Elezioni 2008
I nostri cinque punti

Editoriale - aprile 2008 della rivista Popoli


È forse inusuale che una rivista internazionale e missionaria dica la sua sulle elezioni politiche italiane. Eppure è ormai difficile individuare temi politicamente rilevanti che non abbiano una qualche connessione con quel mondo globale in cui anche il nostro Paese è inserito e con quel legame tra fede e giustizia che rappresenta un riferimento costante per Popoli.
Per questo anche noi vorremmo cimentarci in un «gioco» assai diffuso in questo periodo e provare a identificare alcune questioni aperte che ci stanno a cuore. Non intendiamo certo «orientare» in qualche modo le scelte di voto dei lettori. Vogliamo semplicemente stilare quello che, quando il nuovo governo - di qualunque colore sarà - comincerà a operare, rappresenterà il nostro vademecum (senza dubbio parziale e incompleto) con cui valutarne l’operato. Ecco allora i nostri cinque punti.
1) Quale politica dell’immigrazione? Nel nostro Paese il fenomeno migratorio viene ancora gestito in termini emergenziali (sbarchi, sicurezza, sanatorie); eppure, da tempo, che l’Italia, da nazione di emigranti, si è trasformata in meta di immigrazione. Si fatica a capire quale modello di convivenza tra differenti culture, religioni e identità si intenda perseguire. Noi speriamo prevalga l’obiettivo di conciliare l’accoglienza e l’integrazione del «diverso» con la valorizzazione dei tratti più autentici della «nostra» identità.
2) Quale politica estera? Le missioni militari di «ingerenza umanitaria» possono essere, in determinate condizioni, una via per la costruzione di un ordine internazionale più giusto. Ma non possono essere l’unica. Occorre promuovere anche azioni non violente per la costruzione della pace, fermare il sempre fiorente business degli armamenti, usare le armi diplomatiche per difendere diritti umani violati (anche a costo di scontentare qualche partner commerciale), rilanciare il multilateralismo.
3) Quale sviluppo per il Sud del mondo? La cooperazione italiana allo sviluppo è stata puntualmente mortificata dai governi succedutisi negli ultimi anni e rappresenta una percentuale del Pil ampiamente inferiore allo 0,7% fissato come obiettivo dall’Unione europea. Cambierà qualcosa? È necessario inoltre capire di quali politiche l’Italia intenda farsi promotrice presso le istituzioni finanziarie e commerciali internazionali, dove il Sud del mondo (in particolare l’Africa) continua a fare la parte della vittima sacrificale.
4) Quale sviluppo per l’Italia? Appare evidente l’insostenibilità di un modello economico che abbia un solo «sacro» obiettivo: l’incremento del Pil. Non può essere più considerato un fenomeno di nicchia - e la politica deve valorizzarlo - quel mondo che, sotto etichette diverse (non profit, consumo critico, economia etica, ecc.), afferma la necessità di perseguire un nuovo tipo di crescita e di portare più giustizia nelle relazioni economiche. Alle scelte di consumo è collegata poi la problematica ambientale, ogni giorno più urgente.
5) Quale politica? Suona lontana anni luce la nota definizione che Paolo VI diede della politica, quale «più alta forma di carità». Resta però intatta la sua carica profetica: al di là delle questioni citate, senza una riscoperta dell’agire politico come servizio al bene comune, il nostro Paese non potrà che proseguire il suo inesorabile declino, morale prima ancora che economico.

© FCSF - Popoli - http://www.popoli.info/



Domenica, 06 aprile 2008