"lettere dal palazzo"
Le finalità dei partiti

di Lidia Menapace

7 aprile 2008

Nei giorni della campagna elettorale, un tema torna con grande frequenza e passione, cioè come vivrà la sinistra arcobaleno. Il dibattito si focalizza soprattutto sull’idea di partito, incontrando molteplici difficoltà, dato che i partiti sono forme precise, con statuti organizzazione ecc. E le unificazioni che comportano lo snellimento drastico di storici gruppi dirigenti, rischiano di non riuscire, come è ovvio. Ho da tempo elaborato un progetto diverso che ho intitolato "Sistema pattizio tra forme politiche", già esposto varie volte e ve ne faccio grazia ora.

Mi sembra però che non risulti chiaro e del resto non presumo affatto che vada bene in tutto e per tutto. Resta quindi sul tavolo e si vedrà. Alla fine di alcuni dibattiti (in Ancona, ad Osimo, a Montegranaro, a Pagliare , Senigallia ecc.) si è anche convenuto che ne facciamo come l’inizio di una sorta di scuola di politica, impegnandoci alla fine delle esposizioni a metter giù domande elaborate e dedicare una ulteriore riunione e combinare le risposte tra i presenti.

Credo che ci proveremo.

Ma ora vorrei aggiungere un ulteriore ordine di questioni. Vedo che anche i nostri "letteranti" intervengono sempre sul partito. Orbene il partito politico di massa del secolo XX, del Novecento è stato certamente la forma politica più straordinaria che sia stata inventata nella storia: però è una forma politica esclusiva, escludente, confrontata con una società semplificabile analiticamente ecc. Ha un rilievo costituzionale soft e non esclusivo a scopo pedagogico, dato che l’Italia usciva da una rovinosa esperienza di partito unico, peraltro -come il partito nazista- derivato proprio dalla forma partito di invenzione leniniana.

Credo che dovremmo rileggere i primi numeri del manifesto rivista, nei quali si avviò una discussione molto bella e importante proprio sull’idea di partito in Marx e successori e sulla ipotesi consigliare.

Credo che dobbiamo laicamente indagare se non esistano forme della politica che non siano i partiti, ma non invece dei partiti. In altri termini, non penso di "abolire" il partito, penso però che non possa più pretendere di essere l’unica riassuntiva sintetica forma politica, degradando tutte le altre ad essere solo riventicative o instabili. Ci sono movimenti "politici", pienamente politici, cioè di sguardo universale oggi, che hanno altre forme organizzative, altri linguaggi, altri insediamenti sociali.

Detto in breve: politico e partitico non coincidono. Vi è uno spazio della politica che non è partito. Ad esempio la magistratura è "politica", essendo un potere dello stato, ma non è un partito, il movimento delle donne è "politico", anche se non si organizza in partito, tutti i temi della cittadinanza sono temi politicissimi, ma non sono di competenza dei partiti ecc.ecc.

Di tutto questo avremo modo di discutere.

Ora mi interessa chiedere se siamo in qualche modo d’accordo su quanto vengo di seguito esponendo in modo molto sommario.

Non si possono definire astrattamente le forme della politica, che sono mezzi e non fini dell’azione. Il partito è uno dei mezzi, uno dei possibili strumenti, non il fine della politica e nemmeno del programma e nemmeno delle analisi di fase ecc. Se il partito diventa un fine o il fine, allora la politica scompare. Se è un mezzo, bisogna dire a che fine e con quali processi.

Parlandone, mi si è venuto chiarendo che se vogliamo, attraverso il mezzo della Sinistra arcobaleno, mettere in moto un processo di organizzazione sociale e politica alternativa allo stato delle cose presenti, e usare la crisi capitalistica (e a me pare di poterla chiamare scientificamente l’inizio della crisi finale del capitalismo) dobbiamo ben sapere che se l’alternativa fallisce, resta solo la barbarie in forma magari di nuovo fascismo in altri abiti, ma non di minore barbarie. Segni di involuzione autoritaria sono presentissimi persino nelle forme dei partiti che occupano la scena e che sono rappresentati sempre da una sola persona in forma di demiurgo solitario con alcuni servi fedeli e sottomessi e da un coro di devoti che sorridono un po’ ebeti, estatici e felici (non si sa di che, dato che i due demiurghi sono titolari di una oratoria che fa piuttosto dormire che discutere).

Il partito è uno strumento, e oggi il suo fine è di aiutare a dar vita a un blocco sociale e poi favorirne la crescita in blocco storico della trasformazione. L’idea che ciò si possa fare restringendolo a fedeltà nominalistiche e ad appartenenze rigide è sciocca. Un blocco sociale (e basterebbe ricordare l’attenzione che Gramsci dedicò alla abilità organizzativa della chiesa verso il mondo dei contadini o Rosa ai braccianti agricoli da lei definiti proletariato della terra ecc.), non è la fedele e pura rappresentazione di un partito. Se avessimo dedicato al sorgere della precarietà come componente strutturale della fase capitalistica la stessa attenzione che Lenin dedicò al fordismo, avremmo capito di più di ciò che succede al mondo e le modificazioni di coscienza che si sono radicate facendo diventare Berlusconi culturalmente egemone anche su parte del sindacato e sul Pd. Se avessimo dedicato a Vandana Shiva il merito teorico che le compete anche nello sviluppo del gandhismo (esso pure non sempre immobilmente eguale a se stesso), capiremmo meglio i bisogni della terra.

Un blocco storico è fatto del maggior numero di soggetti organizzati e coscienti che sia possibile avere. Sono soggettività "non riducibili" e perciò la categoria del "pluralismo" non le interpreta bene, perchè la pluralità è sempre una somma di simili, mentre non riducibili sono le molteplici soggettività autonome e solidali. Organizzate non disciplinarmente, bensì come un tessuto, un coro polifonico da camera: insomma dobbiamo inventarci un simbolico non sintetizzabile, non riducibile, non comandabile dall’esterno, non come un mosaico disegnato da chi lo compone, non come un concerto sinfonico dominato dal direttore d’orchestra: il modo potrebbe essere quello della relazione conoscitiva, sempre -appunto- relazionale e non disciplinare.

La base analitica è quella della società complessa e che tale deve rimanere (con altri soggetti e altre egemonie) alla fine del processo, esprimendo le differenti soggettività alternative. Sintesi diventa una parolaccia peggio di ideologia (che infatti parolaccia non è purchè sia tenuta presente la differenza tra ideologia come visione critica storica modificabile del mondo e ideologia come falsa coscienza).

L’alternatività del nuovo blocco è appunto nella molteplicità non riducibile dei soggetti e nelle "leggi del caos" e nell’idea di un modo di associarsi per sollecitazioni mobili, non statiche, però governabili dai soggetti stessi e dai loro insediamenti sociali di base. Il seguito alla prossima lettera e se fate sapere se si capisce qualcosa di quanto dico, ci è di aiuto.



Marted́, 08 aprile 2008