RAZZA in PIAZZA

di Doriana Goracci

Leggevo stamattina su Megachip La falsificazione etnica delle banlieues di Alessandro Cisilin, dove si tratta di scontri urbani, rabbia senza regia nelle metropoli, violenza di certi gruppi etnici in rivolta , insomma di Sarkozy che cerca rimedi, anche "tecnologici" a queste onde barbariche che calano dalle periferie.

Ecco, per la gioia delle/dei benpensanti, apparire la difesa teconologica del cittadino : " aerei-spia " per sorvegliare le periferie e i famigerati Taser - le pistole a impulsione elettrica denunciate da Amnesty International per gli effetti devastanti (anche mortali) del loro utilizzo negli Stati Uniti e da quest’anno in Gran Bretagna e via per questa strada, assaggiata nel 2001 a Genova.

Si passa all’ inganno vero e proprio laddove Le Monde, con qualche timida conferma successiva da parte degli interessati, dice che "secondo gli archivi della Gendarmeria parigina, nel 2005 erano stati segnalati 435 casi di " violenza urbana ", rispetto ai 287 nel 2006 e ai 129 nei primi cinque mesi di quest’anno". Il grosso descrive risse scoppiate sotto i fumi dell’alcol all’uscita dalle discoteche o nelle feste di paese.

L’articolo arriva a concludere che il potere al governo, vuole impedire la presa di coscienza di un disagio sociale condiviso.

Beh, io faccio parte di quella razza in piazza, che non chiede le impronte digitali e dove e con chi dormirà la notte. E sono una molto straordinariamente comune cittadina, che si è abituata ad aprire gli occhi, anche grazie a quelli della figlia che nel 2001 aveva sedici anni e a cui dico e dirò sempre grazie. E grazie ai suoi giovani amici, a quelli di mio figlio che non mi danno credenziali di razza e colore.

E davvero ripenso con profonda tristezza alle mamme che si dicono educate e educatrici, ai figli che lavorano e non protestano. Ai protettori della Forza e dell’Ordine.

A tutte queste signore e signori dedico una poesia, non mia davvero, ma di un grande, Pablo Neruda, il titolo è

ODE ALLA VITA

Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marca,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi fa della televisione il suo guru.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle ’i’
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore davanti all’errore e ai sentimenti.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l’incertezza, per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli
sensati.
Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge, chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio,
chi non si lascia aiutare;
chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia
incessante.
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce,
chi non risponde quando gli si chiede qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di
respirare.
Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida
felicità.



Sabato, 27 ottobre 2007