NON posso identificarmi con la sinistra dell’arcobaleno, ma sento la mancanza di quella parte politica tanto significativa, ivi compresi gli errori che ha saputo commettere.
L’esperienza di governo è stata nefasta perché da oltre 60 anni è sempre mancata la cultura di governo; ritrovarsi nella stanza delle decisioni (ridiventata adesso “stanza dei bottini”), ha provocato uno shock culturale che si è subito evidenziato con quell insignificante manifesto “Anche i ricchi piangono”.
L’ansia di rivalsa ha preceduto ogni ipotesi programmatica, privilegiando la filosofia del “vogliamo tutto e subito”, consegnando così l’Italia a Berlusconi che concederà “Niente e per sempre”.
Se l’estrema sinistra avesse iniziato l’itinerario di sviluppo sociale ed economico delle classi meno fortunate, con una programmazione lenta ma costante, oggi ci sarebbe certamente un maggiore equilibrio tra le classi, al punto di poter parlare di uno Stato ad economia equilibrata.
Ma così non è stato; le punte avanzate hanno preferito minacciare “i ricchi” per farli piangere senza tenere in alcun conto di fornire, in questo modo, i gas lacrimogeni con i quali “i poveri” continueranno a piangere, peraltro illusi di aver trovato altri "paladini".
Una nazione adagiata sul benessere, certamente superiore alle possibilità,( lo conferma il debito pubblico che ne ha consentito la realizzazione) non può essere trasformata, nel corso di una legislatura, in una nazione socialmente avanzata, proiettata verso una economia del lavoro, in grado di sviluppare un equilibrio sia territoriale che sociale.
L’aspetto paradossale è quello più evidente: sono mancati alla SA i voti proprio di quella classe verso la quale erano dirette le attenzioni che, però, non sono state spiegate.
Nessuno si è peritato di chiarire che si stava diffondendo il virus del liberismo, che pure aveva dato le prime avvisaglie nel quinquennio di governo; la precarietà giovanile, l’incertezza del lavoro, ben sette condoni fiscali ed edilizi in soli cinque anni, la depenalizzazione del falso in bilancio, le alleanze di guerre, anche la legge Bossi-Fini, non furono altro che espedienti per affermare la logica del potere del più forte, non certo della giustizia sociale.
La proposta di detassare il lavoro straordinario, presentata come un vantaggio per la classe operaia, che metterebbe in tasca l’importo netto senza decurtazioni fiscali, in realtà nasconde un ulteriore modo regalato ai proprietari dei mezzi di produzione per esercitare il ricatto più ignobile, il ricatto del lavoro e della sopravvivenza.
Nel descrivere il provvedimento il cavaliere è anche sceso nei particolari applicativi, tradendo, così, il vero significato di tale proposta.
Un esempio.
Nella descrizione dettagliata Berlusconi ha anche suggerito alla classe padronale di mettersi d’accordo con i lavoratori per stabilire un rapporto legato ad un salario minimo: quindi la spremitura del lavoro con gli straordinari detassati. Cosa accade in questa situazione, peraltro descritta molto chiaramente nel trattato di Amsterdam tra gli obiettivi fondamentali dellUnione Europea ? Lo stesso Consiglio europeo di Goteborg (15-16 giugno 2001) ha approvato la strategia per lo sviluppo sostenibile dellUnione europea, affermando il principio secondo il quale nella definizione delle politiche di intervento deve essere considerato preventivamente il loro impatto economico, sociale ed ambientale.
Cosa nasconde la proposta berlusconiana sotto le mentite spoglie del vantaggio per la classe operaia ? Con il salario minimo viene richiesta una determinata prestazione, praticamente una certa quantità di lavoro effettuato; ma il salario minimo non basta per vivere, allora, con apparente generosità, il datore di lavoro offre la possibilità di incrementare le entrate con lo straordinario che, a sua volta, l’illuminato governante ha detassato.
Con il salario minimo il lavoratore produce quanto richiesto, per cui il costo del bene prodotto diventa pari al salario diviso la quantità prodotta. L’offerta di straordinario, che verrebbe poi concordata con il datore di lavoro, corrisponde sempre ad un incentivo pari al 50% del costo inizialmente pattuito per il salario minimo. E’ qui che scatta il ricatto ignobile.
Per soddisfare le esigenze della famiglia il lavoratore produce, durante lo straordinario, più di quanto ha prodotto nelle ore di lavoro contrattuale, essendo compensato “a merito”.
Sommando il costo della produzione contrattuale più la produzione straordinaria, e sommando il salario minimo con il compenso detassato dello straordinario, ci accorgiamo che il costo della produzione di quel determinato operaio si è abbassata mediamente del 30/35%; il tutto con un lavoro massacrante, specie per i lavori pericolosi.
Al momento della pensione, dopo una vita di lavoro, l’operaio si accorgerà che gli viene computata sulla base del minimo salariale, perché sullo straordinario non ha pagato i contributi, per cui dovrà rimanere al lavoro, se il datore lo permette, oppure cercarsi una seconda occupazione in nero per raggiungere la sopravvivenza.
Bisogna anche tenere conto che con l’insistenza sullo straordinario, concentrato su pochi, vengono meno posti lavoro per i giovani e per il naturale ricambio generazionale, per cui il motto della sinistra “lavorare meno, lavorare tutti” finisce nel macero delle idee, solo perché si è preferito ipotizzare di far “piangere i ricchi” al posto di “far sorridere, finalmente, i poveri”
L’illusione si è compiuta; l’operaio ringrazia (è troppo stanco per riuscire a ragionare !) perché vede raddoppiato il salario minimo da portare a casa e non si rende conto (anche perché nessuno ha saputo o voluto spiegarlo) di avere generato il surplus a suo rischio e pericolo, con il suo lavoro che non viene compensato per quello che produce, ma per quello che il proprietario dei mezzi di produzione ha deciso che vale; così il lavoro rientra nell’elenco delle merci necessarie alle aziende, e come per le merci viene ricercata quella più redditizia, meno cara, con maggiore resa; si dilata la sfera di applicazione del più ignobile dei ricatti, prospettando solo l’alternativa di accettare le condizioni padronali oppure subire le conseguenze della disoccupazione.
Rosario Amico Roxas
Lunedì, 21 aprile 2008
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