Alle individuali pretese di trascinare Dio dalla propria parte e farne sostenitore delle proprie ragioni o delle proprie prepotenze, ebbi a rispondere, in una nota pubblicata in questa rubrica, “quando luomo si schiererà dalla parte di Dio ?”.I commenti che ho ricevuto non hanno colto il segno, in quanto hanno preferito privilegiare laspetto laico e politico, con approvazioni o disapprovazioni lontanissime dai miei intendimenti. Lequivoco nasce dalla recente pretesa, rivolta dai vertici della Chiesa italiana ai politici cattolici, di esprimere pubblica obbedienza al Magistero, in una sorta di revival della “lotta per le investiture” di medievale memoria, quando la contesa tra papato e impero verteva sullobbedienza dovuta dai vescovi al Pontefice, in quanto vescovi, oppure allimperatore in quanto nominati da questultimo “conti” con assegnazione di feudi (ma non ereditari per probabile mancanza di eredi). Tale equivoco ha portato molti a vedere nellattuale papa non esclusivamente un capo spirituale, ma anche un capo politico, e per di più schierato dalla parte considerata più conservatrice del paese, in uno scontro aperto tra laicità dello Stato e confessionalità della Chiesa. La condanna del relativismo non viene capita dentro tutti i suoi limiti, discussa, criticata e accolta nella sua giusta, ma limitata, dimensione, bensì viene recepita strumentalmente e proiettata allinterno di una miriade di contraddizioni che sfruttano il relativismo nella lotta contro il relativismo. Il superamento del relativismo, in particolare del relativismo etico, per superare lindividualismo, ha una sua ragion dessere. Il relativismo, infatti, considera tutto come relativo ai singoli soggetti e alle singole concezioni e pone la guida del comportamento esclusivamente nella volontà dei singoli individui. Ma se ogni religione e ogni fede è relativa a una cultura particolare, a individui particolari situati spazio-temporalmente, storicamente ed esistenzialmente, il centro da cui si parte e attorno a cui si ruota non è Dio ma è lIo; non hanno centralità i valori di cui la religione è portatrice, ma lindividuo. Con la conseguenza che ognuno è lasciato a se stesso, è rimandato a se stesso e diviene egli stesso la misura di tutto e il riferimento ultimo (luomo misura di tutte le cosa !). Opporsi al relativismo deve limitarsi a significare opporsi allegocentrismo. I n questa forma sono perfettamente daccordo con papa Ratzinger. Ma se è giusto che la Chiesa si preoccupi del relativismo, è anche giusto che si preoccupi della sua relazione col mondo e con gli uomini che lo abitano. È stato il Concilio Vaticano II a sottolineare in modo forte questa esigenza della Chiesa. Leggiamo nella costituzione dogmatica Gaudium et spes al n. 1: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi […] sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo». Ora, tra le gioie, le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi ci sono anche quelle dei non cristiani, dei laici, dei non credenti, di chi ha convinzioni diverse da quelle della Chiesa cattolica. Se queste devono essere anche quelle dei cristiani, la Chiesa voluta dal Concilio è una Chiesa aperta, dialogante, che costruisce ponti e non muri. E la Lumen gentium, la costituzione dogmatica del Vaticano II sulla Chiesa, afferma al n. 1 che la Chiesa devessere strumento «dellunità di tutto il genere umano». La Chiesa, dunque, non può spingere la legittima difesa dei valori in cui crede fino al punto di apparire quasi come un partito di Dio, quasi alla stregua degli ultraortodossi ebrei e dei fondamentalisti islamici. Se la Chiesa apparisse come un partito schierato contro un altro partito che è il mondo, tradirebbe la sua stessa autocomprensione conciliare. In ambito cattolico il Magistero ha saputo cambiare opinione e ricredersi, e lo ha fatto diverse volte. Si pensi, ad esempio, alle affermazioni oggi superate del Decreto per i copti del Concilio di Firenze (1442), alla bolla “Hebraeorum gens” del 1570 di San Pio V con la quale si inaspriva la persecuzione contro gli ebrei, oppure al Syllabus di Pio IX (1864), o ancora al Decreto del SantUffizio Lamentabili sane exitu (1907), o allenciclica di Pio X Pascendi Dominici gregis (1907). Laccanimento della lotta al relativismo, se dilatata e professata da tutti, rischia di diventare lotta contro il mondo, quando miri a far sì che ogni norma della religione diventi legge della società, ogni divieto della religione diventi divieto dello Stato. Così la lotta contro legocentrismo rappresentato dal relativismo, non dovrebbe diventare lotta contro gli uomini, bensì invito agli uomini a superare legocentrismo, mostrando come la gioia che nasce dallamore per gli altri è più grande del piacere o della soddisfazione che nasce dallamore per se stessi. Lesigenza di relazionalità, che si oppone allegocentrismo, non è estranea al cristianesimo; ma anzi ne è parte costitutiva. Se dunque la lotta della Chiesa contro il relativismo apparisse come una lotta contro la relazionalità, la Chiesa rischierebbe di non annunciare nella sua pienezza il Cristo, principio di comunione, e non intercetterebbe, ma anzi respingerebbe, la domanda di comunione e di relazionalità che viene dal mondo. Il richiamo anti-relativismo, quando culmina nellesaltazione delle “radici cristiane dellEuropa” (e solo dellEuropa e dellOccidente !), però, non deve dimenticare che rischia di essere visto come unapologia della cultura occidentale rispetto al resto del mondo. Nel suo insegnamento Cristo non si è schierato da una parte nella lotta tra il Bene e il Male, tra il giusto e il non giusto, tra il puro e limpuro, lotta che è rimasta come elemento di base della cultura occidentale, piuttosto ha predicato lavvicinamento dellumano e del divino, unificando il genere umano nellunica “razza” della quale ha voluto essere partecipe: lunica “razza divina” che assimila in sé tutto il genere umano.
Rosario Amico Roxas
Martedì, 13 maggio 2008
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