Non so pregare...

di Rosario Amico Roxas

Non so pregare…, è questa la sincera affermazione di Giuliano Ferrara a commento della sua presenza alla celebrazione della Messa, officiata da Benedetto XVI.
A chi gli chiedeva il senso della sua partecipazione, ha affermato di essere un credente, ma di non avere mai praticato e di non riuscire a seguire la celebrazione perché “Non so pregare…”.
Cosa sia la preghiera ce lo insegnano i musulmani, perché nel cattolicesimo cristiano tutto si è ridotto alla ripetizione di formule, memorizzate perché ripetute, ma non comprese.
L’interruzione quotidiana e per cinque volte delle attività, non è una formalità oggettiva, ma una realtà soggettiva che distrae la mente e le coscienze dalle problematiche più urgenti per “purificarne” i contenuti.
La preghiera non è un “modo di fare”, ma essenzialmente un “modo di essere”; è la stessa differenza che corre la l’apparenza e la concretezza.
Se Giuliano Ferrara opera con convinzione, con coerenza, credendo in ciò che dice e fa, nel suo agire c’è la fondazione incrollabile della preghiera, di gran lunga più gradita a Dio di una litania ripetuta con le labbra.
Ma … “e c’è sempre un ma nella vita di tutti noi burattini” , Ferrara ha scelto un pulpito dal quale il tutto suo operato subisce uno stravolgimento per mancanza di rapporto tra le parole e i fatti.
Si tratta del pulpito dal quale predicano i nuovi arrivati della fede, consapevoli di dover “pescare” in quel mondo una adesione che si tramuterebbe in “voti”, lontanissimi dall’essere “consensi”.
Se Ferrara è in buona fede, e desidero partire da questa convinzione, non può assimilare la sua coscienza e la sua consapevolezza di voler difendere e sostenere principi in cui crede, con l’arida realtà di quanti, di quegli stessi principi, hanno fatto scempio, ma che ora cercano di sfruttare per raccattare potere politico.
E’ una contraddizione penalizzata dalla sfiducia che ne consegue; non è possibile, non è giusto, non è corretto predicare contro la fame nel mondo che uccide milioni di bambini, con una coscia di tacchino in mano.

Rosario Amico Roxas



Lunedì, 25 febbraio 2008