"lettere dal palazzo"
frattaglie

di Lidia Menapace

Il governatore della Banca d’Italia dice -davanti alla Commissione Bilancio del Senato- che bisogna fare una politica
della lesina, naturalmente da una parte sola e fa un po’ la morale ai politici, non naturalmente a Montezemolo, che è già
moralista di suo. Trovo strane alcune osservazioni: che la crescente povertà si sia scoperta (anche da parte della Cei)
appena è andato su il governo Prodi; Buttiglione ha addirittura fatto una commossa rappresentazione delle famiglie che
hanno tre flgli e davvero non campano: se ne è accorto solo ora, oppure c’è stata una straordinaria frequenza di parti
trigemini nel primo anno del governo Prodi? e Draghi e i suoi predecessori perchè non hanno mai avvisato il pubblico che
l’impostazione economica del governo Berlusconi avrebbe lasciato molti debiti da pagare alla legislatura seguente? Sembra
uno strano modo di ragionare, quello di non ricordare mai la situazione pregressa. Come si fa a programmare la finanziaria
per tre anni, se non si ha la minima impostazione storica?

Una delle cose più straordinarie in questi giorni sono le dichiarazioni di Dini, il senatore che da tempo scalpita perchè
vorrebbe una diversa formula di governo (il che è lecito, ma non molto corretto, visto che siamo stati eletti con un patto
di legislatura). Ma non sottilizziamo. Ciò che trovo sorprendente è che accusa la sinistra di essere antiquata e di
inceppare l’azione di governo ecc. Mentre lui è tutto un inno alla modernità. Vediamo un po’. La modernità non è poi un
grande criterio di valutazione, resto d’accordo con Leopardi che la modernità è alleata e vicina alla morte, ma via!
facciamo pure i moderni (che ormai non significa molto). Però credo si possa ancora sostenere, in questa furia di
modernizzazione, che Adamo Smith e Ricardo e Malthus sono meno moderni di Marx Luxemburg Robinson Keynes ecc.ecc. E’ una
bella capriola o un capitombolo dichiarare l’antiquatezza di Marx verso Adamo Smith!

Non meno straordinario Di Pietro che firma il referendun con grande sventolio di bandiere dell’Italia dei valori insieme
a Fini, dichiarando che i piccoli partiti debbono cercare di diventare grandi (che sembra una acuta considerazione teorica)
e mettersi a rischio, mah!

Sarà il gran caldo, ma le dichiarazioni di taluni politici rasentano la follia: se finalmente si trova un accordo , va
bene, e il lamento sul futuro dei giovani da parte dell’opposizione che non ha fatto nessuna politica attiva per il lavoro
è incredibile.

L’azione politica sembra sempre più governata da lobbies, gruppi di pressione, scalate, insomma da corporazioni; una
delle derive possibili della complessità è per l’appunto il corporativismo, che si dispiega con grande vigore. Anche tutto
il dibattito sulla giustizia, che per fortuna si è concluso bene anche senza necessità del voto dei senatori a vita, è
stato attraversato da fiumi di corporativismo di magistrati tra loro e contro gli avvocati trasversalmente, ricambiati. Ma
a proposito di senatori a vita, a mio parere bisogna indirizzare loro un grande riconoscimento, dato che stanno in aula
molto tempo, imperterriti e fortissimi. L’opposizione che strilla e offende, lanciò il senatore a vita Andreotti come
candidato alla carica di presidente del Senato e fece nominare Pininfarina, che si è visto una volta sola, per votare
contro il governo.

Per sottrarsi al corporativismo bisogna prendere l’abitudine di connettere i problemi, di avere uno sguardo d’insieme, un
approccio olistico, le strade possibili sono molte. Ad esempio è di questo tipo, cioè politico e non corporativo la
risoluzione che il Comune di Padova ha dato alla faccenda del quartiere inquinato da traffico di droga e da altre
illegalità: ha preso anche provvedimenti repressivi e duri, ma inserendo il tutto in un disegno di risoluzione del
problema, come ha ben detto Ferrero: il muro era un mezzo, non il fine; una fase punitiva è un mezzo, non il fine; il
ristabilimento e mantenimento dell’ordine è un mezzo per poter fare politica, non è per sè una politica. Questo distingue
Padova da Milano e da Bologna.

Analogamente contro la carneficina dei giovani automobilisti i provvedimenti repressivi, ritiro della patente, sequestro
della macchina, controlli, multe salate, persino innalzamento delle pene o inasprimento della definizione del reato può
essere necessario, ciò che si deve fare subito: ma se non si costruisce la possibilità di muoversi con sicurezza e a
velocità controllabile e invece si lascia passare come una e quasi unica virtù sociale la competizione, della quale la
velocità sfrenata è l’icona, non si potrà venirne a capo: bisogna avviare una campagna culturale di fondo. Se muoversi
significa correre come matti da un semaforo all’altro, con morti feriti e danneggiati spesso per sempre; se anche i treni
più sfrenatamente veloci, quelli giapponesi per un terremoto lieve, vanno in tilt; se lo sconquasso comporta anche un
rilascio di acqua inquinata dalla più grande centrale nucleare del mondo, ci si dovrà pur convincere che non è tempo di
interventi congiunturali, specifici, marginali, singolari, corporativi, ma strutturali e culturali, che tutto ciò coinvolge
la nostra visione del mondo, del futuro, della vita e della morte, rilancia le grandi domande generali, come si passa dalle
necessarie misure di pronto intervento, che non risolvono il problema, ma lo tamponano, lo circoscrivono, lo riducono, alla
politica cioè alla risposta che sta al livello del problema posto e di tutte le sue implicazioni.



Marted́, 17 luglio 2007