L'esegesi biblica

Domenica 12 Maggio 2002
(E) Settima di Pasqua - Exaudi (C) Ascensione


Esegesi attuale|Esegesi patristica


L'esegesi attuale

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Testi patristici

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Originariamente, la Chiesa celebrava l’Ascensione del Signore insieme con la solennità della Pentecoste. Conosce questa prassi la Chiesa di Gerusalemme ancora alla fine del secolo IV. Nel giorno della Pentecoste, nel pomeriggio, i fedeli si recavano al Monte degli Ulivi dove, nella chiesa che ricordava l’Ascensione del Signore, si leggevano i brani della Sacra Scrittura riguardanti l’Ascensione, nonché si cantavano le antifone e gl’inni. Nella seconda metà del secolo IV l’Ascensione del Signore costituisce già una festa a parte e viene celebrata quaranta giorni dopo la Risurrezione; nel V secolo, è già comunemente conosciuta. Ne parla san Giovanni Crisostomo. Sant’Agostino scrive, che "il giorno di oggi viene festeggiato in tutto il mondo". Si sono conservate le omelie del papa Leone Magno pronunziate in questo giorno. Nel canone romano della Messa si ricorda l’Ascensione di Cristo chiamandola "gloriosa", ed i Sacramentari romani contengono formulari di Messa per questo giorno. Nel Medioevo, compare la processione, che doveva ricordare il cammino di Cristo con i discepoli verso il Monte degli Ulivi, quasi ad esprimere l’entrata trionfale del Salvatore in Cielo.
Nella cattedrale di Milano si innalzava il cero pasquale per simboleggiare l’Ascensione del Signore ed in alcune chiese tedesche si innalzava la Croce. Il costume della processione dura ancora oggi.
Dopo la sua Risurrezione, Cristo si manifestava ai discepoli ed ai loro occhi si è innalzato al Cielo. Lui, nostro Signore e Signore di tutto, il vincitore del peccato e della morte, oggi ascende al Cielo. Ha adempiuto l’opera di salvezza e adesso siede alla destra del Padre. E il Mediatore tra Dio e gli uomini e perciò, andando via, non ha lasciato l’uomo nell’abbassamento: egli ci precede nella patria celeste, in lui la nostra natura umana è stata già introdotta nella gloria. L’Ascensione di Gesù al Cielo è la nostra vittoria: ci dà la speranza che insieme con lui saremo nella stessa gloria. Siamo i membri del suo Corpo, per questo saremo uniti a Colui che è il nostro Capo.
L’Ascensione al Cielo del Signore è l’inizio della glorificazione dell’uomo, ma è anche l’impegno nella nuova vita. Giorno dopo giorno, dobbiamo cercare le cose di lassù, innalzarci con lo spirito alla vera patria, vivere desiderando il Cielo dove si trova Cristo, quale primo degli uomini. Il Cristo, che è salito al Cielo, rimane con noi tutti i giorni: vive nella sua Chiesa e attraverso la Chiesa continua l’opera della salvezza. Il Cristo salito al Cielo ritornerà nell’ultimo giorno, lo vedremo venire di nuovo.

O Cristo, scendendo dal cielo in terra,
come Dio facesti risorgere con te il genere umano
dalla schiavitù dell’inferno cui soggiaceva,
e per la sua Ascensione lo riconducesti al cielo
facendolo sedere con te sul trono del Padre tuo,
perché sei misericordioso ed amante degli uomini.

(Liturgia Bizantina, EE, n. 3151 )




Primo Discorso sull’Ascensione del Signore

Carissimi, questi giorni intercorsi tra la Risurrezione del Signore e la sua Ascensione non sono trascorsi nell’oziosità; grandi misteri vi hanno invece ricevuto conferma, e grandi verità sono state svelate. E in questi giorni che viene abolita la paura di una morte temuta e viene proclamata non solo l’immortalità dell’anima, ma anche quella della carne. E’ in questi giorni che viene infuso lo Spirito Santo in tutti gli apostoli attraverso il soffio del Signore (cf. Gv 20,22) e che, dopo aver ricevuto le chiavi del Regno, il beato apostolo Pietro si vede affidata, con preferenza sugli altri, la cura del gregge del Signore (cf. Gv 21,15-17). E in questi giorni che il Signore si affianca ai due discepoli in cammino (cf. Lc 24,13-35) e che, per sgombrare il terreno da ogni dubbio, contesta la lentezza a credere a coloro che tremano di spavento. I cuori che egli illumina sentono ardere la fiamma della fede, e quelli che erano tiepidi diventano ardenti quando il Signore apre loro le Scritture. Al momento della frazione del pane, si illuminano gli sguardi di coloro che siedono a mensa; i loro occhi si aprono per veder manifestata la gloria della loro natura, molto più beatamente di quelli dei principi della nostra specie ai quali il crimine apporta confusione.
Tuttavia, dato che gli spiriti dei discepoli, in mezzo a queste meraviglie e ad altre ancora, continuavano a scaldarsi in inquieti pensieri, il Signore apparve in mezzo a loro e disse: La pace sia con voi (Lc 24,36; Gv 20,26). E perché non restasse in loro il pensiero che andavano rimuginando nella mente - credevano, infatti, di vedere un fantasma e non un corpo -, rimproverò loro i pensieri contrari al vero e mise sotto i loro occhi esitanti i segni della crocifissione che serbavano le sue mani e i suoi piedi, invitandoli a toccarli attentamente; aveva voluto conservare, infatti i segni dei chiodi e della lancia per guarire le ferite dei cuori infedeli. Così, non è da una fede esitante, bensì da una conoscenza molto certa, che affermeranno che la natura che stava per sedere alla destra del Padre, era la stessa che aveva riposato nel sepolcro.
Durante tutto questo tempo, carissimi, intercorso tra la Risurrezione del Signore e la sua Ascensione, ecco dunque a cosa volse le sue cure la Provvidenza di Dio; ecco ciò che essa volle insegnare; ecco ciò che essa mostrò agli occhi e ai cuori dei suoi; perciò si riconoscerà come veramente risorto il Signore Gesù Cristo che era davvero nato, aveva sofferto ed era morto. Così i beati Apostoli e tutti i discepoli, resi timorosi dalla sua morte sulla croce, e che avevano esitato a credere alla sua Risurrezione furono a tal punto riconfermati dall’evidenza della verità che quando il Signore si levò verso le altezze dei cieli, non solo non furono presi da tristezza alcuna, bensì furono ripieni da una grande gioia (cf. Lc 24,52). E, in verità, grande e ineffabile era la causa di quella gioia, allorché in presenza di una santa moltitudine, la natura umana saliva al di sopra delle creature celesti di ogni rango, superava gli ordini angelici e si elevava al di sopra della sublimità degli arcangeli (cf. Ef 1,21), non potendo trovare a livello alcuno, per elevato che fosse, la misura della sua esaltazione fintanto che non venne ammessa a prender posto alla destra dell’eterno Padre, che l’associava al suo trono di gloria dopo averla unita nel Figlio suo alla sua stessa natura.
L’Ascensione di Cristo è quindi la nostra stessa elevazione e là dove ci ha preceduti la gloria del capo, è chiamata altresì la speranza del corpo.
Lasciamo dunque esplodere la nostra gioia come si deve e rallegriamoci in una fervorosa azione di grazie: oggi, infatti, non solo siamo confermati nel possesso del paradiso, ma siamo anche penetrati con Cristo nelle altezze dei cieli; abbiamo ricevuto più dalla grazia ineffabile di Cristo di quanto non avevamo perduto per la gelosia del Maligno. Infatti, coloro che quel virulento nemico aveva scacciato dal primo soggiorno di felicità, il Figlio di Dio li ha incorporati a sé per collocarli in seguito alla destra del Padre.

(Leone Magno, Sermo 73 [60], 2-4)




La Risurrezione del Signore è la causa della nostra gioia


In occasione della festività pasquale, la Risurrezione del Signore si presentava come causa della nostra gioia; oggi, ricorre la sua Ascensione al cielo che ci offre nuovi motivi di gioia, in quanto commemoriamo e veneriamo, come si conviene, il giorno in cui l’umiltà della nostra natura è stata elevata in Cristo al di sopra di tutte le schiere celesti, al di sopra di tutti gli ordini angelici e oltre la sublimità di tutte le potenze (cf. Ef 1,21), fino a condividere il trono di Dio Padre. E su questa disposizione delle opere divine che siamo costituiti ed edificati; la grazia di Dio diviene, in verità, più ammirevole quando fa sì che la fede non dubiti, che la speranza non vacilli, che la carità non si intiepidisca, allorché è scomparso dalla vista degli uomini ciò che, con la sua presenza sensibile, meritava di ispirare loro il rispetto. Tale è in effetti, la forza propria dei grandi spiriti, tale la luce propria delle anime eminentemente fedeli: essa consiste nel credere incrollabilmente ciò che non vedono con gli occhi del corpo e nel fissare il proprio desiderio là dove non può arrivare la vista. Ma una tale pietà come può nascere nei nostri cuori, o come possiamo essere giustificati dalla fede, se la nostra salvezza risiedesse solo in ciò che cade sotto i nostri occhi? Di qui, la parola detta dal Signore a quel tale che sembrava dubitare della Risurrezione di Cristo, ove non gli fosse stata offerta la possibilità di verificare con i propri occhi e di toccare con le proprie mani i segni della Passione nella carne [del Signore]: Perché mi hai veduto, hai creduto: beati coloro che pur non vedendo crederanno (Gv 20,29).
Per renderci capaci di questa beatitudine, carissimi, nostro Signore Gesù Cristo, dopo aver realizzato tutto ciò che era conforme alla predicazione del Vangelo e ai misteri della Nuova Alleanza, quaranta giorni dopo la sua Risurrezione, ascese al Cielo alla presenza dei discepoli. Mise così termine alla sua presenza corporale, per rimanere alla destra del Padre suo fino a che siano compiuti i tempi divinamente previsti perché si moltiplichino i figli della Chiesa e ritorni a giudicare i vivi e i morti, nella stessa carne nella quale è asceso. Ciò che si era potuto vedere del nostro Redentore è dunque passato nei misteri; e, affinché la fede divenga più eccellente e più ferma, l’istruzione è succeduta alla visione: è sulla di lui autorità che il coro dei credenti, illuminati dai raggi provenienti dall’alto, ormai faranno leva.
Su questa fede, che l’Ascensione del Signore aveva aumentata e che il dono dello Spirito Santo aveva fortificata, né le catene, né le prigioni, né la fame, né il fuoco, né le belve, né i raffinati supplizi di crudeli persecutori potranno prevalere per paura. Per questa fede, in tutto il mondo, non solo gli uomini, ma anche le donne; non solo i fanciulli, ma anche tenere vergini lotteranno fino alla effusione del sangue. Questa fede mise in fuga i demoni, scacciò le malattie, risuscitò i morti. Così, gli stessi santi Apostoli che, quantunque fortificati da tanti miracoli e istruiti da tanti discorsi, si erano nondimeno lasciati spaventare dall’atroce Passione del Signore e avevano accettato non senza esitazione la verità della sua Risurrezione, trassero dalla sua Ascensione un tal profitto che tutto ciò che prima costituiva motivo di paura ora diveniva soggetto di gioia. Tutta la contemplazione della loro anima li aveva elevati, in effetti, verso la divinità di Colui che sedeva alla destra del Padre; la vista del suo corpo non era più ormai un ostacolo che potesse attardarli o impedir loro di fissare lo sguardo dello spirito su quella Verità che, scendendo verso di essi, non aveva lasciato il Padre suo, e che, ritornando verso quest’ultimo, non si era allontanata dai suoi discepoli...
Esultiamo dunque, carissimi, di una gioia spirituale e, rallegrandoci davanti al Signore in degna azione di grazie, eleviamo liberamente gli sguardi dei nostri cuori verso quelle altezze dove si trova Cristo. Le anime nostre sono chiamate in alto: non le appesantiscano i desideri terrestri; esse sono predestinate all’eternità. Non le accaparrino le cose destinate a perire: esse sono entrate nella via della verità. Non le trattenga un ingannevole fascino; in tal guisa, i fedeli trascorrano il tempo della vita presente sapendo di essere stranieri in viaggio in questa valle del mondo in cui, anche se li lusinga qualche vantaggio, non debbono attaccarvisi colpevolmente, bensì trascenderli con vigore.

(Leone Magno, Sermo 74 [61], 1-3.5)




Con Gesù si ascende solo in compagnia delle virtù


La terra e quanto essa contiene appartiene al Signore (Sal 23,1ss)
Che cosa avviene, dunque, di nuovo, o uomo, se il nostro Dio fu visto in terra, se visse con gli uomini? Egli stesso creò la terra e la stabilì [con leggi].
Per la qual cosa non è né cosa insolita, né assurda che il Signore venga presso le proprie creature.
Infatti, egli non si trova in un mondo straniero, ma proprio in quello che egli stesso stabilì e creò, che poggiò la terra sui mari e fece in modo che fosse situata nella posizione migliore presso il corso dei fiumi.
Per quale causa, poi, egli venne se non perché dopo averti liberato dalla voragine del peccato, ti conducesse sul monte, il carro del regno, cioè la pratica della virtù durante l’ascensione?
Non si può, infatti, ascendere su quel monte, se non ti servi delle virtù come compagne (di viaggio), e, con le mani pure da ogni colpa, e non macchiato da alcun delitto, con il cuore innocente non volgi il tuo animo a nessuna vanità e né inganni il tuo fratello con frode.
La benedizione è il premio di tale ascensione, e ad essa il Signore largisce la sua misericordia.
Questa è la generazione delle anime che lo cercano, di quelle che salgono in alto per mezzo della virtù, e di quelle che cercano il volto del Dio di Giacobbe.
La rimanente parte di questo salmo è più sublime, forse, anche per il tono evangelico e la dottrina.
Infatti, il Vangelo del Signore narra le abitudini e la vita che egli condusse in terra, e il suo ritorno in Cielo.
Questo sommo Profeta, d’altronde, innalzandosi sopra se stesso, come se non fosse impedito da nessun peso del corpo, entra nei Celesti Poteri, e ci riferisce le loro voci, allorché, accompagnando il Signore che ritornava in Cielo, agli angeli che risiedono sulla terra, ai quali fu affidata la venuta nella vita umana, danno ordini in questo modo: Togliete, o principi, le vostre porte, e voi, porte eterne, elevatevi: entrerà il Re della gloria.
E poiché, dovunque, sarà presente colui che in se stesso contiene tutte le cose, misura (se stesso) secondo la capienza di quelli che lo ricevono; e né solamente, infatti, tra gli uomini si fa uomo, ma anche tra gli angeli si trova, e si libera alla loro natura: per questo i custodi delle porte interrogano il narratore: Chi è questo Re della gloria?
Rispondono loro e lo manifestano come forte e potente in battaglia, che combatterà contro colui che tratteneva la natura umana prigioniera nella schiavitù, e rovescerà colui che aveva il dominio della morte (Eb 2,14); in tal modo, debellato il pericolosissimo nemico, riconducesse il genere umano nella libertà e nella pace.
Di nuovo ripete le medesime voci.
Adempiuto, infatti, è già il mistero della morte e la vittoria è stata riportata sui nemici e contro di essi è stato rivolto il trofeo della croce.
Ascese in alto, conducendo prigioniera la schiavitù (Sal 67,19) colui che concesse agli uomini la vita, il regno, e questi importanti doni.
Poste per lui, di nuovo si debbono spalancare le porte.
Gli vanno incontro i nostri custodi, i quali impongono di chiudere le porte, affinché di nuovo consegua la gloria in essi.
Ma essi non conoscono colui che si è rivestito della veste macchiata della nostra vita, i cui abiti sono rossi dal torchio dei peccati degli uomini.
Perciò, di nuovo i suoi compagni sono interrogati da quelle parole: Chi è questo Re della gloria? Ma non sarà risposto più: Forte, potente in battaglia, ma il Signore delle potenze, che ottenne il dominio del mondo, che assomma in sé tutte le cose, che in tutte possiede le prime, che restituì tutte le cose all’antica condizione, questi è il re della gloria.

(Gregorio di Nissa, Sermo de Ascens., passim)




Il corpo di Cristo è in cielo com’era sulla terra

Mi domandi "se il corpo del Signore abbia adesso le ossa e il sangue con tutte le altre fattezze fisiche"...
Dio può prolungare ovunque e per tutto il tempo che vorrà l’incorruttibilità di qualsiasi corpo. Io quindi credo che il corpo del Signore si trova nel cielo nello stesso identico stato in cui era sulla terra al momento della sua ascensione al cielo. Infatti ai suoi discepoli, i quali, come si legge nel Vangelo, dubitavano della sua risurrezione (cf. Lc 24,37) e credevano che fosse uno spirito e non già un corpo quello che vedevano, il Signore disse: Osservate le mie mani e i miei piedi; palpate ed osservate, poiché lo spirito non ha né ossa né carne, come vedete che ho io (Lc 24,39). Come l’avevano toccato i suoi discepoli con le loro mani mentre era sulla terra, così i loro sguardi lo accompagnarono mentre saliva al cielo. S’intese allora la voce di un angelo dire: Egli tornerà così come lo avete visto salire al cielo (At 1,11).

(Agostino, Epist. 205, 1.2 )




Vigilanza cristiana


Perciò, fratelli dilettissimi, occorre che col cuore ci volgiamo là dove crediamo che Egli sia asceso col corpo. Fuggiamo i desideri terreni, nulla più ci diletti quaggiù, poiché abbiamo un Padre nei cieli. E ciò noi dobbiamo considerare attentamente, poiché Colui che mite salì in cielo tornerà terribile; e tutto ciò che ci insegnò con mansuetudine, esigerà da noi con severità. Nessuno, dunque, tenga in poco conto il tempo dovuto alla penitenza; nessuno, mentre è nel pieno delle proprie forze, trascuri se stesso, poiché il nostro Redentore quando verrà a giudicarci sarà tanto più severo quanto più paziente è stato con noi prima del giudizio. Pertanto, fratelli, fate questo tra voi e su questo meditate assiduamente. Sebbene l’animo, sconvolto dalle passioni terrene, sia ancora incerto, tuttavia adesso gettate l’ancora della vostra speranza verso la patria eterna, fortificate nella vera luce i propositi dell’animo. Ecco abbiamo sentito che il Signore è asceso al cielo. Perciò meditiamo sempre su ciò in cui crediamo. E se ancora siamo trattenuti qui dall’impedimento del corpo, tuttavia seguiamo Lui con passi d’amore. Non può lasciare insoddisfatto il nostro desiderio Colui che ce l’ha ispirato, Gesù Cristo Nostro Signore.

(Gregorio Magno, Hom. 2, 29, 11)




Vivere per le cose di lassù


Oggi, come avete sentito, fratelli, Nostro Signore Gesù Cristo è salito in cielo: salga con lui anche il nostro cuore. Ascoltiamo l’Apostolo che dice: Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra (Col 3,1-2). Infatti, come egli è salito [in cielo] e non si è allontanato da noi, così anche noi siamo già lassù con lui, sebbene nel nostro corpo non sia ancora accaduto ciò che ci viene promesso. Egli ormai è stato innalzato sopra i cieli. In verità, non dobbiamo disperare di raggiungere la perfetta ed angelica dimora celeste, per il fatto che egli ha detto: Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell’uomo che è disceso dal cielo (Gv 3,13). Ma ciò è stato detto perché siamo uniti a lui: egli è infatti il nostro capo e noi il suo corpo. Se, quinli, egli sale in cielo, noi non ci separiamo da lui. Colui che è disceso dal cielo non ci nega il cielo; ma in un certo modo ci dice: "Siate le mie membra, se volete salire in cielo". Dunque fortifichiamoci intanto in ciò che più desideriamo vivamente. Meditiamo in terra ciò che ci aspettiamo [di trovare] nei cieli. Allora ci spoglieremo della carne mortale, ora spogliamoci dell’uomo vecchio. Un corpo leggero si alzerà nell’alto dei cieli, se il peso dei peccati non opprimerà lo spirito.

(Agostino, Sermo 263, 2)





Inno per la festa dell’Ascensione


Eterno, Altissimo Signore,
che hai redento il mondo;
tu, distrutto il regno della morte,
hai fatto trionfar la grazia.

Alla destra del Padre tu sali,
o Gesù, quale giudice tu siedi;
non dalla terra, ma dal ciel tu hai
ricevuto ogni tuo potere.

Tu sali per accogliere l’omaggio
del mondo triplice creato,
celeste, terrestre ed infernale,
che, sottomesso, a te il ginocchio piega.

Tremano gli angeli vedendo
la sorte capovolta dei mortali:
pecca l’uomo, redime l’Uomo;
regna Dio, l’Uomo Dio.

Nostra gioia sii tu che in ciel n’attendi
per farti premio a noi; tu che governi
con la destra la macchina del mondo
tu che oltrepassi ogni mondana gioia.

Quaggiù rimasti, noi ti supplichiamo,
le nostre colpe nell’oblio perdona,
in alto i cuori verso te solleva
porgi l’aiuto di tua superna grazia.

Sicché quando improvviso tornerai
giudice sulle nubi luminoso,
le meritate pene allontanate,
le perdute corone a noi ridar tu possa.

A te, Signor, sia gloria
risorto dalle strette della morte,
e al Padre, e al Santo Spirito,
ora e nei secoli perenni. Amen.

(Aeterne Rex altissime, Ascensione, liturgia horarum, hymn. ad off. lectionis)