"lettere dal palazzo"
triestina festa di popolo

di Lidia Menapace

2 ottobre 2007

Servola è un quartiere di Trieste, dotato di una forte fisionomia specifica, sia urbanistica che storica che culturale, niente di simile ai dormitori delle periferie metropolitane, anzi il contrario. Alcuni mesi fa mi capitò di essere a Trieste per una iniziativa e fui condotta a incontrare compagni e compagne di Servola, che mi fecero visitare un vecchio edificio del quartiere, uno tipico, basso, antico, malandatissimo, collocato lungo una delle strade interne, sinuose, vivibili. Mi dissero che avevano comprato una di quelle vecchie case, che già ospitava una associazione onlus e la volevano restaurare, per farne una Casa del popolo. Erano molto determinati, e mi parvero -ciononostante- un po’ esaltati, un po’ fuori dal mondo: tuttavia erano così precisi e precise (il femminile non è solo politicamente corretto: la presenza attività e contributo da parte delle donne grandissimo e riconosciuto) nelle loro previsioni, e mi parve tanto bella l’idea di rendere di nuovo vivo un vecchio edificio senza deturparlo, ma con rispetto di tutti i segni della sua lunga storia e di farne un luogo nel quale la popolazione del quartiere (e non solo) potesse trovare dibattito festa e riflessione, che li appoggiai e promisi che mi sarei data un po’ da fare, per trovare anche un qualche aiuto economico, per arrivare in fondo (il lavoro è stato tutto volontario e molti soldi sono stati trovati o messi direttamente da questi "esaltati").

Non ci crederete, ma domenica 30 settembre appena passato la Casa del popolo di Servola è fatta, è bellissima, è intitolata a una compagna, che fu presa e torturata e poi mandata a Ravensbruck. La memoria di lei è ancora vivissima e rappresenta mirabilmente la complicatezza della storia di Trieste, del resto di tutta la nostra storia, perchè Zora, la compagna che dà il nome alla Casa era figlia di un calabrese immigrato a Trieste e lì nata nel 1922 da un matrimonio misto con una donna slovena, la cultura tuttora molto presente nel quartiere. Davvero un simbolo della storia intrecciata mista complessa di Trieste e del nostro paese. Ero seduta durante la festa per l’inaugurazione, vicino a una exsindaca di un paese vicino della Slovenia, che si vantava di far parte di una cultura "bastarda", come dico sempre io pure di noi italiani fatti di un impasto molteplice di storie.

E’ stato bellissimo anche il tempo, la festa si è svolta in strada, una strada bloccata per tre ore col permesso del Comune e moltissime persone sedute su sedie messe fuori e in piedi appoggiate ai muri lungo la bellissima Casa del popolo restaurata. Hanno preso la parola molti e molte, in rappresentanza di associazioni culturali soclali e politiche, soprattutto antifasciste antinaziste partigiane. Segno anche di permanente attualità politica e a Trieste di grande identità politica e culturale in una città, la cui storia cosmopolita è stata spesso vergognosamente ristretta in un nazionalismo cieco e meschino.

Ma lì tutto invece esprimeva internazionalismo (abbiamo anche cantato l’Internazionale, parte in italiano parte in sloveno)

Poichè erano presenti per solidarietà compagni del Pdci e della Sinistra democratica nel saluto ho fatto riferimento alla necessità che si trovi costruisca e curi a sinistra una unità non burocratica che abbia la stessa ispirazione della casa: senso e rispetto della storia, identità non chiusa ma accogllente, rigoroso vitale riferimento alle culture del movimento operaio, del femminismo e dell’ecologia. La festa è stata coronata dalla presenza del Coro partigiano di Trieste con il suo bellissimo commovente repetorio di canti politici in italiano, sloveno, serbo-croato, spagnolo, russo ecc. E poi inaugurazione e scoprimento della targa che intitola la casa e all’interno una stanza dedicata a una compagna di recente scomparsa e che sarà sede e richiamo per le donne, e ancora poi pane salame formaggi e dolci e vino e bibite. Servola era anche famosa per il pane che le donne del quartiere facevano e poi andavano a vendere nel resto della città. Due "pangaiole" in costume popolare (un bello e raffinato costume con un complicato copricapo a cuffia bianco e gonna fittamente plissè di seta cangiante) hanno presidiato tutta la festa.

Insomma un vero e proprio esempio che senza storia non si ha nè memoria nè voce, ma se la storia non è incarnata rivissuta nel presente, è solo un peso.



Marted́, 02 ottobre 2007