Politica estera - Le elezioni negli USA
I terrorismi e la Democrazia

di Rosario Amico Roxas

Stiamo assistendo allo scontro, sempre più violento, tra due culture, due religioni, due mondi. Ma siamo sicuri che si tratti di uno scontro culturale e/o religioso ?

Perchè di scontro si tratta, mentre avrebbe potuto essere un incontro fra culture complementari, bisognose l’una dell’altra per operare nell’itinerario dell’integrazione.
"Avrebbe potuto" se non ci fosse stata la pretesa americana di elevarsi al di sopra di tutte le nazioni del pianeta e farsi indagatore, giudice ed esecutore di sentenze troppo spesso capitali.
Parto da questa convinzione nell’analizzare l’andamento della campagna elettorale americana, che produrrà solamente speranze, ma al momento delle certezze prevarrà il pragmatismo e con esso la politica di incutere terrore, innanzitutto all’interno del paese per operare in accordo con il popolo che si illude di essere così difeso e sostenuto, quindi all’esterno con l’esibizione di una forza bellica che non ha mai avuto uguali nella storia del mondo.
Il popolo deve essere sempre coinvolto nelle scelte che i poteri forti vogliono adottare; il ricorso al consenso popolare è indispensabile per chi vuole agguantare il potere e servirsene a proprio uso e consumo.
L’idea berlusconiana di fondare un altro partito e chiamarlo "Partito del Popolo della Libertà" non è altro che una imitazione del metodo americano, che si va sempre più perfezionando con la folle proposta alla quale è stato condotto Veltroni di giugere ad un presidenzialismo, con più ampi poteri al presidente della repubblica che diventerebbe anche capo del governo; proprio ad imitazione di quella che, spavaldamente, lo stesso Berlusconi identificò come "tempio della democrazia".
Oggi l’America cerca lo scontro e si serve di tutti i mezzi per effettuarlo.
Obama sarebbe un ostacolo che non potrà mai contrastare gli interessi immensi che regolano quella nazione.

Lo scontro, se vogliamo chiamarlo con il suo vero nome, avviene tra la strategia del terrorismo legalizzato di Stato dell’Occidente-America che ha fatto della guerra il fulcro centrale della propria diplomazia e, principalmente, della propria economia, con la strategia del terrorismo reattivo Individuale, il solo mezzo di reazione che può dichiararsi invulnerabile allo strapotere militare e tecnologico.
Con una aggravante per l’Occidente-America, perché usa il suo terrorismo legalizzato per aggredire, invadere e occupare i paesi ai quali intende sottrarre le materie prime, e una attenuante contro il terrorismo individuale che nasce come ribellione e legittima difesa.
La prova provata che documenta le mie affermazioni sta nell’evidenza dei fatti: guerre tribali che causano centinaia di migliaia di morti, come nelle giovani repubbliche del Centro-Africa, non destano alcun interesse e le potenze occidentali non muovono un dito per bloccare quelle continue carneficine; così non sarebbe se in quelle nazioni si sviluppassero degli interessi, allora tornerebbe a risuonare la cantilena della esportazione della democrazia.
La strategia del terrorismo, sia pure individuale, rende, però, molto vulnerabili le nazioni, le città, i villaggi, con gli innocenti abitanti che diventano oggetto di ritorsioni, vittime sacrificali al Dio dell’intolleranza, al Dio del profitto, al Dio della tecnologia.
Tutto ciò finirà per autodistruggere questo martoriato pianeta, peraltro con la legittimazione di quell’opinione pubblica disabituata a guardare dentro i fatti, e che si limita a recepire ciò che è ammannito dai mass media occidentali, opportunamente pilotati.
Il diritto alla difesa contro quel terrorismo individuale provocato dal terrorismo di Stato, diventa, così, diritto alla vendetta; da qualunque parte ciò si guardi, in questa spirale perversa, emergono solo le vittime.
Pretendere di combattere il terrorismo individuale accentuando il terrorismo di Stato con azioni ancor più spietate e crudeli non serve alla causa della giustizia, né, tanto meno, alla promozione della vera Democrazia, così come non servono le invettive pilotate che vogliono condizionare la capacità di intendere della parte tecnologicamente più avanzata e, quindi, più forte.
L’affermazione più grave è quella che vorrebbe far accettare l’ipotesi di lavoro che si tratta di uno scontro tra il “Bene” e il “Male” e che a decidere quale sia il bene e quale sia il male si sente investito lo stesso Occidente-America che vuole persuadere l’intero pianeta che i propri valori, il proprio modello di vita, il proprio modo di intendere le categorie del bene e del male debbano essere accettati come valori e modi di vita universali.
Lo scenario che simili affermazioni produce è quello che, in modo apocalittico, prevede solo scenari di guerre, di distruzione e di morte, con l’aggravante che tale scenario diventa il solo proponibile.
Il Bene per combattere il Male deve continuamente adeguarsi al livello della lotta che ne scaturisce; per respingere gli attacchi del Male, che utilizzerebbe mezzi sempre più violenti e crudeli, il Bene deve necessariamente adeguarsi ad usare mezzi ancor più violenti e crudeli, altrimenti il Bene soccomberebbe di fronte al Male.
Non ci si rende conto che in tal modo lo scenario di guerre diventa uno scenario illimitato, perenne, perché il Male, specie se stimolato a livello reattivo, è destinato a non finire mai o a far coincidere la sua fine con l’olocausto totale.
L’escalation del Bene passerebbe dalle guerre difensive a quelle offensive, per transitare definitivamente nell’accettazione della teoria delle guerre preventive, dove ogni diritto è sospeso insieme al concetto di onore. L’esistenza di una base come Guantanamo è la riprova di tale escalation che capovolge i termini del problema: i valori universali che il Bene ritiene di incarnare vanno alla deriva verso la loro negazione assoluta.

L’accelerazione della storia e la globalizzazione hanno provocato l’annullamento della distinzione tra “politica interna” e “politica estera”, per questo un evento "interno" come l’elezione del presidente, incombe sulla politica estera e coinvolge scenari molto diversificati:

• la guerra esterna, quella preventiva, diventa un atto di politica interna,
• allo stesso modo le esigenze della politica interna sono destinate a provocare guerre esterne, magari solamente per procacciarsi ulteriori riserve di petrolio.


La politica può essere interna o estera, ma per l’Occidente-America le guerre devono essere sempre esterne e per esserlo non possono che essere preventive essendo sempre guerre di offesa e non di difesa; l’imperialismo, infatti, non programmerebbe mai una guerra interna di offesa, così sposta il campo di battaglia nelle guerre esterne di difesa, chiamandole guerre preventive, mentre si tratta di guerre esterne di offesa a cui non può che corrispondere una reazione di difesa interna.
Il filo della spada non può dividere e distinguere fino a che punto le esigenze della politica interna giustificano una guerra esterna preventiva, bisognerebbe, infatti identificare esattamente quando una critica diventa una minaccia, quando la paura diventa terrore, quando la fame diventa disperazione, quando la prepotenza diventa sopruso.
Per questo l’Occidente-America riserva per sé anche il diritto di identificare quelli che mostrano paura, quelli che esercitano una critica, quelli che lamentano la loro fame, gli insofferenti alla prepotenza, quelli che vogliono resistere al predominio, per tenerli d’occhio, per poter sospettare di loro e per identificarli come “Stati canaglia” e metterli nella lunga lista delle future guerre esterne e preventive.
E’ il ruolo multiuso che l’imperialismo dell’Occidente-America riserva per se stesso: sceriffo planetario, giudice unico e esecutore delle condanne a morte collettive, dopo processi sommari e senza appello.
Ma il mondo dei derelitti non mancherà mai di reclute disperate, pronte a sacrificare la propria vita; il loro grado di disperazione ha, da qualche tempo, superato i confini che delimitano la vita e la morte.

Rosario Amico Roxas(raroxas@tele2.it)



Domenica, 06 gennaio 2008