"lettere dal palazzo"
Cos’è una coalizione

di Lidia Menapace

14 novembre 2007

Le ragioni per le quali sono sorda alle richieste di essere contro il governo, di farlo cadere, e simili, sono essenzialmente due, la prima è che mi sono impegnata con l’elettorato a sostenerlo e a tale impegno credo di essere legata più a lungo che posso, la seconda che originariamente questo era un "governo di coalizione, con programma concordato e uso del metodo del consenso per le decisioni ulteriori". E’ una forma di governo molto innovativa nel nostro paese, e a me pare particolarmente adatta alle società complesse.

Governo di coalizione vuol dire un gruppo di forze politiche che si sanno diverse, ma si reputano non incomponibili, per motivi culturali e anche temporali sociali ecc. e decidono di fare un governo che si sforza appunto di intrecciare le differenti culture e di trovare decisioni tali da poter essere approvate anche per ragioni diverse.

Non è dunque un governo della maggioranza assoluta di un solo partito, nè uno tri- quadri-o pentapartito come nella prima repubblica. Infatti quelli erano governi fatti come spa, con un rapporto interno di "scambio di favori" o "ricatto" da parte di chi deteneva i pochi voti necessari per fare la maggioranza.

Un governo di coalizione sfugge al mero rapporto di forze e tende a costruire non solo patti più o meno leonini, ma una cultura politica molteplice, stratificata, spessa, appunto adatta a rappresentare una società complessa. Incidentalmente, è anche il superamento del machiavellismo. A mio parere è anche il massimo livello di democrazia rappresentativa oggi possibile. L’altra forma adatta alle società complesse è secondo Luhmann, che l’ha inventata, la "riduzione della complessità", autoritaria e plebiscitaria. Insomma la forma craxiana: scelta plebiscitaria del capo, governo decisionista e conflittualità non collettive, programmatiche organizzate, ma individualiste, per single issues.

Il metodo del consenso è usato nelle organizzazioni nonviolente e qualifica in questa difficile direzione un governo di coalizione.

L’esperimento è difficile e richiede il massimo di politicità e di molteplicità e complessità: è andato avanti all’inizio della difficilissima legislatura con fatica. Poi l’Unione si trovò a Caserta per un seminario col quale si dovevano mettere a punto le successive azioni. Pochi giorni dopo Caserta il governo è incorso nella sua prima crisi, provocata dai voti determianti di Andreotti (Vaticano), Cossiga (Usa)e Pininfarina (Fiat) (a proposito di senatori a vita!) cui si sono aggiunti i voti non determinanti ma politicamente pesantissimi di Rossi e Turigliatto.

Prodi ha reagito con durezza a questa infrazione del patto e ha sospeso la formula del governo, col famoso dodecalogo e l’assunzione indiscutibile nelle sue mani della decisione finale. Ha tenuto questa decisione con rigore (eccessvo e spesso fuori luogo), come si è visto a proposito di Vicenza.

Constatata la rigida e ferma fedeltà della sinistra al nuovo patto, potrebbe forse ora mutare le sue decisioni, e ristabilire la coalizione, considerando altresì che la nuova forma sembra aver esaurito la sua spinta del resto poco propulsiva e impantanarsi in metodi pressochè democristiani.

Dopo la finanziaria, se tutto va bene, può aprirsi una fase nella quale noi sinistra dovremmo chiedere che si ristabilisca la forma originaria, dato che sennò si scivola verso un governo da prima repubblica.

Vi sono ragioni molto serie per chiedere ciò e anche Prodi dovrebbe riconoscere che questa richiesta è anche a suo favore e lo rinforza.

Ma per me la ragione fondamentale è che, se non interveniamo subito, il decisionismo e il plebiscitarismo di Veltroni faranno piegare il processo politico verso una democrazia autoritaria molto pericolosa e instabile, dato il trend internazionale capace di far venire a galla persino secche riduzioni della democrazia.



Mercoledì, 14 novembre 2007