Esteri
La stampa cattolica e il nuovo presidente OBAMA

di Agenzia SIR del 5-11-2008

05/11/2008 14:11
BARACK OBAMA: LE REAZIONI DEI VESCOVI DEL MEDIO ORIENTE

“La speranza legata a questo giorno è che si apra un’era di pace e di concordia, che non ci siano più guerre, anche preventive”. Dall’Iraq, Paese legato come non mai in questi anni, alle vicende americane, arrivano i primi commenti da parte dei vescovi cattolici locali alla storica elezione alla presidenza di Barack Obama, il primo afroamericano a ricoprire questa carica. “Difficile dire adesso se Obama sarà migliore di altri che lo hanno preceduto – dichiara al Sir mons. Jean Sleiman, vescovo di Baghdad dei latini - Certo che gli Usa hanno una strategia a lungo termine qui in Iraq, e dunque legata alla ragion di Stato e non semplicemente ad affari di singole persone. ‘Wait and see’, aspettiamo e vediamo”. “A Barack Obama chiediamo di governare con amore il proprio Paese, come devono fare tutti i governanti – gli fa eco il vicario patriarcale di Baghdad, il caldeo Shlemon Warduni - come leader di una superpotenza deve governare con giustizia il suo popolo senza dimenticare il resto del mondo. E’ urgente lavorare per l’unità e la concordia nel mondo per abbattere le divisioni e porre fine alla sofferenza. Faccia del bene all’uomo”.

“Una scelta coraggiosa ed un segno di vera democrazia, eleggere come presidente un nero afroamericano”. Mons. Antoine Audo, vescovo di Aleppo, in Siria,accoglie con speranza questa elezione nella quale “molti qui in Siria, ma non solo, speravano. “La politica di Bush – spiega al Sir - non è stata mai apprezzata. Ma credo che abbiano influito anche le sue origini musulmane o arabe. Certamente si tratta, da parte americana, di una scelta coraggiosa ed un segno di vera democrazia, eleggere come presidente un nero afroamericano”. La portata e la novità di Obama presidente Usa, aggiunge il vescovo, “potrebbe rappresentare per i nostri governi arabi e musulmani un esempio positivo e provocante per mostrare questa libertà di spirito e di atteggiamento” e nel contempo “aiutare gli Usa a scrollarsi di dosso, o quantomeno ad attenuare la profonda antipatia che si è attirata in questi ultimi anni tra le masse non solo musulmane e che rappresenta un vero problema per gli Usa”. “Spero – conclude - in un cambiamento di politica per un futuro di pace anche in Iraq, in un ritiro con onore degli Usa ed il ritorno in patria delle migliaia di rifugiati iracheni, anche cristiani, che sono qui in Siria”.

Non parla tanto di discontinuità con la politica di Bush ma di “reale cambiamento” mons. Paul Dahdah, vicario apostolico di Beirut dei latini. “Speriamo – dice al Sir - che con questa elezione la politica mediorientale americana cambi un pò: al centro rimane sempre l’annosa questione del conflitto israelo-palestinese. Se venisse risolta la pace in questa regione non sarebbe più un problema e sarebbe molto vicina. Anche l’Iraq merita una particolare considerazione. Sono stato in quel paese per 15 anni e conosco quale dramma stanno vivendo le comunità cristiane di lì. Molti stanno fuggendo da una patria che non li protegge e difficilmente faranno ritorno”.

Posizioni attendiste quelle del vescovo del Cairo (Egitto), mons. Giuseppe Sarraf, “è una elezione storica, una vera novità che merita attenzione e tempo per verificarne la portata sullo scenario mediorientale” e del Custode di Terra Santa, Pierbattista Pizzaballa, convinto che “Obama avrà di fronte tante sfide in Medio Oriente dove gli Stati Uniti hanno giocato e continueranno a giocare un ruolo importante”. “La sua guida sarà determinante in questo – spiega al Sir - ci auguriamo un serio, decisivo e positivo cambiamento ed un sempre maggiore personale coinvolgimento nella politica mediorientale, specialmente in Terra Santa, per arrivare ad una pace negoziata giusta e duratura”. “La speranza è che sulla scia di Annapolis, che non ha portato risultati, Obama riprenda i discorsi interrotti con determinazione e novità. Ci aspettiamo delle novità, fino ad oggi siamo stati dentro copioni già scritti, oggi, alla luce di questo grande cambiamento, ce ne aspettiamo un altro anche in questa regione”.

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05/11/2008 13:24
BARACK OBAMA: MELANDRI (CHIAMA L’AFRICA), “ORA GLI AFRICANI AVRANNO LA PAROLA”


“Spero che dal punto di vista dei rapporti tra Usa e Africa ci sia finalmente la capacità, da parte degli Stati Uniti, di avere una attenzione alla voce dell’Africa, di capire le sue parole e le domande politiche ed economiche”. E’ l’auspicio di Eugenio Melandri, coordinatore della campagna “Chiama l’Africa” a proposito dell’elezione di Barak Obama, primo presidente di origine africana degli Stati Uniti. “E’ un fatto strepitoso che il figlio di un immigrato africano, che ha ancora i familiari in Kenya, diventi presidente degli Stati Uniti – commenta al Sir Melandri -. Per l’Africa significa avere finalmente una parola. Perché l’Africa non c’è mai stata nelle agende della grande politica, della grande economia, dei grandi numeri”. In tanti casi, ricorda Melandri, gli Stati Uniti “oltre a vedere l’Africa come qualcosa di lontano e continuare, come fanno tutti, ad approfittare delle sue risorse, spesso non hanno neanche capito l’Africa. Sono proverbiali anche alcune gaffe di Clinton, arrivato in un Paese mentre pensava di essere in un altro”. L’Africa interessava “solo per motivi di carattere strategico: ad esempio l’attuale dibattito sull’organizzazione di una forza di intervento militare per l’Africa, una sorta di ‘Nato per l’Africa’”.

“La mancanza di attenzione nei confronti dell’Africa - prosegue Melandri - non potrà più avvenire perché lui è africano. Certo, poi potranno esserci anche degli errori, non penso che la politica di potenza degli Stati Uniti venga meno con Obama. Però se non altro Obama sa di essere africano”. Secondo Melandri l’elezione di Obama potrebbe dare un contributo anche alla soluzione della crisi nella Repubblica democratica del Congo e nella regione dei Grandi Laghi. “Gli interessi americani e del mondo anglofono in Congo sono molto forti perché stavano tentando di creare un’area molto forte dal punto di vista geo-strategico e geo-economico – spiega -. Se Obama cerca di capire qualcosa di più dell’Africa può darsi che cambi qualcosa anche nella crisi dei Grandi Laghi. Alcuni segnali ci sono già: il fatto che siano andati a Kinshasa e a Goma il ministro degli esteri francese e il ministro degli esteri inglese è una novità. Rappresenta un avvicinamento tra le due posizioni contendenti. Anche il fatto che l’Unione europea, gli Stati Uniti e l’Unione sovietica chiedano a Kagame e a Kabila di incontrarsi manifesta ufficialmente, per la prima volta, che la crisi non è solo interna al Congo”.

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05/11/2008 13:14
BARAK OBAMA: AMNESTY, “ORA CHIUDA GUANTANAMO E METTA AL CENTRO I DIRITTI UMANI”


Amnesty International ha sollecitato oggi il presidente degli Usa Barack Obama “a mostrare autentica leadership, facendo dei diritti umani un tema centrale della sua nuova amministrazione. Un’azione concreta entro i primi 100 giorni rappresenterebbe la prova di un impegno genuino per allineare gli Usa ai propri obblighi internazionali”. Nei primi 100 giorni di presidenza, Amnesty chiede in particolare alla nuova amministrazione di: annunciare un piano e una data di chiusura del centro di detenzione di Guantánamo Bay; emanare un ordine esecutivo che metta al bando la tortura e gli altri maltrattamenti cosi’ come definiti dal diritto internazionale e che sia applicabile a tutti i funzionari Usa; garantire l’istituzione di una commissione indipendente che indaghi sugli abusi commessi dagli Usa nella guerra al terrore”. Questi provvedimenti fanno parte di un elenco più ampio di azioni, che Amnesty sollecita il nuovo presidente Usa a intraprendere entro i suoi primi 100 giorni di governo.
“La presidenza Obama deve rappresentare una chiara inversione di tendenza rispetto alle politiche e alle pratiche sulla detenzione adottate dalla precedente amministrazione. Milioni di persone, esponenti politici e leader religiosi negli Usa e in tutto il mondo chiedono questo cambiamento. Ora e’ tempo che ci sia!”, ha affermato Irene Khan, segretaria generale di Amnesty international.

“Il presidente Obama deve rimediare ai danni provocati, in casa e all’estero, dalle azioni illegali portate avanti dagli Usa in nome della sicurezza nazionale – ha aggiunto Larry Cox, della sezione Statunitense di Amnesty. “Le politiche perseguite dagli Usa negli ultimi otto anni hanno violato i diritti fondamentali di migliaia di persone, danneggiato la credibilità degli Usa in tema diritti umani e complicato le relazioni diplomatiche. Mentre il mondo intero guarda agli Usa, è giunto il momento che gli Usa rispettino i propri obblighi internazionali e garantiscano che loro politiche saranno basate sul primato della legge”. Secondo Amnesty il governo Usa “dovrebbe assumere una leadership ispirata per fermare le atrocità di massa contro i civili in luoghi come il Darfur, porre fine alla continua violenza contro le donne e le ragazze negli Usa e in altri paesi e sostenere il lavoro dei difensori dei diritti umani e il sistema internazionale di giustizia che ha il suo fulcro nel Tribunale penale internazionale”. Nei primi 100 giorni di governo, Amnesty mobiliterà i suoi soci e sostenitori negli Usa e in ogni parte del mondo per chiedere al nuovo presidente e al nuovo Congresso di assumere iniziative immediate in favore dei diritti umani e affrontare urgentemente alcune questioni aperte negli Usa e all’estero. L’organizzazione per i diritti umani ha chiesto un incontro al presidente Obama.


05/11/2008 12:44
BARACK OBAMA: I COMMENTI DEI GRUPPI POLITICI ALL’EUROPARLAMENTO


“Ora che la crisi finanziaria, e le sue ricadute sull’economia, provengono essenzialmente dall’assenza o dal deficit di regole dei mercati americani, il nostro compito è di lavorare mano nella mano con gli Stati Uniti”, “ma anche con le altre potenze mondiali”, per “dotarci di nuove regole adatte a una nuova economia”: Joseph Daul, capogruppo popolare all’Europarlamento di Strasburgo, commenta il voto negli Usa riflettendo sul piano delle urgenze economiche e rilancia il “metodo Sarkozy”, che ha avviato una stretta collaborazione in tal senso con l’amministrazione Bush. Il capogruppo liberaldemocratico Grahman Watson afferma invece che “da candidato, Obama si era impegnato a porre termine alle divisioni fra gli americani e fra l’America e la comunità internazionale: divenuto presidente, non gli resta che concretizzare questi impegni”. “Un grande e bel momento di storia”, “non solo per gli Stati Uniti”. Questo il commento di Francis Wurtz, presidente del Gruppo della sinistra unitaria all’Europarlamento, che ricorda come l’elezione di un “afro-americano” alla presidenza sia avvenuta “solo una quarantina d’anni dopo la dura lotta per i diritti civili” in America. Per Wurtz, Obama ha saputo “incarnare la potente volontà di cambiamento” degli statunitensi.



Giovedì, 06 novembre 2008