IV DOMENICA DI PASQUA – 17 aprile 2016 - Commento al Vangelo
ALLE MIE PECORE IO DO LA VITA ETERNA

di p. José María CASTILLO

Gv 10, 27-30

[In quel tempo, Gesù disse:] «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
 
  1. È un fatto che le religioni si organizzano, da più di 5000 anni, come “sistemi di ranghi, che implicano dipendenza, sottomissione e subordinazione a superiori invisibili” (H. Steible, M. J. Seux, C. G. Griffiths, W. Burkert). Come è logico, se i superiori religiosi per tanti secoli hanno assunto tali titoli e poteri, questo equivarrebbe a presentare Dio come Potere e Dominazione. Ecco perché i rituali religiosi esprimono sempre, in una maniera o nell’altra, il fatto che “quando ci imbattiamo nel divino, ci adattiamo ad ogni tipo di rappresentazione di modestia” (Seneca). Con questo l’essere una “persona religiosa” è essere una “persona sottomessa” fin negli ambiti più intimi della sua vita.
  2. Ma questo ha voluto Gesù? Il modello di relazione, qui presentato dal Vangelo, va per un’altra strada. Questa relazione si definisce con tre verbi: “ascoltare” (akoúo), “conoscere” (ghinóskô) e “seguire” (akoluthéô). Prima di tutto, i discepoli “ascoltano” il pastore, cioè Gesù. Ma sapendo che “ascoltare” equivale ad interessarsi a quello che dice. In secondo luogo, il pastore “conosce” le pecore. Questo indica una relazione di reciproca comprensione (R. Bultmann) ed accettazione. In terzo luogo, la “sequela”, che definisce la maniera di vivere del discepolo che si fida di Gesù, gli fa lasciare tutto per lui ed identifica la sua vita con quella del pastore, così come il pastore identifica la sua con quella di coloro che conduce al pascolo (M. Hengel). Non è la relazione del discepolo con il Rabbino, che si riduce ad imitare costumi e norme, ma è l’adesione che fonde la vita con quella dell’altro.
  3. Tutto ciò suppone la soppressione in radice della relazione “governante-governato”. Non si tratta più di una “relazione di potere” alla quale corrisponde una “relazione di sottomissione”. In questo è consistito il “principio di decomposizione” della Chiesa. Perché in essa l’”obbedienza” ha soppiantato la “sequela”. Noi cristiani obbediamo ai preti, ma non seguiamo Gesù. Può esserci una manipolazione più grande del progetto originario di Gesù? Obbedire è “sottomettersi a” un altro. Seguire è “vivere con” un altro. In questo caso, come hanno fatto i discepoli di Gesù, è vivere con lui e come lui. Quale prete ha il coraggio di dire: “Vivete come me e così tutti noi seguiremo Gesù”?



Lunedì 11 Aprile,2016 Ore: 17:04