Verona

di Aldo Antonelli

Verona!
Ce l’ho nel cuore.
Eppure, da seminaristi, per criticare le sue radici clericofasciste la chiamavamo: "Verona Fedele", con il nome del settimanale diocesano...!
Nel nostro disincanto giovanile (erano gli anno sessanta...!) e nelle nostre utopie irrequiete, la trovavamo troppo "codina"....
Ora, dal Brasile, leggo il commento alla cronaca naziskin....
Ve lo comunico.


“No, non è una su un milione! È una delle tante che feriscono il cuore e la coscienza in questa città”. Stava scritto su un cartello, retto da una donna durante il presidio che si è tenuto a Verona, sul luogo dell’omicidio del giovane Nicola Tommaselli. E probabilmente non è a caso che si dica “in” questa città, e non “di” questa città. Perché, cuore e coscienza della comunità che quella città esprime (non solo essa, certo!), sembrano, da tempo, sensibili ad altri richiami, temi, sentimenti. Gesù insegnava che chi dice anche solo scemo o chi guarda con disprezzo il diverso da sé, è già, in cuor suo, omicida, e meriterebbe di esser condannato in questa e nell’altra vita (cf Mt 5, 22 ss). E non lo diceva per dire, evidentemente. Voleva significare, e lo avrebbe detto esplicitamente in un’altra occasione, che è dal cuore che “provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie” (Mt 15, 19). E il cuore è il “luogo” delle nostre convinzioni più profonde. Ora, a noi sembra che i cinque sciagurati assassini di Verona abbiano solo prestato muscoli, braccia, gambe e piedi a una cultura che sono venuti assorbendo in questi anni. Che non è quella che rivela certa simbologia neonazista che, quando c’è , è solo un giochino in più, ma è assai più diffusa ed è fatta di apparente perbenismo, persino, paradossalmente, di frequenza alla chiesa, anche se la religione vera è, a ben guardare, solo quella dei soldi e del benessere, e dell’ideologia o degli slogan, che l’esprimono. Di cui sono un esempio l’esasperazione del tema della sicurezza, la fobia per lo straniero, l’insofferenza per chi non è come noi, non veste, non mangia, non parla, non prega come noi. Con l’inevitabile retorica dell’identità, del pagano culto delle radici, della salvaguardia dello spazio vitale, dell’esaltazione dello scontro di civiltà (di cui l’aggressione fisica al malcapitato che passa è niente più che l’esemplificazione pratica, una sorta di suo sacramento). È dunque una coscienza civile che bisogna scovare e, se la si trova, arrivare a interrogare. Ed è anche, forse, un cuore e una coscienza ecclesiali che devono essere ridestati e riorientati. Ora, ci sembra che a nulla serva inseguire legaioli e forzaitalioti sul loro terreno, né da parte di forze di sinistra, che hanno visto confluire in essi una quota del loro elettorato (e si dovrebbero chiedere perché), né da parte della comunità cristiana e meno ancora di un clero che (sempre che non sia per convinzione, e sarebbe tragico!), per paura di perdere fedeli (e sarebbe comunque inquietante), si mettono disinvoltamente a flirtare con quei partiti. Senza pensare che il peggio non è perdere i fedeli, ma, per tenerseli stretti, buttare via il Vangelo della prossimità e della cura per gli ultimi.

“Adesso credete? Ecco, verrà l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto proprio e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me. Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me. Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!” (Gv 16, 32-33). Già, noi si pensava di credere in Gesù Cristo e nel suo Dio (che è il Padre di tutti, non solo dei nostri e gli altri, invece, figli della serva), ed ecco che ci siamo presto dispersi e abbiamo lasciato soli Dio e il suo figliolo. E sarebbe, invece, assai meglio patire ogni sorta di tribolazioni, ma starcene con loro.



E’ tutto, per oggi.

Un abbraccio.

Aldo



Giovedì, 08 maggio 2008