Politica estera - Nord america
Il militarismo imperialista americano e l’economia di guerra.

di Rosario Amico Roxas

Dopo la seconda guerra mondiale gli USA si dettero un assetto militare tra i più aggressivi del pianeta. Gli americani sapevano bene che con i ritmi di spese militari da loro sostenuti, la Guerra Fredda con l’URSS si sarebbe ridotta ad una formalità; l’URSS non avrebbe potuto a lungo sostenere il passo per mantenere l’equilibrio indispensabile per continuare nel confronto della reciprocità della paura.
Fu a questo punto che lo scontro frontale tra democrazia e comunismo si trasformò in scontro economico tra capitalismo e socialismo. Il crollo del muro di Berlino, che segnò anche materialmente la fine del comunismo, in realtà fu la conseguenza del fallimento dell’economia socialista, contrastata dall’economia capitalista.
La previsione, peraltro scontata, dell’implosione del sistema sovietico e del suo impero, avrebbe lasciato gli USA come unica superpotenza militare del pianeta.




L’assetto militare degli USA fu programmato e, quindi, comunicato nel discorso di congedo, rivolto alla Nazione, il 17 gennaio 1961 dallo stesso presidente Eisenhower, un Generale che volle anche gestire la Pace.

"Sono passati dieci anni dalla metà di quel secolo che è stato testimone di quattro principali guerre combattute tra Stati potenti. Tre di queste hanno coinvolto il nostro Paese. Nonostante questi olocausti l’America è oggi la nazione più forte, più influente e più produttiva del mondo. Comprensibilmente orgogliosi di tale supremazia, ci rendiamo conto che il nostro prestigio e la nostra leadership non dipendono solamente dal progresso materiale, dalle ricchezze e dall’impareggiabile forza militare, ma da come usiamo il potere nell’interesse della pace mondiale e del miglioramento dell’umanità….. Fino all’ultimo conflitto mondiale gli Stati Uniti non disponevano di una industria degli armamenti. Con il tempo e a seconda del fabbisogno, i produttori americani di vomeri avrebbero potuto mettersi a costruire spade altrettanto bene. Ma ora, nei momenti di emergenza, non possiamo più permetterci di improvvisare la difesa della Nazione; siamo stati quindi obbligati a creare una stabile industria bellica di vaste proporzioni. Va aggiunto che 3 milioni e mezzo di uomini e donne sono coinvolti in prima persona nella struttura della difesa. Per la difesa militare spendiamo ogni anno una cifra superiore alle entrate nette di tutte le corporazioni degli Stati Uniti messe insieme. Questo collegamento fra un’immensa struttura militare e una grande industria bellica è nuovo nel bagaglio di esperienze del nostro Paese, e ne avvertiamo l’influenza complessiva -economica, politica, perfino spirituale- in ogni città, in ogni sede dell’amministrazione, in ogni ufficio del governo federale. Ammettiamo il bisogno impellente di questo sviluppo. Tuttavia non dobbiamo mancare di afferrarne le profonde conseguenze. Il nostro lavoro, le nostre risorse e i nostri mezzi di sostentamento ne sono tutti coinvolti; e così lo è la struttura portante della nostra società."

Veniva, così, sancita la nascita del più potente Stato del pianeta, avente, come sua componente economica portante, l’industria bellica, con tutto ciò che ne consegue nel campo della ricerca, dell’aggiornamento costante delle più sofisticate invenzioni della tecnologia bellica.
Praticamente prima erano le guerre che stimolavano l’esigenza delle armi, per cui l’artigiano che produceva vomeri si trasformava in produttore di spade, dopo sarà l’esistenza dell’industria bellica, con arsenali stracolmi di ogni genere di armi di distruzione di massa, che stimolerà l’esigenza di sempre nuove guerre e l’urgenza di portare avanti la politica aggressiva, per alimentare il circuito che sta alla base del potere americano, con la conseguente affermazione di una politica di belligeranza continua.
Già dal 1966 l’Usa utilizzò armi chimiche di distruzione di massa: il principio della distruzione di massa ha sempre fatto parte del bagaglio strategico della politica aggressiva degli USA: i defoglianti del Vietnam, che dopo oltre 40 anni ancora non restituiscono l’uso della terra, le armi chimiche e batteriologiche fornite a Saddam per gasare e sterminare i Crudi non sono che la punta dell’iceberg della vocazione belligerante degli USA, che utilizzano l’uso della forza come metodo di dialogo.
L’industria bellica non rappresenta un corollario dell’economia americana, al contrario è diventata la base sulla quale viene edificata l’intera struttura produttiva del paese.
Si tratta di una impostazione ciclica interdipendente: il governo degli USA assume il ruolo di gendarme del pianeta e crea una industria bellica dinamica e altamente produttiva. Questa industria produce beni il cui unico acquirente è sempre stato il Pentagono, tramite il governo degli USA ; nulla avrebbe potuto essere venduto in altre parti del mondo senza l’autorizzazione dello Stato e del Pentagono.
Tale autorizzazione arriva puntualmente quando c’è da sovvertire un ordine precedente per imporre il nuovo ordine programmato: l’industria delle armi diventa così la principale voce dell’economia americana e nello stesso tempo la più importante forza selezionatrice della politica estera.
Questo tipo di industria ha creato un mercato stabile e ha promosso la ricerca in campo spaziale, elettronico, chimico, aeronautico, promuovendo una economia immune dalle fluttuazioni delle recessioni. Le aziende che detengono il monopolio delle forniture all’esercito hanno creato una simbiosi tra gli alti gradi militari e i politici, uniti dalla comune attenzione a salvaguardare i propri interessi.
Le decisioni, tutte le decisioni, anche quelle che coinvolgono i ritmi esistenziali dell’intera popolazione, vengono prese da una ristretta cerchia di oligarchia del potere, che vede confusi in un solo mostro tentacolare i potentati economici con la produzione delle armi, le centrali militari, che di quelle armi fanno uso e abuso, e i clan politico/mafiosi, che provvedono a commercializzare queste armi in tutto il mondo attraverso i trafficanti, primo fra tutti Bin L’Aden, uomo della CIA per tutto quello che riguarda il commercio delle armi, permutando armi con il petrolio di contrabbando dell’Iraq, con i pani di oppio dell’Afghanistan e dell’America Latina, con i brillanti grezzi della Costa d’Avorio, con l’oro della Liberia; il tutto previo consenso del Pentagono.
Il Pentagono, da Centrale del potere militare, si è trasformato in una enorme agenzia commerciale.

Lo storico americano Chalmers Johnson, uno dei massimi esponenti della nuova cultura americana, certamente invulnerabile alle accuse di antiamericanesimo, proveniente da una famiglia di militari e militare anch’egli nella Naval Air Reserve di stanza nel Giappone sconfitto, ha fatto una analisi spietata della nuova realtà inerente il Pentagono:

" Questa enorme organizzazione militare, fra le altre cose, vende armi ad altri paesi, facendo così del Pentagono la più importante agenzia commerciale del governo americano. I prodotti del settore bellico costituiscono un terzo del prodotto interno lordo degli Stati Uniti.
Solo per gestire la vendita delle armi, l’amministrazione federale impiega oltre settantamila persone, unitamente agli alti funzionari delle ambasciate americane di tutto il mondo, che trascorrono gran parte della loro carriera "diplomatica" a fare i commercianti di armi…….Secondo dati ufficiali del Pentagono fra il 1990 e il 1996 il commercio delle armi aveva dato un risultato attivo di bilancio di oltre 100 miliardi di dollari, dai quali bisogna sottrarre 3 miliardi di provvigioni…." (Dal 1997 i bilanci del Pentagono sono stati secretati . n.d.r.) (V. Chalmers Johnson, Blowback: Costs and Consequences of American Empire, New York and London 2000, pag. 87) .

Rosario Amico Roxas(raroxas@tele2.it)



Domenica, 13 gennaio 2008