Il dopo elezioni del 13 maggio 2001

Un infortunio storico di non poco conto de l'Unità

Ovvero le idee confuse della ex sinistra di governo

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LA NOSTRA RIFLESSIONE INVIATA A L'UNITA'

Da: Redazione Il Dialogo [redazione@ildialogo.org] Inviato: lunedì 27 agosto 2001 0.53 A: lettere@unita.it

Oggetto: L'incendio del Reichstag

Caro Padellaro,

abbiamo letto con stupore l'analisi da te fatta nell'editoriale del 25 agosto scorso a proposito dell'incendio del Reichstag. Nella foga della polemica con il governo, cosa che condividiamo, non ti sei forse accorto di aver proposto ai lettori dell'Unità una tesi che qualsiasi storico definirebbe come "revisionista". Tu, infatti, a distanza di circa 70 anni e, per quanto a nostra conoscenza, senza alcuna nuova testimonianza sull'argomento, hai accreditato la tesi nazista che quell'incendio fu appiccato effettivamente da un comunista, di cui hai fornito anche il nome e la nazionalità. Condividendo pienamente il tuo consiglio sulla necessità di andare a rileggersi la storia, ti riportiamo quanto scritto a pag. 157 del terzo volume dell'opera di Robert Palmer e Joel Colton intitolata "Storia del mondo moderno", editori Riuniti. In quel volume è possibile leggere quanto segue:"Una settimana prima del voto il Reichstag fu incendiato. I nazisti ne diedero la colpa ai comunisti, senza fondamento di prove; e agitando lo spauracchio rosso sospesero la libertà di parola e di stampa, e scatenarono le camicie brune per imporsi agli elettori". Credo non ti sfugga la differenza con quanto da te affermato. Gli autori del libro citato sono storici di larga fama. Le accuse dei nazisti, secondo gli storici, erano senza fondamento, compreso quindi la confessione spontanea del "comunista" di cui tu parli. L'incendio, quindi, fu appiccato dai nazisti stessi e, giustamente, tu parli di quell'incendio come di un "modello insuperato di provocazione politica". Ecco è proprio sulle provocazioni politiche che è bene riflettere, cioè sulla possibilità concreta, molto concreta, che chi detiene il potere economico e politico, possa, come fece Hitler nel 1933, pagare chi metta una bomba per poi addebitarla a qualcun altro, ai centri sociali extraparlamentari ma anche alle forze politiche parlamentari di opposizione. Vorremmo, a tale proposito, ricordarti uno dei tanti lapsus freudiani del presidente del consiglio: nella conferenza stampa di domenica 22 luglio, a chiusura del G8, fu proprio Berlusconi a parlare, correggendosi immediatamente, di "professionisti" a proposito di coloro che avevano messo Genova a ferro e fuoco. E i professionisti, si sa, qualcuno li paga per il loro lavoro. Il "modello Reichstag" crediamo sia stato già applicato proprio a Genova ma è andato buca perché oggi, a differenza del 1933, esistono Internet, le telecamere e le macchine fotografiche digitali, la possibilità cioè di fare un'opera di controinformazione capillare. Non a caso proprio di questo si stanno ora lamentando. Cordiali saluti

Email: redazione@ildialogo.org

 

Come l'incendio di Reichstag

da l'Unità del 25/08/2001

di Antonio Padellaro

A sentire il governo, l’Italia è un paese sull’orlo della guerra civile. Scorriamo l’ultimo mattinale bellico. C’è un ministro di An, Alemanno, che in autunno vuole portare in piazza «un milione di cittadini» a sostegno dell’azione dell’esecutivo. Se qualcuno s’interrogasse sul motivo di tanta minacciosa mobilitazione, ecco qua Castelli, leghista e, nei ritagli di tempo, anche Guardasigilli: «Schieriamoci contro chi pensa di far politica con le bombe». E chi sarebbero questi criminali? «La sinistra degenere, che è l’origine sicura di questa aggressione armata», risponde Taormina, sottosegretario agli Interni in tuta mimetica. Abbiamo capito bene? In Italia scoppiano le bombe e, dunque, è tornato il terrorismo. Chi manovra le nuove Brigate rosse è la sinistra che avendo perso il potere con il voto democratico, intende riconquistarlo con la violenza. Ma la parte sana del paese (quella che un tempo veniva chiamata maggioranza silenziosa) è pronta a reagire colpo su colpo e a marciare contro i sovversivi. A completare il quadro, ecco il presidente del Consiglio che piomba a Genova per solidarizzare con polizia e carabinieri, contro la magistratura che quei funzionari e quegli agenti sta indagando per i pestaggi di Genova. Nella storia repubblicana non si era mai visto un premier schierarsi apertamente con le istituzioni armate contro le istituzioni togate. Ma adesso vediamo anche questo. Sullo sfondo, il coro dei quotidiani del comandante Silvio. Il foglio ufficiale, sabato scorso, pubblicava in prima pagina: «Il piano per far cadere Berlusconi». Succosi i particolari: «In autunno verranno scatenati moti di piazza per arrivare a un governo di salute pubblica».
All’origine dell’improvvisa militarizzazione della vita italiana ci sono due bombe. Della prima, fatta esplodere a Venezia negli scantinati del Tribunale, non si conosce, a tutt’oggi, l’origine. Gli inquirenti, che alla rivendicazioni dei sedicenti partiti armati non hanno finora dato molto credito, non escludono la pista della criminalità organizzata. La matrice del secondo ordigno, che, giovedi scorso, a Vigonza (Padova), ha distrutto la sede della Lega appare ancora più oscura. Due botti anomali, indecifrabili. Due lampi nella quieta, declinante estate italiana. Ma alla destra, con la voglia di mettersi l’elemetto, basta e avanza per passare in rassegna le truppe. In Spagna, il terrorismo basco continua a seminare morte e distruzione, ma il governo conservatore di Aznar mai si sognerebbe di trasmettere ai propri concittadini l’immagine di una nazione in trincea. Oppure prendiamo l’attentato di Oklahoma City del ‘95. Centosessanotto morti, non una detonazione in una palazzina abbandonata: perfino allora, per Washington, la scoperta dei colpevoli (anzi, del colpevole) è stata un’operazione di polizia e basta. Nelle grandi democrazie il termine terrorismo viene sempre usato con grande parsimonia. Qui è il condimento di ogni dichiaratore del Polo. Ma perché si vuole alzare tanto la temperatura del paese? Il partito armato della destra chiama in causa gli scontri avvenuti a Genova e paventa quelli che potrebbero verificarsi tra settembre e novembre, in occasione del vertice Nato di Napoli e di quello convocato dalla Fao a Roma. Non si finirà mai di condannare le violenze dei Black bloc. Nessuno si augura di rivedere certe scene di guerriglia urbana. Ma al G8, fino a prova contraria, la polizia ha avuto mano libera, anche troppa, e le teste rotte sono state sopratutto quelle dei manifestanti inermi o dei ragazzi addormentati nella scuola Diaz. E allora, di fronte alla sacrosanta inchiesta dei magistrati genovesi, che senso ha parlare di «delegittimazione» delle forze dell’ordine, come ha fatto il ministro della Funzione Pubblica Frattini? Il combinato disposto allarme terrorismo - stato d’emergenza - gestione dell’ordine pubblico in funzione repressiva, rischia di gettare nuova benzina sul fuoco a Napoli e a Roma. E giacché si parla di miccie e combustibili, ci viene in mente l’incendio del Reichstag.
Qualche giorno fa, su queste colonne, Nando Dalla Chiesa ha spiegato i riferimenti al Cile di Pinochet e all’Argentina di Videla a proposito dei gravissimi fatti del G8. Nessuno pensa che l’Italia di oggi sia assimilabile a quelle sanguinose dittature, ma si procede per associazioni mentali ovvie e comprensibili. Anche il Reichstag suscita un’interessante analogia. Nella notte tra il 27 e il 28 febbraio 1933, a Berlino bruciò la sede storica del parlamento tedesco. La torcia venne accesa da un giovane comunista olandese Narinus van der Rubbe, reo confesso. Ma chi ne approfittò fu Adolf Hitler, un giudizio sul quale gli studiosi hanno sempre risposto in maniera univoca. Dopo quell’incendio il neocancelliere riuscì ad affossare quel che rimaneva della prima democrazia tedesca, la Repubblica di Weimar. Quell’episodio resta scolpito come un modello insuperato di provocazione politica: si soffia sul fuoco finché c’è qualcuno che ci casca. Perciò alle tute bianche e di ogni altro colore, fuorché il nero, sarà utile rileggersi la storia.

 


Persino il vaticanista de "il Giornale", di cui è proprietario Berlusconi, è più obiettivo de L'Unità.

Nel recente libro di Andrea Tornielli, vaticanista de "il Giornale", su Pio XII, a pag. 82, a proposito dell'incendio del Reichstag, si legge testualmente: "Viene fermato un giovane comunista olandese seminfermo di mente, Marinus van der Lubbe, formalmente accusato dell'incendio e immediatamente impiccato dopo un processo sommario. La propaganda nazista ne approfitta per attaccare senza prove i comunisti e Hitler chiede i poteri speciali previsti nella Costituzione della repubblica di Weimar".

Non solo ma nella nota n° 8 a piè di pagina si riporta la testimonianza del generale Franz Halder al processo di Norimberga, secondo la quale ad appiccare quell'incendio era stato Goring. Lo stesso Goring nella sua deposizione contesta quella del generale Halder dicendo di non aver mai avuto a che fare con l'incendio del Reichstag, senza dire altro. Evidentemente il regime nazista nell'incendio c'era dentro fino al collo.

Significativo è il fatto che persino un giornalista che lavora presso un giornale promotore di una campagna accesa contro il comunismo, dica che i comunisti furono accusati senza prove dell'incendio del Reichstag.



"Il Dialogo - Periodico di Monteforte Irpino" - Direttore Responsabile: Giovanni Sarubbi

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