Manifestazione pro monaci birmani a Reggio Emilia
Un flop su cui riflettere
di Normanna Albertini
Leggiamo sui giornali della manifestazione a Reggio Emilia a sostegno dei coraggiosi monaci birmani, con negli occhi la lunga processione arancione su cui sparano i militari della dispotica dittatura e decidiamo di scendere in città per parteciparvi. Indossata la maglietta rossa, arriviamo in piazza Prampolini, aspettandoci una folla di persone. Sul quotidiano “Giornale di Reggio” il direttore, Nicola Fangareggi, aveva scritto un editoriale molto sentito e, tra laltro, aveva detto: “La pacifica protesta dei monaci birmani riscuote anche in Occidente (Reggio Emilia compresa) una simpatia particolare. Non si tratta solo di una lotta di un popolo oppresso. Cè qualcosa di più. Quel di più si chiama buddhismo. Ossia una filosofia - o una psicologia, secondo alcuni - che, vecchia duemilacinquecento anni e lontana dalle religioni monoteiste dOccidente, ha toccato cuori e menti delle ultime generazioni veicolando una saggezza mite e non invasiva, proponendo pratiche di consapevolezza anziché imporre dogmi, evitando ogni forma di quel disgustoso mercato spirituale che tanto spazio ha trovato nelle Americhe e che in parte sta arrivando anche qui. “La mia religione è la gentilezza”, ha spesso ripetuto Tenzin Gyatso, il quattordicesimo Dalai Lama. Le coraggiose sfilate di Rangoon, oggi, riflettono quellindicazione: la lotta si pratica con la nonviolenza.” Con questi presupposti si sperava in una grande partecipazione. Delusione: la manifestazione, assolutamente positiva, encomiabile, proposta dai “bindiani” del Partito Democratico, tolti i politici (ci sono praticamente tutti, mancano la presidente della provincia Sonia Masini e la senatrice Leana Pignedoli) si riduce ad uno sparuto gruppetto di persone, qualche bandiera della pace e della Cisl, nessuno striscione (ne bastava uno che spiegasse con un semplice slogan di cosa si trattava), nessun volantino; soltanto Stefano Dallari, della Casa del Tibet di Votigno, alla fine distribuirà un volantino con linvito ad un momento di meditazione per domenica 30 settembre.Tashi Tsering Lama, il pittore tibetano direttore della Casa del Tibet, dopo le introduzioni di Marcello Stecco e Stefano Dallari, suona il flauto tibetano, mentre tutti si tengono per mano in unideale catena di solidarietà con i monaci birmani. Qualche passante si avvicina incuriosito e chiede di cosa si tratta, poi spiega che non ne sapeva niente. Eppure, era su tutti i giornali. Siamo troppo distratti? Non credo cha ai reggiani non interessasse questo evento, non credo nemmeno che la poca partecipazione sia dovuta alla frettolosità dellorganizzazione, certo credo che occorra un esame di coscienza su quanto sia difficile, oggi, una comunicazione efficace che arrivi alla gente e colpisca il cuore. Stamattina, sui giornali locali, si parlava di “centinaia di persone” presenti; non è vero, e anche questo non volerlo ammettere è inquietante. Comunque, la cosa importante è che qualcuno si sia impegnato nel dare un piccolo segno di solidarietà con il clero birmano, vero esempio di condivisione con il popolo dei problemi sociali, di ingiustizia e sopraffazione, esempio per tutti noi e per tutti i religiosi di qualsiasi religione. Concludeva Fangareggi il suo editoriale: “Più che mai, in questi giorni drammatici, i monaci delle pagode doro ci insegnano qualcosa di importante.” Domenica, 30 settembre 2007 |