SOMALIA
ACCORDO DI GIBUTI, MOLTE SPERANZE NONOSTANTE UNA VOCE CONTRO

di Agenzia MISNA del 11-6-2008

11/6/2008 8.30

Un passo avanti sicuramente non risolutivo ma comunque estremamente positivo: questa, in sintesi, la reazione quasi unanime raccolta oggi dalla MISNA dopo aver interpellato fonti della società civile somale, ma anche delle associazioni umanitarie locali e di esponenti politici somali e internazionali sull’intesa siglata ieri a Gibuti tra il Governo federale di transizione (Tfg) e i principali esponenti dell’opposizione politica riuniti nell’Alleanza per la ri-liberazione della Somalia (Ars). “L’aspetto centrale dell’accordo è che non si limita a contenere dichiarazioni politiche sulla cessazione delle ostilità, sul ritiro dei soldati etiopici o sulla prosecuzione del dialogo, ma stabilisce la creazione di due organismi incaricati di proseguire il confronto e verificare che i punti dell’accordo di Gibuti vengano rispettati” dice alla MISNA un diplomatico occidentale che ha chiesto di restare anonimo, riferendosi al “Comitato di Sicurezza Congiunto” (incaricato di “perseguire gli obiettivi di sicurezza”) e al “Comitato di Alto Livello” (creato “per vigilare sulla cooperazione politica tra le parti e sulle questioni della giustizia e della conciliazione”) previsti nel punto 8 dell’accordo. Secondo la stessa fonte, l’intesa siglata a Gibuti costituisce un buon punto di partenza per far “marciare più speditamente” il processo di pace messo a punto da quei settori, sia somali che internazionali, che intendono trovare una soluzione al caos in cui versa l’ex-colonia italiana da ben 17 anni, da quando cioè nel 2001 venne rovesciato il dittatore Siad Barre. Nei 10 giorni di colloqui che hanno preceduto la firma dell’accordo, governo somalo e opposizione politica hanno messo a punto con i rappresentanti delle Nazioni Unite e dei paesi e delle organizzazioni internazionali presenti alla trattativa (tra cui spicca il ruolo positivo dell’Arabia Saudita e della Lega Araba) un complesso sistema di accordi che in sostanza vede, per la prima volta, camminare insieme verso una soluzione della crisi i principali protagonisti della crisi somala (governo e opposizione) e la comunità internazionale, a cominciare dalle Nazioni Unite e da quel Consiglio di Sicurezza più volte in passato accusato di “immobilismo” nel risolvere la questione somala. “L’accordo, più che un punto d’arrivo, è un punto di partenza, un viatico per arrivare a una soluzione politica della crisi e a una vera riconciliazione della Somalia” dice una fonte del governo somalo, non autorizzata a parlare con la stampa e per questo anonima, sottolineando i precisi riferimenti temporali contenuti nell’intesa e che la trasformano in un documento programmatico per la pace. Se i comitati di applicazione dell’accordo, entrambi presieduti dalle Nazioni Unite, dovranno nascere entro 15 giorni, entro il 9 di luglio le parti dovranno arrivare a una formale cessazione delle ostilità. Oggi esponenti dell’ala più radicale dell’opposizione politica hanno già fatto sapere di non riconoscere l’intesa, annunciando il proseguimento della lotta armata, ma si tratta degli stessi esponenti che non avevano riconosciuto la mediazione delle Nazioni Unite e quindi non avevano partecipato ai colloqui. Di fatto un’altissima percentuale dell’opposizione politica somala ha sottoscritto l’accordo di Gibuti, un dato non secondario dal momento che il Segretario Generale dell’Onu nel suo ultimo rapporto sulla Somalia aveva chiesto che almeno il 60% degli oppositori sottoscrivesse un accordo col governo prima di valutare seriamente la possibilità di inviare una forza di interposizione internazionale. “La situazione sul terreno non cambierà da un momento all’altro, e anzi nelle prossime settimane rischia di peggiorare per i colpi di coda dei movimenti più radicali, ma molte delle formazioni attive in questi mesi nella lotta armata al governo di transizione fanno capo a uomini o gruppi che hanno sottoscritto l’accordo” aggiunge l’esponente governativo somalo, preannunciando una diminuzione delle violenze e l’isolamento delle frange più oltranziste dell’opposizione. Secondo indiscrezioni, infine, sul ritiro dei soldati etiopici - entrati in Somalia alla fine del 2006 a fianco del governo di transizione per cacciare le Corti Islamiche e da allora rimaste sul terreno e percepite sempre più come una forza d’occupazione straniera dalla gente – l’accordo di Gibuti godrebbe anche di una sorta di beneplacito di Addis Abeba, dove non pochi vedrebbero di buon occhio il ritiro dei propri soldati dal pantano somalo. L’esercito etiope, considerato da alcuni braccio armato di interessi internazionali, si è reso protagonista negli ultimi mesi di crescenti episodi violenti ai danni soprattutto di civili e di un uso sproporzionato e indiscriminato della forza in aree densamente abitate. “Mogadiscio è divisa: la maggioranza della gente ha accolto con soddisfazione le notizie dell’intesa e spera fiduciosa in un ritorno della pace in città e nel paese, altri invece credono che i ‘falchi’ presenti sia nel governo che nell’opposizione riusciranno ad affossare ogni speranza di dialogo. D’altronde in molti in questi anni di guerra in Somalia hanno tratto beneficio dal caos” dice in conclusione Ali Mohalim Mohamed, vicedirettore di uno dei principali ospedali della città.(di Massimo Zaurrini)
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Mercoledì, 11 giugno 2008