Un lavoro per vivere e non per morire

di Giulio Vittorangeli

[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli@wooow.it) per questo intervento.]


"Un altro mio compagno
ho visto morire
oggi
bruciato da una miscela di acidi
terrificanti.
Questo forse non dice piu’ nulla
a nessuno.
Forse non fa neanche piu’
cronaca.
Ma io non posso tacere,
non posso guardare
questi morti e fingere
di non vederli.
Non posso lasciarli inghiottire
da questo sporco silenzio.
Non voglio tacere.
I miei compagni morti
non possono, non devono
sparire.
Voglio urlare, graffiare
dentro questa indifferenza
che annienta
anche le pietre
come un lupo affamato nella neve".
(Ferruccio Brugnaro, "Non voglio tacere", in "Medicina Democratica", n.
173/175, maggio-ottobre 2007).

*

Risulta banale, e forse suona anche retorico, dire che "Molfetta e’ come Torino". Stessa strage sul lavoro.

Ieri alla Thyssenkrupp; oggi (3 marzo 2008) a Molfetta: Guglielmo Mangano anni 44, Vincenzo Altomare anni 64, Luigi Farinosa anni 37, Biagio Sciancalepre anni 22, Michele Tosca anni 19; domani in una qualsiasi delle localita’ del nostro belpaese.

A Molfetta i soccorritori hanno trovato i corpi cosi’, uno sull’altro. Senza maschere, ne’ adeguati respiratori. Senza protezioni. L’ennesima tragedia come altre, forse tutte, poteva essere evitata, bastavano una maschera e scarpe migliori.

L’hanno definita la strage della catena dell’aiuto: "Il primo a morire e’ l’operaio intento a pulire la cisterna di un camion, poi l’autista del camion che va in suo soccorso, poi ancora un altro e anche il proprietario dell’azienda che muore intervenendo in soccorso".

In televisione abbiamo visto, sull’asfalto del cortile dell’azienda, i corpi coperti da un telo bianco.

Il governo uscente ha poi approvato il testo unico sulla sicurezza, che chiede pene piu’ severe per i datori di lavoro. Di per se’, molto probabilmente, non risolve il problema dell’insicurezza sul lavoro, puo’ semplicemente limitare qualche danno; ma la classe padronale (se possiamo ancora usare questo termine) líostacola gia’, con ogni mezzo.

Gli industriali considerano la sicurezza un prezzo troppo alto, per questo trasgrediscono regolarmente quelle norme per poter contenere il costo delle proprie produzioni.

Cos’altro potrebbe sostenere un sistema industriale, quale quello italiano, che compete sul mercato globalizzato puntando esclusivamente sulla riduzione del costo del lavoro?

Credo che in tutte le citta’, fino ai paesi piu’ piccoli della nostra penisola, esista un monumento, piu’ o meno grande, piu’ o meno bello, per i morti di guerra; i morti sul lavoro, invece, hanno soltanto un destino di oblio. Si potrebbe parafrasare il primo articolo della nostra Costituzione trasformandolo cosi’: "L’Italia e’ una Repubblica fondata sul lavoro, anche di chi per il lavoro e’ morto".

Tratto da
Notizie minime de
La nonviolenza è in cammino


proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini.
Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

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Numero 390 del 10 marzo 2008



Lunedì, 10 marzo 2008