Gv 6, 51-58
[In quel tempo Gesù disse alla folla:] «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
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Come è noto, la festività del Corpus Domini si iniziò a celebrare nella città di Leja nel 1246 e fu istituita per la Chiesa universale nel 1264 da papa Urbano IV. Nella festa del Corpus Domini, come è ovvio, si vuole esibire con solennità e sfarzo l’ostia consacrata per la venerazione e l’adorazione dei fedeli. Questo ha rappresentato il passaggio definitivo verso una concezione dell’Eucaristia che aveva oramai poco a che vedere con quella che è stata la sua origine: i pranzi di Gesù raccontati dai vangeli, specialmente la cena d’addio prima della passione. Questo processo di cambiamento teologico e di esperienza cristiana iniziò alla fine del secolo VIII, quando la preghiera eucaristica iniziò ad essere recitata dal prete a voce bassa. Inoltre, i preti iniziarono a celebrare di spalle alla comunità, si moltiplicarono le messe solitarie. Nel secolo X il prete ed il suo altare si allontanano dalla comunità, che assiste passiva e si limita a vedere ed a ascoltare la messa, ma non vi partecipa più. Tutto ciò ha presupposto una nuova teologia della Chiesa, che aveva il suo centro principalmente nei preti, visto che i fedeli erano semplici clienti e sudditi. Anzi, a partire dal teologo Pietro Lombardo l’aspetto specifico del sacramento dell’«ordine» è il potere di trasformare il pane ed il vino nel corpo e nel sangue di Cristo. Ma, siccome in questo potere non esiste differenza tra il semplice prete ed il vescovo, la conseguenza è stata che da allora fino al Concilio Vaticano II molti teologi hanno sostenuto l’idea che l’episcopato non è sacramento, ma una dignità ed una potestà giuridica. In questo modo si è deformata la teologia dell’Eucaristia e la teologia della Chiesa. Il Vaticano II ha recuperato in buona parte il significato originale della teologia del primo millennio.
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Di fatto molti cristiani vivono l’Eucaristia come un «rituale» che si deve osservare alla lettera. Per altri è un «precetto» che si deve adempiere al meno una volta alla settimana. In non pochi casi è un «cerimoniale di devozione». Tutto ciò ha oramai poco a che vedere con i pranzi di Gesù. I pranzi con i poveri, con i peccatori, con i pubblicani, con i vagabondi della strada, come dimostrano la parabola del gran banchetto del Regno (Lc 14, 15-24), le condivisioni dei pani, la cena d’addio, i pranzi del Risorto.
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Se la Chiesa desidera davvero un rinnovamento profondo, il primo problema da affrontare è la sua forma concreta di celebrare l’Eucaristia. La Chiesa lo deve affrontare nella sua liturgia ed ogni credente nella sua esperienza spirituale. Questo è urgente. È meno importante avere un’idea chiara di come spieghiamo la presenza di Cristo in questo sacramento. L’aspetto più importante è vivere l’esperienza della presenza di Gesù nelle nostre vite e nella comunità cristiana.
Giovedì 11 Giugno,2020 Ore: 19:08 |