De Mita: il riposo del guerriero?

di Nino Lanzetta

OGNI principio ha la sua fine, ogni uomo la sua vita, ogni politico la sua stagione. Non sempre la stagione del politico coincide con l’arco della sua vita. Andreotti, Cossiga e Scalfaro, politici della prima repubblica come De Mita, sono rimasti sulla scena solo perchè senatori a vita. Ma anch’essi sono usciti, e da tempo, dalla politica attiva. Tutti gli altri sono a casa da tempo. De Mita non vuole arrendersi alla legge del tempo e vuole continuare a stare nell’agone politico in posizione operativa e da protagonista.
Ha avuto un percorso lunghissimo, uno dei più lunghi della storia repubblicana e della DC. Più di 50 anni in politica, quasi 45 in Parlamento. Quasi un secolo breve, come la storia del novecento.
Con il solito acume e velenoso cinismo, il senatore Cossiga ha scritto di lui “… uno dei leader più prestigiosi e intelligenti della Dc e in essa della sinistra di base, anche se pessimo segretario politico e ancor peggiore ministro e Presidente del Consiglio, una versione moderna e democratica del clientelismo meridionale…. Non scivoli nel patetico e nel ridicolo, dando vita ad una piccola e fasulla lista campana! Caso mai, in cambio, si faccia dare … qualche Asl!”
Tra i due personaggi non corre buon sangue e il giudizio è, oltre che ingeneroso, anche forzato. Eppure l’elezione a Presidente della Repubblica di Cossiga, alla prima votazione, è stata l’operazione più brillante del segretario De Mita! L’ingenerosità è connaturata alla politica. Non è avvenuto così anche con Fiorentino Sullo?
Quello che ci preme, invece, sottolineare è il giudizio sul clientelismo meridionale in versione democratica e moderna e il consiglio di non sciupare, con comportamenti, che non si addicono al suo passato, una storia politica di primissimo livello.
Abbiamo stima per la sua grande intelligenza e cultura politica e rispetto per la sua vicenda umana, ma le scelte - anche le più difficili - o si fanno in tempo o si devono aspettare, e De Mita se li aspettava e li temeva. La vicenda della mancata conferma - su volere centrale- al coordinamento regionale del partito e l’offerta di dirigere una scuola di formazione del partito, sono stati prodromi eloquenti. Il rifiuto di una nuova candidatura, dopo ben undici legislazioni, era nell’aria e a nulla sono valse le firme e le richieste accorate dei fedelissimi.
De resto il partito democratico sul rinnovamento si sta giocando tutto. Non sarà un partito -come dice De Mita- che ha ben saldi connotati, ma oggi dove sono quei partiti, tipici della prima Repubblica, che sogna De Mita? Sono partiti, come lui li intende, Forza Italia, o come diavolo si chiama ora, Alleanza nazionale, che vuole confluire nel PPE, l’Udeur di Mastella se c’è rimasto ancora qualcosa, o la Cosa bianca che, che è, appunto, una cosa astratta e velleitaria? Certo ci sono dei problemi, ma non sarebbe stato più opportuno, come ha fatto finora, continuare a battagliare al proprio interno?
Lui dice che i criteri di selezione della classe dirigente non devono fare riferimento all’età ma all’intelligenza. Dice pure che si propone di recuperare la cultura della DC e rilanciare un progetto proporzionalista che ponga fine al bipartitismo coatto che si sta mettendo in atto. E perciò ha sbattuto la porta perché non hanno voluto candidarlo, solo perché ha ottanta anni. Certo che l’intelligenza ha rilievo notevole, ma anche l’età gioca molto nel ricambio della classe politica. Del resto si può continuare a fare politica senza per forza continuare a sedere in Parlamento. Almeno così la pensano, Prodi, Violante, Visco, Amato, che pure ha un curriculum pari al suo. Chi, meglio di lui, avrebbe potuto contribuire, al ricambio della classe politica e a meglio definire i connotati del nuovo partito e a combattere con i popolari, che pure sono molti nel PD, per il rilancio di valori propri della vecchia Dc?
Ma non nascondiamoci dietro un dito. Veltroni non poteva fare diversamente. La situazione nella quale è precipitata la Campania ha cause remote e responsabilità precise. Non si poteva non prenderne atto, oggi che moltissima opinione pubblica ne è convinta. E non ci riferiamo solo alla questione “mondezza” che è solo un iceberg di dimensioni gigantesche, ma a tutto il sottogoverno, il clientelismo, lo stato della sanità, il degrado, il mancato sviluppo, l’emigrazione, lo schifo della camorra e i suoi gangli con la politica, tutte cose che hanno messo in ginocchio una delle più belle regioni d’Italia. C’è ancora qualcuno che possa credere che di tutto questo sfacelo, chi è in politica da cinquant’anni, e in posizione di comando regionale almeno da venti, non ha nessuna responsabilità, non diciamo diretta, ma almeno di mancato controllo e vigilanza?
De Mita paga anche per un mancato ricambio di una classe politica che, specie in Irpinia, si è più contraddistinta per un appiattimento servile sulle posizioni del capo indiscusso che per qualità di analisi, autonomia di giudizio e scelte utili allo sviluppo e al bene comune.
Purtroppo, dopo De Mita, in Irpinia c’è il vuoto. L’ultima cosa di cui ha bisogno questa sfortunata provincia è una nuova diaspora, un nuovo trasformismo, nuove frizioni e vecchi personalismi, uomini della provvidenza. Ci auguriamo che De Mita non si candidi in nessun’altra formazione, non crei altre divisioni, non cerchi rivincite che non sono nella natura del personaggio, ma continui a regalarci le sue riflessioni ed i suoi insegnamenti che, quelli sì, sono d’alta politica. E aiuti il cambiamento e la crescita di una nuova classe politica e dirigente di giovani e di donne!


NINO LANZETTA



Lunedì, 25 febbraio 2008