Non prevalebunt

di Rosario Amico Roxas

Gli equivoci vanno dipanati, risolti nella chiarezza, altrimenti si cade in un vortice di incomprensioni letali per la verità.

Non rinnego ciò che ho scritto, e che mi è stato riportato tra virgolette, nell’articolo “Politica e religione” pubblicato in questo stesso forum il giorno 11.02.2008 e ripreso anche da alcuni quotidiani italiani e tradotto in francese su “Le monde”:

Mi conforta la presenza di tantissimi sacerdoti, prelati, vescovi che prendono le distanze sia dal pontefice Benedetto XVI che dalla sua ristretta cerchia di conservatori che si sono lasciati ipnotizzare dalle apparenze (Ruini, Bagnasco, Bertone…tutti aspiranti futuri successori pontifici), trascurando l’integrità delle parole di Cristo.”

Quello che mi turba è il fatto che la persona che mi ha scritto, un giovane sacerdote (padre Ettore) molto impegnato nell’assistenza agli emarginati,   mi dava ragione, ma affermando “Cristo sì, la Chiesa no !”.

Confermo e non rinnego di avere anche aggiunto, nel medesimo articolo, evidenziandolo in neretto:

A NESSUNO, fosse anche il Pontefice, fosse anche un concilio, fosse anche il concistoro, il popolo della Fede riconosce il potere, il diritto, la facoltà di alterare la genuinità delle parole di Cristo, che per 2000 anni hanno resistito agli attacchi, sostenendo la Chiesa, MALGRADO la Chiesa.”

Ma con ciò non ho voluto rinnegare la Chiesa, tutta la Chiesa, infatti proprio le parole della Chiesa hanno ispirato il prosieguo di quell’articolo, per quanto riguarda la condizione del lavoro, il rapporto tra l’uomo e il lavoro, la dignità del lavoro che non può mai essere inteso come merce, trattandosi della precipua funzione dell’uomo.

Accolgo con devota soddisfazione le parole di Benedetto XVI che all’Angelus di domenica 10 febbraio ha precisato: “Il lavoro è per l’uomo e non l’uomo per il lavoro”.

Ma è la discordanza tra le parole e le azioni che ne seguono che lascia perplessi, specialmente quando vengono disattesi gli insegnamenti di Cristo che sono stati, sono e resteranno chiarissimi e non necessitano di nessuna epistemologia, così come Cristo non necessita di esegesi storica.

Per chiarire il mio pensiero di cristiano, devo partire da quell’enciclica che ha colmato i vuoti del Magistero sociale della Chiesa ed ha gettato le basi per una cattolica affermazione dell’insegnamento di Cristo, non vincolato dalle formalità  burocratiche della conversione.

Mi riferisco a quella Populorum Progressio della quale si parla poco e quando se ne parla non vengono esaltati i momenti salienti.

La stampa, anche internazionale, anticipò la traduzione indicando come testo “Il progresso dei popoli….”, ma il testo integrale rese giustizia alla volontà del pontefice, esordendo “Lo sviluppo dei popoli”, perché tutta l’enciclica mette al centro l’uomo e ne propone lo sviluppo e non il progresso, che è tecnologico. In essa vi è la denuncia dell’aggravarsi dello squilibrio tra paesi ricchi e paesi poveri, la critica al neocolonialismo e il diritto di tutti i popoli al benessere. È inoltre presente una critica al capitalismo e al collettivismo marxista.

Il capitalismo, specie quello positivista americano colse la palla al balzo per accusare Paolo VI di essere un “papa comunista”.

In quella enciclica venne posta la questione, ancora irrisolta, del ruolo della Chiesa nel mondo, cioè  se deve articolare la sua azione verso lo sviluppo della Chiesa e la sua dilatazione, oppure se deve adoperarsi perché tale sviluppo coinvolga gli uomini e tutti gli uomini, nello spirito ecumenico con il quale il Concilio Vaticano  aveva travolto tutti i residui medievali che ancora orbitavano intorno all’universo “Chiesa”.

Ho detto “ancora irrisolta” perché dopo Paolo VI, dopo Giovanni Paolo II, con la brevissima transizione di Giovanni Paolo I, deceduto dopo 30 giorni dall’elevazione al pontificato, e dopo aver chiesto “le carte” dello IOR perché voleva vederci chiaro e mettere in ordine i conti che facevano riferimento all’Istituto per le Opere Religiose, riemerge una diversa identificazione del ruolo della Chiesa che si ritrova ad avere al suo vertice un pontefice che è anche  Sovrano dello Stato Città del Vaticano, nonché uno dei massimi teologi viventi, ma senza distinzione di ruoli e, principalmente, senza il primato che Cristo ha indicato nel “Tu es Patrus”.

Il “Tu es Petrus” fu una vera e propria investitura, ma avvenne al termine della vita terrena di Cristo, dopo la sua predicazione, dopo l’insegnamento attraverso le parabole, dopo le Beatitudini del discorso della montagna; quell’investitura era condizionata dal primato di Pietro, ma insieme all’aderenza all’insegnamento.

E’ più facile che un cammello passi per cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli” che non condannava la ricchezza in sé, ma il suo uso egoistico.

In aderenza a ciò Paolo VI scrisse nella sua enciclica:



« È come dire che la proprietà privata non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto. Nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno, quando gli altri mancano del necessario. »

(Paolo VI, Enciclica Populorum Progressio, § 23)



Aggiungendo:



« I popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell’opulenza. La Chiesa trasale davanti a questo grido di angoscia. »

(Paolo VI, Enciclica Populorum Progressio, § 37)



Ma la Congregazione per la dottrina della fede, con Ratzinger prefetto,  impose la condanna alla Teologia della Liberazione e suo massimo teologo Jon Sobrino, colpevoli di presentare nei paesi disperati e sfruttati dell’America latina, l’immagine di un Cristo partecipe della vita degli affamati, assetati, respinti, negri, laceri, mendichi, il Cristo che ripeteva loro le Beatitudini della montagna, il Cristo che ricordava “Avevo fame e mi avete saziato, avevo sete e mi avete dissetato….” , il Cristo dell’amore universale, proprio il Cristo invocato e indicato come meta nella Populorum Progressio, non certo il Cristo opulento delle cattedrali dove si celebrano solenni funerali a criminali come Pinochet; il Cristo degli altari da trasporto, da dove il celebrante guarda in faccia i fedeli per confermare loro che sono “i figli prediletti di Dio”.

Il cardinale  Ratzinger è subentrato a se stesso nella gestione della presenza fisica di Cristo nel mondo, fornendo una interpretazione esegetica, storica, epistemologica, teologica e filosofica, lontanissima dalla carità cristiana praticata e non solamente predicata; quell’assenza di ”carità cristiana “ che si è voluta sostituire a cristo stesso nel giudicare Il povero Welby, martire della sofferenza, indegno di entrare in quella Chiesa nella quale furono sbarrate le porte; ma la vera Chiesa, l’Ecclesia, l’adunanza dei credenti era lì, intorno ad una bara, coperta dalla carità cristiana e assistita da Cristo, rimasto anch’egli fuori dalle mura.

Paolo VI, come il successore Giovanni Paolo II, in due diversi paesi dell’America latina, nei loro pellegrinaggi nel mondo degli esclusi e dei bisogni primari, restituirono a Cristo, in segno di umile partecipazione e comprensione, l’anello papale, consegnandolo all’arcivescovo preposto del luogo,  perché fosse tramutato e moltiplicato in “pani e pesci”.

Il viaggio di Benedetto XVI in Brasile è apparso a tutti un viaggio di Stato, con le pastoie burocratiche e con la polizia che provvedeva a far sparire dalla vista i “monelli di strada”, perché non offendessero il panorama.

L’argomento va ancora tutto discusso e non basta certamente un articolo per esaurire la complessità delle motivazioni che mi fanno dire e confermare “Cristo sì, la Chiesa sì, questo Vaticano no !”.

La Chiesa è l’assemblea dei credenti, quell’assemblea che generò il monachesimo quando il Vaticano era il centro del potere temporale dello Stato Pontificio; la promessa di Cristo “Non prevalebunt” è rivolta a questa assemblea e vale anche nei confronti delle derive dalle quali, nel corso della millenaria storia, il Vaticano si è lasciato lusingare.    

Rosario Amico Roxas



Giovedì, 14 febbraio 2008