Politica
La mafia è componente del potere in Italia

di Fulvio Turtulici

Ogni tanto un episodio, come qualche giorno fa l’incendio doloso ai danni di un imprenditore che resiste al pizzo, viene a turbare il tranquillo procedere degli ignavi e poi puntuale ricade il silenzio.
La mafia è componente del potere in Italia. Storicamente legata agli Stati Uniti, ritornò in auge con lo sbarco americano nel 1943 in Sicilia. Quindi si legò alla Democrazia cristiana e nell’interesse a loro comune uccise 45 fra sindacalisti ed esponenti del Partito comunista al tempo delle lotte bracciantili nell’isola.
Divenne determinante per le elezioni di candidati di quel partito, a se stessa graditi, e per le fortune di gruppi e apparati importanti dei partiti al potere, condizionava le decisioni di appalti pubblici negli enti locali, godeva di ampi favori da parte delle istituzioni, i legami tra uomini d’onore e apparati statali erano manifesti come il puzzo di marcio che indubitabilmente avverte della presenza vicina della carogna e la guerra fredda fu motivo e accredito oscuro ma certo alla partecipazione mafiosa alla gestione di una democrazia sciancata, debole, limitata, laida.
Giulio Andreotti, per sette volte presidente del consiglio dei ministri, l’uomo più potente, traeva il maggior alimento dalla mafia, i suoi referenti politici erano alleati dei mafiosi, i suoi grandi elettori erano mafiosi, la sua corrente all’interno della Dc otteneva la stragrande parte dei consensi in Sicilia, sarebbe stata insignificante senza i voti dell’isola.
Quando Borsellino, Falcone e i pochi collaboratori furono sul punto, chiusi nel bunker come manipolo di guastatori circondati e assediati da un potentissimo esercito e dai mezzi dei nemici, sottratti quasi alle loro famiglie e a una sia pur minima vita privata, di assestarle un colpo scioccante, le istituzioni corrotte o deboli, dunque la gran parte, e dove la mafia riceve accoglienza e convergenza di intenti, prima li delegittimarono e poi li lasciarono uccidere, con esecuzioni di una ferocia tale, trascinando con loro nella morte anche chi aveva la sola colpa di esser loro accanto almeno in quel momento, facendo letteralmente saltare in aria pezzi di città, che la coscienza di un Paese che fosse civile ancora oggi e sempre dovrebbe ribellarsi; ma lo fecero solo i cittadini e i parenti delle vittime, i sudditi, vale a dire la maggioranza e le istituzioni rimasero sostanzialmente indifferenti. Gli eredi naturali della Democrazia cristiana e del Partito socialista di Craxi nei rapporti con la mafia sono oggi Forza Italia, il partito degli affari, e l’Udc, la formazione che raccoglie gli ex democristiani mai pentiti.
Nemiche della mafia sono state le forze politiche ed ideali determinanti alla nascita della Repubblica libera, ma da circa vent’anni hanno perso la loro identità, i loro comportamenti appaiono sovente opachi, ambigui, la lotta alla mafia sembra non sia più, neanche per loro, una priorità. Pertanto la mafia, che era rimasta ferita dall’attacco duro del pool di Palermo, dei Caponnetto, Falcone, Borsellino, Ayala e altri, prima che venisse decimato e smantellato dagli amici istituzionali degli amici criminali, nonchè dalle faide interne provocate da quell’urto, ora sta pienamente ricostituendo il proprio potere.
Intelligentemente si muove silenziosa, non compie azioni eclatanti, gli amici nelle istituzioni tornano a sentirsi sicuri, gli affari semmai sono ancora più sofisticati, il proprio potere di condizionamento economico è forse maggiore e l’economia ormai prevale sulla politica e i mafiosi adesso sono sempre più professionisti, amministratori, piuttosto che "viddani".



Domenica, 05 agosto 2007