Politica di pace non aneliti pacifisti

( su richiesta del periodico Mosaico di Pace pubblicato nel numero di Marzo 2008 )


di Lidia Menapace

4 marzo 2008
Quando avvenne la trasformazione dell’esercito italiano da esercito di leva in esercito professionale, il dibattito fu abbastanza ampio, ma non modificò la decisione del parlamento che approvò a larga maggioranza, sia pure in via sperimentale, "sospendendo" la leva. In sostanza si trattava di adeguare lo strumento militare al nuovo concetto di difesa, che passava da difesa del territorio (per cui serve un numeroso esercito territoriale, o la difesa popolare nonviolenta) in difesa degli "interessi nazionali ovunque nel mondo, anche con strumenti di intervento rapido". La proposta fu estesa anche alle donne.
Mi riprometto di continuare la lotta contro il militarismo, ma devo tener conto del mutato contesto in cui agisco. Del resto non ho alcuna nostalgia per l’esercito di leva, detto anche di popolo, che non è affatto più "democratico", non ha mai fermato una guerra di aggressione o coloniale, nè alcun colpo di stato, nè è stato mai quella "fucina" di formazione del carattere per i giovani maschi , che veniva tanto vantata: linguaggio da caserma e nonnismo erano esperienze volgari prepotenti e pericolose, soprattutto verso le donne.
Essendo componente della Commissione Difesa del Senato e poi presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’Uranio impoverito, mi sono trovata a trattare con molti militari, soprattutto degli Stati maggiori, che a mio parere perpetuano una mentalità da Signorsì, accompagnata da una maggiore preparazione tecnologica e prestanza fisica, non sono più i generali panzoni dei disegni satirici di Grosz insomma. Parlano anche correntemente inglese.
Tuttavia una volta hanno chiesto di essere auditi dalla Commissione Difesa anche i rappresentanti dei Cocer e dei Coir delle varie forze e sono venuta a contatto con ufficiali e sottufficiali in parte nuovi, che si definiscono "cittadini, cittadine in divisa" o "con le stellette". La cosa mi colpì e cominciai ad interessarmi appunto della loro "rappresentanza" sancita in una legge che ha trentanni e che soprattutto non prevede affatto una rappresentanza, non essendo elettiva e non avendo potere contrattuale, sicchè dichiarai che se erano cittadini e cittadine dovevano avere i diritti di cittadinanza, tra i quali vi è il diritto di difendere i propri legittimi interessi attraverso un sindacato vero elettivo e contrattuale. Mi fu obiettato che la specificità della funzione non consente, ad esempio, scioperi ecc. e mi fu facile rispondere che molte categorie hanno delle specificità e organizzazioni sindacali con regolamenti specifici. Di lì cominciò una attività molto interessante e vivace che segnò la necessità di modificare le "rappresentanze" improprie ormai inagibili e che ancora risentono della vecchia forma militare e sostituirli con altri strumenti. Alla Commissione Difesa fu presentata una legge sostenuta da destra e futuro Pd, mentre con altri colleghi (Silvana Pisa, la Palermi e Giannini, già Sinistra arcobaleno prima che fosse sancita) presentammo un altro testo concordato con molti militari, che con vari accorgimenti non fu sottoposto a voto in commissione, sennò sarebbe stato bocciato, e poi lo discutemmo con la Cgil, che accettò di farsene carico come proposta di legge di iniziativa popolare ripresentabile al futuro parlamento. La Guardia di Finanza chiede inoltre la smilitarizzazione.
Aggiungo a ciò che un sindacato avrà anche un patronato e questo sarà molto utile nell’esercito, ad esempio per raccogliere le domande di risarcimento, pensioni, riconoscimento della "causa di servizio" per i militari deceduti o malati da uranio impoverito.
Fino a qui l’azione svolta. Ma io penso che un esercito sindacalizzato (quasi tutti gli eserciti europei lo sono ed esiste anche una organizzazione che si chiama Euromil, che associa tutti i sindacati dei militari) dovrebbero essere osservati per favorire la smilitarizzazione di molte funzioni (la Guardia di Finanza già oggi è armata ma non combattente) e insomma agire la riduzione del danno introducendo anche tra i militari professionisti il diritto all’obiezione di coscienza (esiste anche questa in alcuni eserciti, ad esempio in Germania).
Si ricorderà che nel 1991, all’epoca della prima guerra del Golfo che inaugurò la ripresa bellica dopo la fine della guerra fredda e la caduta del muro di Berlino, alcuni volontari USA cercarono di fare obiezione (una ragazza madre medica e altri) dicendo chiaramente che si erano arruolati in tempo di pace per ragioni economiche, sperando di non dover mai andare in guerra e di fronte a una guerra del tutto inaccettabile anche dal punto di vista del diritto internazionale si sentivano di fare obiezione di coscienza: furono messi sotto processo. Si conoscono i Refusnik israeliani ecc. La situazione non è stabile; gli USA reagiscono duramente, ma si ritrovano a fare i conti con l’altissimo numero di disertori che continuano ad avere, come già ebbero in Vietnam, dall’Iraq in poi; si valuta che non meno di 10.000 soldati volontari USA, dopo essere tornati a casa per avvicendamento o licenza non si ripresentano e fanno perdere le loro tracce: la Svezia e il Canadà ospitarono migliaia di militari statunitensi durante il Vietnam, ma si trattava di militari richiamati con cartolina precetto e che hanno una copertura di diritto internazionale. Il caso di professionisti che obiettano è da studiare.
Insomma a mio parere non è da considerare inutile ogni tentativo di introdurre negli eserciti dubbi e resistenze etiche che si hanno verso l’uso delle armi e delle guerre. Per questo sarei favorevole a presentare una legge per il diritto all’obiezione anche per i militari professionisti: si tratta di una cosa delicata che non avrà la stessa accoglienza della sindacalizzazione e si scontrerà più duramente con i comandi e anche con i militari: tuttavia credo che si debba cominciare a raccogliere documentazione sulle forme di renitenza e obiezione già esistenti, ma ancora illegali (Usa Israele ecc.) e anche già legali (Germania). Poi fare un discorso su forme metodi opportunità dell’obiezione di coscienza, quando una regola d’ingaggio si rivela incompatibile con la coscienza o con la Costituzione. Si dice che in questi casi basta che uno o una si dimetta: soluzione "eroica", che destina alla disoccupazione. Invece bisogna lasciare sbocchi di attività e a mio parere il passaggio da professionista a casco bianco sarebbe da favorire attraverso il diritto ad obiettare: si avrebbe a disposizione personale addestrato e cosciente. Insomma a mio parere l’argomento ha un qualche interesse.
Poichè noto spesso in ambienti pacifisti un diffuso disprezzo verso i militari (mi è stato persino chiesto in una assemblea perchè mi occupavo della loro salute: "sono volontari, sanno i rischi che corrono"!) e insomma mi pare persino si stia formando una cultura pacifista corporativa (che è una contraddizione in termini) penso che avere delle proposte anche verso i militari sia invece per l’appunto una delle componenti di una "politica di pace" e non di aneliti pacifisti.



Venerd́, 14 marzo 2008