Esteri - Riflessione
IL TIBET E NOI

di Daniele Lugli

[Ringraziamo Daniele Lugli (per contatti: daniele.lugli@libero.it) per questo intervento. Daniele Lugli e’ il presidente nazionale del Movimento Nonviolento, figura storica della nonviolenza, unisce a una lunga e limpida esperienza di impegno sociale e politico anche una profonda e sottile competenza in ambito giuridico ed amministrativo, ed e’ persona di squisita gentilezza e saggezza grande]


Quando la neonata Repubblica popolare cinese proclama l’annessione del Tibet e la attua, nel 1950, con le truppe "liberatrici del Tibet" da un regime clericale, che tiene la grande maggioranza degli abitanti in uno stato servile, la cosa non desta, internazionalmente, particolare emozione. Il boicottaggio economico deciso quell’anno dagli Usa nei confronti della Cina e’ da tutt’altro motivato: dall’appoggio cinese ai nordcoreani nella iniziata guerra di Corea. Lo stesso e’ per il drammatico abbandono, nel 1959, da parte del Dalai Lama, dei suoi collaboratori, per l’esodo di centinaia di migliaia di tibetani, per l’inizio della diaspora tibetana in presenza di una feroce repressione. E’ il Vietnam a prendere tutta l’attenzione internazionale. E’ ancora la sempre piu’ sanguinosa guerra del Vietnam nel 1965 a "oscurare" la perdita di ogni forma di indipendenza del Tibet, ridotto a semplice regione autonoma della Cina.

La "questione tibetana" si afferma poi in gran parte grazie all’azione di Tenzin Gyatso, che si fa apprezzare come maestro di spiritualita’ e di morale, capace di parlare ben oltre quanti vedono in lui il XIV Dalai Lama (Oceano di Saggezza), emanazione del bodhisattva protettore del Tibet, Avalokiteshvara. Anche in questo momento cosi’ drammatico la sua posizione, le sue proposte meritano la massima attenzione. L’insistenza sulla necessita’ del dialogo e sull’autonomia del Tibet all’interno della Cina resta non solo l’opzione piu’ umana e realistica, ma quella piu’ aperta al futuro. Sarebbe importante conoscere e comprendere cosa avviene e sta avvenendo in Tibet ed attorno a quegli avvenimenti, a partire dalle ricostruzioni e dalla disputa sui numeri. Le manifestazioni si sono avviate con la dura repressione contro monaci pacificamente dimostranti ovvero con la violenza contro i negozianti cinesi, beneficiari di uno sviluppo che non tocca la popolazione tibetana? I morti quanti sono tra i dimostranti tibetani, tra i cinesi aggrediti? Come in ogni conflitto, che si tinge di etnicita’, ognuno conta solo i suoi e adduce prove dubbie, se non inventate di sana pianta. Non c’e’ bisogno di andare in Tibet per averne piena conoscenza: basta un’occhiata al vicino Kossovo.

Il Dalai Lama tiene invece conto di tutti. E’ la severa pratica della nonmenzogna che caratterizza la nonviolenza. Le sue proposte trovano un eco nella parte piu’ coraggiosa e avvertita della societa’ cinese. Lo testimonia una splendida lettera in dodici punti di intellettuali cinesi, di diversa formazione e provenienza, che richiamano le autorita’ cinesi alla necessita’ del dialogo. Un’azione coerentemente nonviolenta e’ in grado di aumentare l’attenzione di tutti i cinesi alle condizioni della minoranza tibetana e il loro consenso a forme di reale autonomia. Questa azione non da’ nessuna garanzia di successo, in compenso una scelta diversa fondata sulla violenza e, come si comincia a sentire, sulla lotta armata, e’ sicuramente disastrosa.

La conflittualita’ identitaria ed etnica e’ contagiosa ed e’ forse la causa principale della composizione e scomposizione degli stati in ogni parte del mondo. Puo’ essere questa la speranza dei secessionisti, che criticano le posizioni del Dalai Lama, e la preoccupazione delle autorita’ cinesi, in un paese che conta cinquantacinque minoranze riconosciute e la presenza di estremismo islamico nello Xinjiang, confinante a nord con la provincia tibetana. I padroni economici e politici del mondo non apprezzano certo una destabilizzazione di queste immense aree. Per le autorita’ cinesi poi sono indispensabili dal punto di vista geopolitico. La provincia tibetana ha una superficie quadrupla dell’Italia e, se si tiene conto del Tibet storico, la dimensione raddoppia ancora. E’ in atto una "corsa al West" della quale non beneficiano le popolazioni residenti, ma i "coloni" han che vi si recano. L’apporto al Pil complessivo non e’ particolarmente rilevante, si parla dell’uno per mille. Ma l’area e’ egualmente preziosa: le superfici d’acqua dell’altipiano sono un terzo della superficie lacustre del paese e qui nascono i principali fiumi dell’Asia. Il controllo dell’acqua e’ un’arma strategica non meno importante del controllo del petrolio.

Ma una scelta orientata alla secessione non e’ disastrosa solo perche’ destinata a un sanguinoso fallimento, ma anche se, incredibilmente, fosse destinata al successo. La nascita di nuovi stati, dopo la caduta del muro di Berlino, ha illustrato nel modo piu’ convincente le vecchie affermazioni secondo le quali il nazionalismo e’ l’ultimo rifugio delle canaglie e la nazione e’ un gruppo di persone unite da un errore comune sui loro antenati e da un’antipatia comune per i loro vicini. Non di questo c’e’ bisogno. Diverso e’ il contributo di cultura, di modelli di vita, di etica che il Tibet puo’ dare. Vale ancora l’esempio del Dalai Lama, che e’ un dono ben oltre il suo Paese natale.

I paesi cosiddetti democratici possono aumentare la loro attenzione e pressione, piu’ efficace in tempo di olimpiadi. Noi possiamo pensare a un digiuno televisivo, benefico sempre, particolarmente benvenuto in questa occasione.

Tratto da
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proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

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Numero 406 del 26 marzo 2008



Mercoledì, 26 marzo 2008