Un paese senza memoria

di Fulvio Turtulici

Questo nostro Paese ha conosciuto la stagione migliore della sua vita collettiva durante la Resistenza e la nascita della Repubblica, finchè non si assistette alla degenerazione politica e morale che portò a Tangentopoli.
In verità anche quel periodo fu ben presto inficiato da tentativi reazionari ed eversivi mai chiariti, in questo Paese dove la trasparenza è parola vuota. Si era al tempo della guerra fredda e la particolare nostra situazione in cui vi era un Partito comunista, che era stato determinante per il ritorno alla democrazia e dunque molto forte, provocava naturalmente tensioni.
Ma c’era quella grande speranza che correva tutto lo stivale, come mai prima era stato possibile, la speranza della ricostruzione e dell’emancipazione delle classi subalterne.
Adesso, dopo la caduta del muro di Berlino e l’affermarsi di un modello unico di sviluppo, che però mostra chiari limiti, anzi talora fa intravedere lo spettro di un crollo disastroso, ci ritroviamo poveri nell’elaborazione di progetti e il ritorno in campo prepotente e impudente di forze reazionarie minaccia la nostra ancora giovane democrazia e l’intelligenza della vita civile. E riaffiorano mali evidentemente mai superati che non fanno presagire nulla di buono.
Nella Calabria degli omicidi impuniti, il procuratore aggiunto Spagnuolo ha detto che "in Procura manca la carta per scrivere le richieste di rinvio a giudizio". Evidentemente non sa che nel Belpaese c’è un’altra possibilità: le sentenze dell’organo giudicante vengono scritte nello studio dell’avvocato di parte, siccome comprate dal cliente, quando il cliente è Berlusconi e l’avvocato è Previti.
E che c’è da stupirsi? Il partito tuttora più votato è sorto per l’opera di tre fondatori: uno condannato in via definitiva per corruzione dei giudici, uno pluricondannato per mafia e frodi fiscali, uno riconosciuto colpevole di numerosi reati, in più processi, ma prescritti in modo da consentirgli di continuare come presidente del consiglio e gestore dei propri affari giammai dismessi.
L’impresa di telecomunicazioni, colosso del Paese, predispone, oltre ad operazioni finanziarie quantomeno allegre, semplicemente una rete di spionaggio straordinariamente ramificata e criminale. L’impresa privata, è la prova, risulta ben peggiore della pubblica. E sono grandi le truffe delle banche ai danni del risparmio, ma ne vengono travolti unicamente i piccoli risparmiatori.
Il signor Corona, noto per una serie impressionante di estorsioni ai danni dei vip, fonderà un partito, ovviamente nell’area del centrodestra per affinità elettive; Flavio Briatore, già condannato per aver ripulito le tasche dei frequentatori delle bische clandestine tiene sermoni pubblici sulle regole della politica. Sembra sia alquanto difficile oramai alle persone oneste competere nella vita pubblica con coloro che si sono arricchiti delinquendo e volgareggiando.
Quelli della Padania danno giornalmente patenti di inciviltà a chiunque stia a sud del Po, che hanno ridotto una cloaca, ma poi, quando votano, preferiscono il regime più borbonico: repressione di polizia nelle piazze e nelle caserme, feste con vulcani di cartapesta e lava finta ma fumigante, loschi e grotteschi figuri come Pio Pompa posti ai verici degli apparati istituzionali perchè servano il principe e prezzolati giornalisti in verità impiegati nella disinformazione.
Quelli della Padania hanno lucrato dall’unità ad oggi alla grande, prima sulle materie prime sottratte al sud e grazie alla pressione fiscale che opprimeva le terre meridionali fino alla miseria, quindi sulle braccia a basso costo di quella gente ridotta in miseria; oggi, che non vi è più nulla da sfruttare e nell’ipotesi remota di dover restituire una infinitesima parte di quello che hanno tolto, vogliono separarsi. Questo senza uno straccio di motivazione storica - la Padania è un’invenzione che non ha territorio, confini definiti, non ha vicenda comune -; linguistica - hanno mille dialetti, non una sola lingua che li unisca se non l’italiano -; culturale - che è la romano cristiana del resto del paese, i celti essendo la trovata da osteria che ha prodotto solo le comparsate con le casseruole in testa e il dio Po -. L’unità d’Italia è stata fatta dalla borghesia del nord; solamente la deriva mentale può far supporre di scioglierla per pagare qualche euro di tasse in meno.
Uno scrittore americano ha detto che Falcone e Borsellino sarebbero considerati come un patrimonio nazionale in qualunque altro Paese, ma nel nostro sono stati lasciati soli perchè li uccidessero e, dopo qualche ipocrita commemorazione di circostanza, dimenticati. Perchè? Ma perchè avevano lanciato troppi sassi nello stagno e Borsellino, lui di solito così schivo e simpatizzante della destra, quindici giorni prima di essere zittito per sempre, quasi a futura memoria, aveva fatto i nomi di Berlusconi e Dell’Utri, e sarebbe stato d’ostacolo al patto tra Stato e mafia.
Ma questo Paese non ha memoria, ha smarrita la propria identità, o forse non è mai riuscito a crearla un’identità nazionale e ha scordato di essere stata la patria del diritto, chè il sistema giuridico romano è stato studiato nel mondo, anche dove non adottato.
Il cattolicesimo poi ha generato ipocrisia e clientelismo, invece che una coscienza del dovere privato e pubblico. E la cultura contadina è caduta senza venire sostituita da un’altra industriale: la nostra impresa è in buona quanto di più cialtronesco possa esserci.
Nell’impatto con una globalizzazione selvaggia che affanna gli istituti della democrazia rappresentativa, noi ci riscopriamo ancora sudditi, forse mai, tranne che nei momenti di tragedia più dura, cittadini.



Giovedì, 19 luglio 2007