Politica - Dibattito
Il relativismo della pace

di Rosario Amico Roxas

L’ulteriore morte di un soldato in un teatro di guerra, ci pone il problema della pace, e non limitatamente a quel teatro medio-orientale, ma come concetto che dovrebbe entrare nella cultura di tutti i popoli.


Sento tante prediche sulla pace, magari sviluppate da chi non possiede l’abito idoneo, limitate al panorama italiano, che è solo un piccolo orticello; certo abbiamo, anche, il diritto/dovere di coltivare il nostro orticello, di tenere in alta considerazione gli interessi nazionali, ma la globalizzazione (direi piuttosto la dilatazione spazio-temporale) che sta vivendo il pianeta, rischia di vanificare tutte le attenzioni individualistiche se non vengono proiettate nella giusta dimensione.
Curiamo pure il nostro orticello, ma se il nostro vicino non rispetta le attenzioni che rivolgiamo ad esso, è tutto lavoro inutile. Mi spiego. Prima di disfarmi di un uliveto che era stato proprietà di famiglia, ci tenevo molto a curarlo al meglio. Ogni anno provvedevo a fare “il bagno” per evitare l’aggressione della mosca olearia, ma inutilmente. In tutta la vasta zona ero il solo a farlo, così le mosche olearie del mio uliveto morivano, ma altrove prolificavano e quando l’effetto nel mio terreno svaniva ecco che tornava l’aggressione moltiplicata dalla integrità di quelle olive.
Noi parliamo di pace, come se stessimo bonificando la nostra cultura che pacifista non è mai stata; ci propongono “radici cristiane dell’Europa” quando il Nuovo Catechismo cristiano si guarda bene dal condannare la guerra e tutte le guerre; piuttosto siamo condizionati dal dovere di provare “eterna gratitudine” a quegli USA che ci hanno liberato dal Nazi-fascismo. Quindi la tanto decantata resistenza non avrebbe fatto proprio nulla; quale resistenza, quale dedizione alla libertà; ci hanno preso in giro e ci prendono ancora in giro dopo 60 anni, il merito è tutto e solo di quell’America, che, però, ci ha presentato il conto di quella gratitudine.
Molti anni addietro di ritorno da Catania verso Caltanissetta, mi ritrovai nel bel mezzo di una improvvisa bufera di neve; per farla breve rimasi impantanato a bordo dell’autostrada, senza alcuna possibilità di venirne fuori. Transitò una grossa auto fuori-strada, ne scesero due giovani, mi salutarono e mi fecero gesto di pazientare. Agganciarono la mia autovettura al loro traino e mi tirarono fuori, rimorchiandomi fino al successivo rifornimento nei pressi dell’uscita per Enna.
Mi accorsi che seduto dietro c’era una persona, capii che si trattava del proprietario di quella provvidenziale autovettura, così mi avvicinai per ringraziare. Fu di poche parole, mi chiese il nome e fece cenno di conoscere la mia famiglia. Tutto finì lì. Qualche mese dopo rividi la foto di quel personaggio sulle prime pagine dei quotidiani, si trattava di un mafioso ricercato, che finalmente era stato individuato e arrestato. Non c’è dubbio che al momento del soccorso avevo provato un senso di gratitudine per avermi levato da quell’impiccio, ma la mia gratitudine non sarebbe, certo, arrivata al punto di andare ad ammazzare qualcuno se me lo avesse chiesto in nome e per conto di quella “eterna gratitudine”.
Ora l’eterna gratitudine che ci ha portato a guerreggiare in Afghanistan prima e in Iraq dopo, mi pare proprio assimilabile ad un atteggiamento mafioso, sia da parte di chi lo pretende che da parte di chi lo riconosce. La gratitudine non può condizionare la vita futura, altrimenti diventa schiavitù; la gratitudine deve manifestarsi in piena e autonoma libertà, altrimenti tanto vale che “il generoso” presenti subito il conto e si faccia saldare il debito.
Gli USA pretendono gratitudine e Berlusconi ce la rinfaccia ad ogni piè sospinto, alla Resistenza e alle vittime della Resistenza il diritto di avere riconosciuto una Storia che ha gettato le basi per una Italia, finalmente, democratica.
Per l’America la guerra con i suoi morti, le sue distruzioni è VITA; vita economica, vita sociale perché esporta nel mondo intero il proprio modello di vita; quindi è a monte che andrebbe affrontato il problema, con il ridimensionamento di una alleanza che ci piaccia o nò ci fotte su tutta la linea.
C’è tutto l’interesse americano a impedire il decollo politico dell’Europa (da qui la svalutazione del dollaro che ci penalizza), per farci restare nell’alveo di un vassallaggio senza via d’uscita.
Quando poi una nazione europea viene governata da chi vassallo si sente per propria costruzione mentale, perché da quel vassallaggio carpisce le prebende dovute alla servitù, allora il discorso si complica e condiziona l’intera Europa. Così siamo diventati i custodi di oltre 90 ordigni nucleari americani, pronti ad essere imbarcati sui bombardieri e sganciati sulla prossima nazione che gli USA decideranno di aggredire; questo perché i cinque malaugurati anni di governo della CdL hanno condizionato anche i governi futuri, concedendo fette della nazione per creare basi militare, sottoscrivendo accordi per posteggiare armi di distruzione di massa, permettendo che militari in armi stazionino nel nostro paese, eventualmente pronti anche a fare casino se dovesse ritornare utile a qualche vassallo. Non siamo più alleati paritari con diritto di critica, ma servi con dovere di ubbidienza e di “eterna gratitudine, quindi, agli occhi dei popoli aggrediti, siamo complici, per cui, quando possono ci ammazzano.
Osserviamo così la relatività del concetto di “pace”; fino a quando la pace sarà sinonimo di “assenza di guerra” allora non potrà mai concretizzarsi, perché la madre dei criminali di guerra è sempre incinta.


Rosario Amico Roxas



Martedì, 27 novembre 2007