde abolition de l’esclavage en 1848 (date qui fait partie des « repères chronologiques » à connaitre par les élèves)
* Professeur d’histoire et de géographie, auteur d’Histoire des traites négrières et de l’esclavage (avec Aude Désiré), CRDP de l’académie de Créteil, novembre 2007.
Cependant, sous prétexte d’« allégement », le ministre de l’éducation nationale Gilles de Robien a décidé de supprimer des programmes les points suivants : «l’apparition d’une nouvelle forme d’esclavage» (Temps modernes), « Le mouvement des Lumières » (XVIIIe siècle), «l’inégalité entre l’homme et la femme exclue du vote et inférieure juridiquement» (XIX` siècle), «l’extermination des Juifs par les nazis» (XX` siècle). Les programmes de géographie de l’école élémentaire ont eux aussi connu des « allègements » qui les rendent très largement incohérents (2).
Gageons que cette régression scientifique et pédagogique pour l’enseignement primaire n’aura que des effets mineurs, car on ne raye pas d’un coup de plume des questions historiques et géographiques essentielles à la compréhension du monde contemporain. Les programmes d’histoire ne peuvent plus reproduire les récits élaborés au XIX= siècle. Depuis les années 1960, l’introduction d’une histoire scolaire qui s’ouvre sur l’Europe et sur le monde a transformé cet enseignement dans son contenu et ses méthodes. Toutefois, cette décision est à mettre en relation avec un mouvement plus général de retour à une histoire scolaire dont la finalité première redeviendrait la transmission du « mythe national » (3).
Les programmes du collège (1997) et du lycée (2000) ne font, quant à eux, aucune mention explicite de l’histoire de la traite et de l’esclavage des Noirs. Toutefois, les manuelsl’évoquent plus ou moins succinctement : en cinquième, à propos de la géographie de l’Afrique, le poids de l’histoire ancienne et récente est mis en évidence, et le recours à l’esclavage peut étre associé à la «destruction des civilisations amérindiennes » ; dans le chapitre «l’Europe à la découverte du monde » (4) ; en quatrième, quelques lignes abordent la question que les élèves retrouvent sous forme d’un dossier consacré à l’abolition en 1848. En seconde, certains manuels introduisent l’histoire de la traite, de l’esclavage et des abolitions dans la partie du programme intitulée « La Révolution et les expériences politiques en France jusqu’en 1851 » (5).
P oUR la plupart des manuels, notamment ceux du secondaire, l’esclavage des Noirs dans les colonies européennes n’est généralement pris en compte qu’au moment de son abolition (6). l’inscription de cette question dans les programmes de l’école élémentaire (avant leur «révision» de 2007) et dans ceux du secondaire « adaptés » pour les départements d’outre-mer (DOM) par la note du 16 février 2000 a eu des effets éditoriaux, notamment l’édition d’ouvrages pour la jeunesse et de manuels pour les DOM. Enfin, le silence des programmes du secondaire n’empéche pas des professeurs et certains auteurs de manuels de prendre en compte ces questions lors de leurs le9ons, mais la plupart se contentent d’une évocation sans lien avec le monde contemporain.



des productions elles-même s issues de l’activité manufacturières de ses villes et de ses campagnes était hautement profitable. Non seulement l’achat d’esclaves contribuait aux activités manufacturières les plus diverses et souvent éloignées des ports négriers eux-même s, mais ces esclaves vendus aux colonies étaient la main-d’ceuvre indispensable à la production des denrées coloniales – sucre, café, cacao... – tant recherchées par une Europe en plein essor. Ces denrées coloniales, transformées sur le continent européen, étaient exportées loin des ports d’arrivée et rapportaient des profits importants : la France, alors grande exportatrice de sucre, équilibrait sa balance du commerce gràce à ses coloniesà esclaves.

De plus, et c’était alors capi-tal, le «troc» d’esclaves contre
l’école
Le silence sur l’histoire de l’esclavage colonial et sur les révoltes des esclaves pour leur liberté est ancien (7). De Jules Michelet à Pierre Nora, l’histoire de France est réduite au territoire hexagonal et à sa population bianche. Le récit national fran9ais tel qu’il a été élaboré sous la IIl’ République a cherché à marginaliser, voire à effacer, tout ce qui pouvait ternir l’image d’une France unie et généreuse. Alors que les historiens avaient le pouvoir de construire et de diffuser le « mythe national », aucun descendant d’esclave n’avait la légitimité de le contester : la vie et les résistances des esclaves ne furent pas intégrées à la geste nationale. Seuls furent mis en avant les abolitionnistes.
T OUTEFOIS, même  si les abolitions sont signalées, on ne s’y attarde pas : ainsi sont passés sous silence le soulèvement des esclaves en 1793 qui causa la première abolition de l’esclavage à Saint-Domingue (Haiti) – cette révolte fut à l’origine du vote par la Convention, en février 1794, du décret d’abolition pour toutes les colonies fran9aises et les conditions ainsi que les effets de l’abolition de 1848 qui attribua la citoyenneté aux « nouveaux libres ». Les élites locales ont participé, dans les « vieilles » colonies, à ce silence en gommant toute référence au passé esclavagiste.
Les historiens qui ont travaillé sur cette histoire sont restés isolés, et la transmission de ce savoir a été rendue difficile par l’absence de centres de recherche et la grande rareté des cours consacrés à ces questiona dans les universités fran9aises.
Des publications récentes et de qualité ne manquent pas. Toutefois, leur prise en compte par les ouvragesde synthèse qui influent le plus sur l’information des étudiants et des enseignants demeure insuffisante, voire inexistante. L:enseignant qui prépare une le9on sur l’histoire de la traite et de l’esclavage est confronté à une série d’interrogations. Comment envisager les relations complexes et souvent conflictuelles entre la mémoire dont certains élèves peuvent étre porteurs et l’enseignement de l’histoire ? Comment donner du sens aux informations que re9oivent les élèves (à l’école, par les médias, dans la famille) ? Que montrer ou... ne pas montrer ? Comment aborder des textes qui défendent des thèses racistes ou des images qui donnent une vision dégradante de l’ètre humain ? Quel équilibre trouver entre une nécessaire mise à distance et une évocation formelle qui cantonnerait cette histoire à un segment sur une frise chronologique ou à un triangle sur une carte ?
Les enjeux civiques rendent d’autant plus nécessaires la précision et la rigueur pour contrecarrer la confusion entretenue par la « concurrence des mémoires ». l’information scientifique apportée par la leion contribue à l’instruction et à la formation de l’esprit critique des élèves. Corame lors de tout cours d’histoire, l’identification précise des sources documentaires (nature du texte ou de l’image, date de production et contexte, auteur, destinataire...) est d’autant plus formatrice qu’elle aide à comprendre l’importante du point de vue de celui qui tient la piume (ou le pinceau) ainsi que la différence entre un témoignage, une fiction, le texte d’un historien ou un reportage.
l’initiation à la critique documentaire amène les élèves à s’interroger sur le sens du choix de tel mot
ou de telle image pour justifier ou pour condamner la traite et l’esclavage. Elle les rend sensibles à la polysémie de mots. Elle incite les futurs citoyens à la défiance à l’encontre de l’euphémisation des pratiques criminelles déjà largement pratiquée par la «communication» (c’est-à-dire la propagande) du lobby négrier qui se fit, face aux critiques, le défenseur de la « liberté du commerce », de la « prospérité des ports, des colonies et de la France » gràce au maintien du trafic du « bois d’ébène » et des «pièces d’Inde» sauvées de la «barbarie africaine ».
L ES COURS SUR l’HISTOIRE de la traite et de l’esclavage gagnent à étre mis explicitement en relation avec la géographie. Comment, en effet, comprendre la complexité du peuplement américain et la diversité de ses populations sans les mettre en relation avec ces pages d’histoire ? Quant à la connaissance des sociétés africaines, elle demeure un des « angles morts » de nos programmes. Cette ignorance contribue à la persistance de stéréotypes racistes.

l’éducation civique est l’occasion de réfléchir sur les formes contemporaines d’asservissement, dont le travail des enfants est une des manifestations les plus sensibles. Les réalités de l’exploitation et de la servitude sont multiples, mais de légaux et officiellement pratiqués, la traite des étres humains et l’esclavage sont devenus illégaux et clandestins. Cette précision n’est pas anodine, car elle ouvre une réflexion essentielle sur le rdle de la loi, mais aussi sur ses limites lorsque des Etats, malgré les conventions internationales, ne se donnent pas les moyens de la faire respecter.
ERIC MESNARD.
(1) Ministère de l’éducation nationale, Qu’apprend-on à l’école élémentaire ? Les nouveaux programmes, CNDP-XO Editions, Paris, 2002 ; et Documents d’application des programmes. Histoire et géographie. Cycle 3, CNDP, Paris, 2002.
(2) Ministère de l’éducation nationale, Qu’apprend-on à l’école élémentaire ?, CNDP-XO Editions, 2007. Cette édition destinée à la vente en librairie reprend les textes du Bulletin officiel du ministère de l’éducation nationale du 12 avril 2007.
(3) Claude Liauzu et Gilles Manceron (sous la dir. de), La Colonisation, la loi et l’histoire, Syllepse, Paris, 2006.
(4) Programmes du cycle central.    et 4’, CNDP, livret I,
p. 39-40, Paris, 1997. .
(5) « Programme histoire 2’ », Bulletin officiel hors-série, n’ 6, 31 aodt 2000.
(6) Les éditions les plus récentes de certains manuels du secondaire tendent à donner une piace plus grande à ces questions.
(7) Myriam Cottias, La Question noire. Histoire d’une construction coloniale, Bayard, Paris, 2007.



Domenica, 02 dicembre 2007