IL FATTORE “B” E LA DEMOCRAZIA A RISCHIO
Personalizzazione del potere e screditamento della legge

di Enrico Peyretti

La democrazia umanistica è un progetto avviato nella storia, ma incompiuto. Ogni realizzazione storica va valutata secondo l’orientamento, sebbene graduale, che cerca di seguire. La Costituzione italiana, fondamento e programma della Repubblica, è quanto di meglio al mondo su questa via. Il carat­tere democratico, umanista e civile delle successive maggioranze politiche va misurato sulla nostra Costituzione.
Berlusconi è dall’inizio, nel 1994, ineleggibile in quanto titolare di concessione statale «di notevo­le entità economica» (legge 361 del 30 marzo 1957). Paolo Sylos Labini lo disse subito a voce alta, ma non fu ascoltato (cfr. «L’Espresso», 10 maggio 1996, p. 73). La scappatoia per cui titolare della concessione era Confalonieri e non Berlusconi è formalismo ipo­crita, che non muta la sostanza. La sanatoria forma­le non rimedia l’illegittimità sostanziale, che la poli­tica dei successivi governi berlusconiani dimostra con evidenza.
Il cumulo di poteri (economico, mediatico, poli­tico) non è un conflitto fra interessi, che invece si ac­cordano benissimo, ma è un grave abuso di potere, contro ogni legge civile e democratica, contro lo sta­to di diritto (limite e separazione dei poteri), che è la maggiore conquista giuridica della modernità. Dunque è regressione antimoderna, verso lo stato si­gnorile arbitrario, allontanamento dalla democrazia. Dunque è una illegittimità sostanziale: si può na­sconderla, tollerarla, contrattarla, ma essa avvelena il senso della nostra democrazia. Questo governo è il­legittimo, va delegittimato agli occhi degli italiani. Il consenso non sana tutto. Persino feroci dittature ebbero consenso spontaneo. Nessuna quantità di vo­ti permette di superare quelle forme sostanziali. Chi lo fa, non è nella legittimità.
Al di là dei calcoli di opportunità, bisogna dire la verità delle cose, poi si fa il possibile per rista­bilirla senza maggiori danni. Su questo punto, dopo ripetuti errori di legittimazione di Berlu­sconi e di mollezza nel giudicarne i fini e i mezzi, l’opposizione deve svegliarsi e decidere, se lo capi­sce. Altrimenti fa l’errore, storicamente imperdo­nabile, che Giolitti fece con Mussolini. Ridurre l’e­quilibrio e il bilanciamento dei poteri dello stato, a favore dell’esecutivo e del presidenzialismo, è con­centrazione di potere, in conflitto essenziale con la Costituzione democratica repubblicana, è un passo verso l’autocrazia. Bobbio ricordava e inse­gnava che «la democrazia è il governo delle leggi, e non degli uomini». Ogni oltranzista personalizza­zione del potere è antidemocratica. Quando poi, come a Berlusconi accade d’istinto, si sacralizza in­sensatamente l’investitura popolare come quella che rende l’eletto «unto dal Signore» (cioè messia, cristo, proprio come si ritenevano i sovrani per di­ritto divino), allora si dimostra di ignorare o frain­tendere la democrazia, di falsificarla e di abusarne a vantaggio del proprio potere di fatto insanamen­te legittimato ed esaltato.
Violare le leggi è male, si va in prigione, ma di­struggerle, svuotarle (come fece Mussolini con lo Statuto albertino), screditarle nell’opinione pub­blica, è peggio che violarle. Immunizzarsi dalla giu­stizia penale per togliere ogni limite al proprio po­tere, legiferare in causa propria, con un processo vicino alla sentenza, col «lodo Alfano», è distrug­gere il principio di legalità. Violare le leggi che proteggono i deboli e costruire leggi demagogi­che contro di loro per incoronarsi come colui che protegge gli impauriti da paure amplificate ad arte, è disonestà. Fare legge il proprio particolare interesse è l’ingiustizia, è l’inciviltà, da quando l’u­manità ha una coscienza; è la massima immoralità pubblica, perché rubare la fiducia pubblica è peg­gio del rubare denaro pubblico.
Gli italiani (prendiamoci ognuno la nostra re­sponsabilità) cadono preda di Berlusconi perché troppi non hanno un sufficiente senso della legge come limite dei poteri di fatto, né della Costitutzione, la “legge delle leggi”, che mette regole, limiti e fini sostanziali alla democrazia quantitativa
Il diritto è sempre diritto e dignità inviolabile dell’altro, non è anzitutto «il mio sacrosanto di­ritto». Identificarlo con la forza posseduta, anzi­ché con il controllo di quella forza, disintegra la società, sanziona la forza dei potenti e l’oppres­sione dei deboli. Quell’idea «signorile», proprie­taria, mercantile, borghese, è barbara, anche se diffusa. Berlusconi è l’incarnazione storica nefasta di questa concezione del diritto come abilità, de­strezza e vittoria. Mussolini rappresentava la vio­lenza fisica e rozza, Berlusconi rappresenta quella violenza mentale. Dopo la fragile risurrezione dal fascismo subito e accettato, l’Italia ricade ora in questa minaccia mortale contro il diritto, perciò contro la preziosa Costituzione. Forse aveva tra­gicamente ragione Piero Gobetti quando parlava del fascismo come «autobiografia della nazione», costitutivo prevalente del nostro popolo. Ciò non autorizza alcuna rassegnazione, ma spinge alla più strenua battaglia morale e culturale.

Enrico Peyretti

Articolo tratto da:

FORUM (109) Koinonia

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Venerdì, 03 ottobre 2008