Intervista a Lidia Menapace

( a cura di Mao Valpiana direttore di Azione Nonviolenta)


La seguente intervista fa parte di una intervista multipla a: Michele Boato, Giancarla Codrignani, Maria G. Di Rienzo, Daniele Lugli, Lidia Menapace, Rocco Pompeo, Edi Rabini, Nanni Salio, Peppe Sini, Gianni Tamino, Tiziana Valpiana, curata dal mensile della nonviolenza "Azione nonviolenta" per il mese di aprile prossimo. Il numero arriverà agli abbonati prima delle elezioni e potrà costituire per i noviolenti italiani un momento di utile riflessione prima del voto. Anticipiamo questa intervista grazie a Luciano Martocchia curatore della mailing list di Lidia Menapace

Ci siamo. Ecco le elezioni politiche. Nell’editoriale di marzo di “Azione nonviolenta” le abbiamo definite “elezioni truccate” (il cittadino non può scegliere ma solo ratificare; i partiti già presenti in parlamento sono avvantaggiati; gli spazi televisivi di propaganda non sono uguali per tutti, ecc.). Nell’area nonviolenta abbiamo registrato vari orientamenti: chi voterà per il meno peggio, chi si asterrà per protesta, chi darà il consenso al partito ritenuto migliore. Quale sarà la tua scelta? E perché?

Non ci siamo affatto, in verità: sono elezioni molto anticipate, nemmeno mezza legislatura. Dunque una situazione un po’ patologica, da malattia sociale e politica. Infatti il governo è caduto per proprie interne contraddizioni su decisioni di Mastella e Dini, per dissenso -da parte di Dini- su una possibile piccola modesta svolta, a favore dei salari e contro il precariato, richiesta dalla parte di sinistra della coalizione. E anche sulla legge elettorale esistente, essa è stata mantenuta, col rischio che si riproduca un nuovo ingorgo istituzionale, che abilmente sfruttato, genera qualunquismo, rifiuto, fastidio e avvicina scelte di tipo autoritario non ostacolate, come si vede dalla gestione della campagna, fin qui fatta a suon di plebisciti e decisionismo. In gioco c’è una legge che renda possibile o il bipartitismo o il bipolarismo. Il bipartitismo (Berlusconi o Veltroni, e basta) farebbe fare un salto "americano", senza avere dietro le spalle il sistema americano, che si è formato nei secoli con le primarie, che sono in effetto una lunga campagna elettorale di cui il giorno delle elezioni è solo la registrazione . Ma negli USA vota solo chi paga le tasse (no votation whitout quotation): le tasse non le pagano magari i ricchi che vanno incontro a sanzioni molto dure, fino al carcere, se beccati. Ma soprattutto i poveri che non avendo redditi non si iscrivono nemmemo nelle liste elettorali, i neri, gli ispanici, i clandestini, gli homeless: insomma un sistema che vale per chi è già titolare di possibilità di essere cittadino. L’ abolizione dell’obbligo di iscrizione nelle liste è recente e ancora non molto efficace. Comunque il dissenso su come rendere meno autoritaria la legge elettorale è stato bloccato dalla crisi e questa legge detta "porcata"dal suo estensore (Calderoli) è quella con cui si va a votare. Sono sempre contraria all’astensione che lascia via libera al peggio e leva quasi il diritto di protestare, credo che ciascuno/a debba scegliere (così farò io che voto Sinistra Arcobaleno) la proposta meno lontana dalle sue esigenze tra le possibilità offerte, ben sapendo che due partiti mangiatutto (Veltroni e Berlusconi) avranno la maggioranza dei consensi (insieme) e forse faranno la Grande coalizione essendo d’accordo sulle questioni fondamentali (economia, mercato, interclassismo, missioni internazionali) e poco spazio sarà lasciato ad altre due possibili espressioni: Casini al centro e Sinistra Arcobaleno, la quale perciò a mio parere deve avere la massima affermazione possibile.

In questi mesi si è ragionato sulla necessità/possibilità di liste elettorali della nonviolenza. Cosa pensi di questa ipotesi? La nonviolenza ha bisogno di una propria presenza nelle istituzioni (dai Comuni al Parlamento) autonoma ed indipendente? Come vedresti la costruzione di questo processo? Oppure si deve privilegiare il lavoro di movimento, dal basso, prepolitico, e poi affidare ad altri la rappresentanza istituzionale?

Ho letto il resoconto dell’assemblea di Bologna, che mi pare molto positivo, come positive sono le decisioni prese. Che ci sia da lavorare per stabilire le forme di una politica nonviolenta (a mio parere è più dubbio che si possa pretendere la rappresentanza di ecologia e femminismo, ma si vedrà) è molto importante. Ricordo che nella sinistra esistono due tesi fondamentali sul rapporto con le istituzioni, una di Marx e una di Lenin. Marx sosteneva che è bene che il movimento operaio (quello di cui si discuteva ai suoi tempi) ratificasse con leggi il risultato anche parziale delle lotte fatte, ben sapendo che la legge non è un valore in sè, ma la registrazione dei rapporti di forza reali e bisogna sempre sapere che, mutati quelli, può semore essere messa in dubbio (sembra di leggere la storia della 194!). Lenin invece pensava che per la sinistra il parlamento fosse solo una tribuna dalla quale lanciare messaggi rivoluzionari, senza preoccuparsi dei risultati: forse ai suoi tempi aveva anche un po’ di ragione, dato che la sinistra non aveva accesso ad altre tribune. Ma oggi sono nettamnete contraria a un uso leninista delle istituzioni, che mi pare del tutto inefficace e destinato solo a favorire lo schieramento avversario. Ci si deve allenare e istruire a praticare la riduzione del danno ognivolta che si è in minoranza nelle assemblee elettive. Non considero i movimenti prepolitici, a meno di non restare un’altra volta nel leninismo: fu infatti Lenin a sancire il "limite tradunionistico" della classe operaia, che non sarebbe per sè capace di orizzonti politici ma solo rivendicativi e sindacali, percui occorreva un partito che la rappresentasse. Oggi i movimenti sono intrinsecamente "politici", a patto che si dotino di strumenti anche culturali per fare azioni politiche e si rapportino con le forme e gli strumenti della rappresentanza.

In un programma politico della nonviolenza, quali ritieni debbano essere gli elementi minimi irrinunciabili?

Una proposta sulla forma dello stato, che è il detentore dell’"uso legittimo" della violezza, detta in questo caso "forza". A mio parere tale forma è lo stato sociale, che è antagonistico alla guerra e al militarismo perchè la ricchezza sociale prodotta va in spese sociali e la guerra diventa -come si potrebbe dire con sarcasmo- un "lusso" che non ci possiamo permettere. Tutto il resto viene di conseguenza. Un interesse particolare riveste l’analisi e il mutamento dei programmi scolastici impostati finora a sostegno della violenza di stato e del dominio nei rapporti tra i popoli, le classi e i generi.

Cosa ne pensi delle prossime possibili riforme istituzionali (bipartitismo, soglia di sbarramento, riduzione dei parlamentari, ecc.)? Quale sarebbe il sistema migliore per attuare la “sovranità popolare” voluta dalla Costituzione?

Ne penso male e credo che si capisca da quanto ho detto fin qui: sono favorevole a una semplificazione del numero dei partiti anche con soglia di sbarramento e strumenti di aggregazione o apparentamento. Manterrei le due camere e una la farei federale e l’altra nazionale, ma è un discorso lungo di cui qui metto solo il titolo.

La nonviolenza è politica. Come dare corpo a questa affermazione, in un’epoca in cui sembra prevalere l’antipolitica e assistiamo alla crisi dei partiti, che nascono e muoiono, si disaggregano e riaggregano, cambiano nome e simbolo, e sono all’ultimo posto nella fiducia degli elettori?

L’antipolitica è un bruttissimo segnale per la democrazia, che già mostra indizi e più che indizi di quel fenomeno che chiamo "fascismo del XXI secolo". Ma anche questo è un discorso lungo che ho in parte articolato e anche qui metto solo il titolo. La vera crisi è quella della forma- partito, una straordinaria invenzione di Lenin, mentre Marx e anche Rosa Luxemburg avevano altre propensioni: in ogni modo la storia oggi si scontra con la loro impossibilità di rappresentare una società complessa e attraversata da molti conflitti su "single issues" come dice Luhmann: si può dare una risposta corporativa ed è quella che Luhmann dà oppure cercare una risposta politica alla molteplicità, che è una delle massime sfide teoriche del secolo.



Mercoledì, 05 marzo 2008