Essere di parte

di Doriana Goracci - Megachip

Cosa vuol dire essere di parte? Anche Fausto Bertinotti scrive e lancia il suo messaggio: "Abbiamo scelto di essere di parte". Forse è tardi per dirlo ad un popolo trascurato e inascoltato da anni, per dirlo oggi, a poco meno di un mese dalle elezioni. Ci sono giorni in cui le notizie che ci arrivano, sembrano chiederci con forza da che parte stiamo: oggi è la repressione delle istanze tibetane compiute dai cinesi, fra poco meno di un mese lo saranno le elezioni, il tifo che si segue con gli occhi.

Allora si pensa a quanto può sembrare tragico e pericoloso questo essere ondivaghi, l’ho provata di persona la censura, a non essere di una sola parte.
Perché se sono donna, non sono anche dalla parte dell’uomo, se sono pensionata non devo prendere parte ai problemi di chi lavora, se ho un reddito garantito non devo prendere parte per chi non ce l’ha, se ho casa non lotto per una casa per tutti, se non credo non sono dalla parte di chi crede? Tutte le lotte si ripetono e sono accadute, le abbiamo vissute in prima persona, certe lotte magari, quando eravamo studenti, o sfrattati, o solidali, o licenziati, o semplicemente per poco di parte, con una gran paura che quell’altra di parte ci avrebbe oppresso e represso.

Siamo diventati tutti internazionalisti ed esperti di geopolitica, come le persone anziane del mio paese, quelle che sono andate una volta nella vita a Roma che dista cinquanta chilometri: anche loro  si occupano del mondo, conoscono a modo loro gli "stranieri" e ci devono pure convivere e rispolverano ricordi di soldati, di invasori, di viaggi organizzati, di tanta televisione.

Uno tsunami di news del mondo e nostrane, ci dicono di prendere parte, quella parte, che altrimenti affonderemo, magari con loro.
Sbandiamo sopratutto noi di sinistra, quella che era la sinistra, quella che sembra avere - io continuo a dire per fortuna - la capacità di mettere in discussione, che non prende tutto per buono e che, quando vedeva rosso,  non era sufficiente  farla muovere ed essere tutta di una parte. Ricordo mio padre che rifiutò di sentirsi dalla parte dei carri armati in Ungheria, eppure era stato partigiano.  Non ebbe più pace da quel giorno, ogni tanto lo vedevo riprendere parte, come  ai tempi dei referendum  a partire dal divorzio, lui che aveva amato sempre e solamente mia madre. Pannella gli piaceva ma capì che non  era sufficiente la sua favella  per  opporsi alla  Dc. Cominciò a piacergli quella chiesa del dissenso, quelle comunità che si facevano sincere e non si chiedevano se sarebbe stato prudente essere di parte. Lamentava il fatto che si spendeva troppo in famiglia nella carta stampata...Erano i tempi del Paese Sera, del Manifesto, Lotta Continua e anche il Messaggero di Roma. Cominciò ad appoggiare i socialisti, le riforme prendendo la parte dei lombardiani, la parte non vincente, ovviamente. Guardò a Pertini come ad una speranza di riscatto, per la sua lealtà umana e politica, ma mio padre morì giovane, nel ’79, godendo con un tumore del suo primo anno da pensionato.

A volte ripenso a quella specie di fantocci che si gettavano dalle torri di Manhattan, a quei gorghi di alluvioni dove cose e persone sono travolti dal fango, a quei venti durissimi e spietati  che fanno volare le macchinette come le case, a volte ripenso a questi crac finanziari, a mia madre che anche lei non c’è più ed era nata nel 1929, all’insegna della grande depressione e dell’essere profuga a vita.

Mi viene una grande stanchezza, forse sarà l’età, la salute o la primavera.

Certo è grande la consapevolezza che niente è certo, e la parte  di me che è di parte, ondeggia più che mai, sembra accasciarsi o diventare prepotente.
Non si riesce a condividere neanche più un appello, nessuno ci crede ad una firma, ci si muove in corteo solo se ci sono morti e dopo anche dopo quelle morti, divisioni e discussioni, critiche e polemiche, e poi tutti a casa, a mangiare, a dormire, a compiere quelle funzioni primarie costellate e accompagnate da valanghe di oggetti e soggetti che ti invitano ad essere di parte, con una firma , un voto, una marca, un canale, una squadra.

Anche i morti diventano di parte, li rivendicano  gli uni o gli altri, li benedicono e ne dicono le parti, quelle che se solo ci fermiamo per carità un poco, ci sembreranno una sola, quella del potere, del Grande Leviatano. E allora fuggo nel mio orto, come mio nonno che ne aveva uno a Piazzale Clodio a Roma, dove oggi c’è la RaiTv e il Tribunale, insieme ad altri aveva l’orto di guerra. L’aveva  scambiato  con un agnello, come quello che si mangia a Pasqua , che quando mio padre tornava dal lavoro, belava e gli correva incontro per quattro piani di scale. Poi ci fu la guerra, quella vera, e ognuno fece la sua parte. Come oggi, invitati ad essere cittadini - con un diritto e un dovere per un giorno - a ripercorrere come dallo psicanalista sogni e incubi che si affollano, indistintamente, alle prime luci dell’alba.



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Giovedì, 20 marzo 2008