Alcune tesi di politica di pace, emerse in una discussione elettorale, che credo valide ben al di là delle elezioni.

di Enrico Peyretti. Mir-Mn, Torino

1 - a me pare che il bipartitismo (che oggi si vuole imporre, anche senza il referendum Guzzetta) sia dannoso e non corrisponda alla realtà storica italiana, di fatto, che è più viva e ricca dei paesi a due partiti; poi certo occorre uno sbarramento alle aggregazioni con mire esclusivamente elettorali, mentre devono poter rappresentarsi quelle con una tradizione culturale e politica vivente, oppure corrispondenti a problemi nuovi (p. es. ecologia; economia della decrescita; incontro di civiltà; ...);
2 - in un parlamento a più posizioni, quindi più veramente rappresentativo, deve esserci la capacità di aggregarsi su singoli problemi anche senza partiti permanenti contrapposti sui massimi sistemi (questa tesi di di Simone Weil e M. Ostrogorski e altri, in verità non mi convince ancora del tutto, ma è molto importante esaminarla); se non c’è questa capacità, non c’è la politica; un popolo senza politica è in mano ai briganti;
3 - si deve votare sempre: votare il meno lontano, il meno dannoso, poi, se c’è, il migliore. Ma sempre si deve votare. Chi non vota, vota positivamente per chi vince, che può essere il peggiore;
4 - gli avversari hanno deciso di non accusare e denunciare il corsaro e falsario della politica italiana dell’ultimo quindicennio, teso unicamente agli affari privati in ufficio pubblico, a possedere per sé la cosa di tutti (res publica), e lo hanno deciso per guadagnare voti da quella parte. Così pensa il "politico-politico" (in senso riduttivo): il successo, la vittoria, prima della verità! ma a che serve vincere senza verità?
5 - non è vero (von Clausewitz) che la guerra prosegue la politica e la diplomazia: la guerra uccide l’una e l’altra, insieme alle vite umane e alle case che sono il riparo dei vivi: se io ti minaccio o ti sparo non sono più in rapporto umano con te: “o parola o pistola” è l’alternativa senza uscita della vita civile; democrazia parlamentare è solo quella che “parla” e rifiuta di sparare, solo quella che “ripudia la guerra”; la guerra - che è solo ammazzare e distruggere - è totalmente antiumana, senza ombra di giustificazione. Possiamo trovarci costretti temporaneamente a tollerarla, in certi casi maledetti, perché non diventi maggiore, in attesa del momento utile per farla cessare, ma senza mai smettere di condannarla, senza mai approvarla o farla.
6 - è verissimo che la violenza economica è tanto più grande di quella bellica: la guerra è al servizio di quella violenza, quindi è doppiamente criminale.
7 – l’attuale sistema imperiale, coi suoi alleati, esattamente come i kamikaze, abusa del nome di Dio per i suoi delitti.
8 - le armi: non sono solo spreco, ma causa. Le guerre le fomenta l’industria delle armi, per vendere agli stati e ai banditi. Al loro confronto, ladri e torturatori di bambini sono angioletti.
9 – è giusto e necessario il pensiero della "decrescita felice" (Latouche, Pallante) che non è stare peggio, ma meglio, avere più beni con meno cose; è quello che cerca di fare su scala privata ogni persona sensata; ma intanto economisti e politici (quasi tutti; tutti i maggiori) fanno correre nell’abisso la barca di noi tutti;
10 - con "socialismo estenuato dall’autopunizione" intendo i comunisti che si vergognano di esserlo stati, si castrano, si convertono al centrismo moderato (cambiare pochino, per carità!) e liberista (il liberismo economista è contro la libertà umana, è l’opposto del liberalismo politico) e buttano via il buono irrinunciabile, insieme al cattivo della loro storia: tipico oggi il PD, nel quale non c’è più la cultura di sinistra che fece, con le altre, il grande patto della Costituzione.
11 - certo che tutti dovrebbero pensare il giusto rapporto giustizia-libertà, ma intanto deve farlo la sinistra. Solidarietà, certo, ma anche uguaglianza, contro le mostruose disuguaglianze, contro i privilegi che sono da umiliare. Offende più la disuguaglianza della povertà. Perciò la giustizia è regola della libertà, non viceversa. Io non ho la libertà di essere ingiusto con te. Questa libertà non è un mio diritto. E neppure tuo, di nessuno. Poi, la giustizia va cercata nella libera convinzione, perché la giustizia imposta non è giusta, ma il primato è della giustizia. Solo la giustizia realizza la libertà (art. 3 Costituzione). Solo nella libertà giusta si realizza la giustizia. La giustizia, se è tale, non toglie la libertà. La libertà, se è tale, non tollera l’ingiustizia, neppure a proprio vantaggio.
12 - è vero: il bravo politico deve anche sapere condurre un popolo, senza forzare né imporre: ma per questo deve avere una cultura dell’umanità, una cultura dei fini e dei valori umani, e della storia, una qualità spirituale umana superiore alla media, e deve saper persuadere. Un politico così appare, se va bene, una volta in un secolo. E non ha neppure bisogno del potere di fare leggi costrittive, perché persuade con la sua vita, e guida il popolo (anche se poi questo non è capace di restare sulla sua traccia, come è successo anche a Gesù Cristo; anzi, è quasi una regola di fatto che i profeti vengano uccisi, ma queste figure rimangono per sempre come guide che continuano a precedere tutti). Il politico del 900 è Gandhi. I politici "normali" o violentano la società, oppure, per averne il consenso, eseguono la volontà della società, anzi la inseguono, qualunque essa sia, perciò per lo più tutto dipende da come e quale spirito si forma nella società. Le più grandi guide dell’umanità hanno guidato generazioni e guidano per sempre, senza avere mai voluto il potere politico. Il potere politico ha corrotto la maggioranza di chi lo ha avuto. I più grandi delitti della storia sono stati compiuti per mezzo del potere politico. Esso è finora necessario, ma è pericoloso in mano a persone che non abbiano una superiore virtù.
13 - proponevo un interrogativo: è più importante gestire il potere o controllarlo ai fianchi? Il problema non è solo tallonare i parlamentari, non è solo fare opposizione invece che governare; ma è la politica senza potere (senza "quel" potere), e questa, come si è visto, è una cosa che un “normale” politico non può capire.
14 - sul "potere" vorrei aggiungere: Martin Luther King non considera negativo o immorale il potere, il quale «inteso in modo corretto, non è altro che la capacità di realizzare uno scopo» (però non cercò mai il potere politico). In questo senso egli ammira anche qualche aspetto di Nietzsche, ma è evidente che King pensa al “potere di”, che deve essere di tutti (la “onnicrazia” di Aldo Capitini), e non al “potere su”, di alcuni su altri, che non può essere di tutti ed è perciò sempre vicino alla violenza.
15 - l’ultima questione sulla guerra non sta in poche parole: come i conflitti tra persone civili e tra gruppi di una società sufficientemente civile si risolvono senza ammazzarsi, così può e deve essere l’obiettivo nei conflitti fra stati e grandi gruppi e popoli e civiltà. L’Onu, dopo l’immensa tragedia 1939-45, è stata questa grandissima fondazione civile, la nuova legge internazionale (nonostante contraddizioni interne paralizzanti come i membri di diritto del Consiglio di Sicurezza). Gli stati "sovrani" (= insubordinati e ribelli all’umanità) e dunque terroristi in quanto sovrani, (ben altra cosa è l’autogoverno di ogni popolo), si ribellano alla nuova legge umana cosmopolita dell’Onu. La polizia è necessaria, ma se è corretta secondo i fini democratici, riduce la violenza, mentre la guerra sempre la raddoppia. La differenza è diametrale. A Genova nel 2001 la polizia ha fatto la guerra ai civili nonviolenti. L’Onu, per statuto, non può né fare né autorizzare alcuna guerra, ma deve condurre in proprio, e non affidarle a fazioni potenti, azioni di polizia, dopo le azioni civili. Fino ad oggi, quasi tutti gli stati hanno sabotato l’Onu, cioè la legge per sopravvivere. Il contenimento della violenza con la polizia internazionale e con corpi civili di pace è possibile se cambia la cultura politica come richiesto, per dire solo un esempio, nel 55 da Einstein e Russell, ripresi oggi da Duerr, premio Nobel pace 1995, nel "Manifesto di Potsdam 2005" (richiedere a: http://www.uniud.it/irene). Noi dobbiamo lavorare quanto occorre, anche per decenni o secoli, a cambiare questa cultura. Altrimenti finisce l’umanità.
16 - M. L. King, come già Gandhi, suggerisce una importante distinzione tra forza e violenza: la forza è una qualità della vita, è costruttiva, moralmente è la virtù della fortezza, mentre la violenza è distruttiva e offensiva, immorale. Questa distinzione è occultata, artatamente confusa e persino capovolta dalla cultura violenta, che affida assurdamente alla distruzione la difesa della vita.
17 - "Pace coi mezzi della pace" è il titolo del maggiore testo di Johan Galtung, Esperia, Milano 2000.

Enrico Peyretti, 7 aprile 2008



Lunedì, 07 aprile 2008