Politica
La Comunità Mediterranea

di Rosario Amico Roxas

L’Italia è ben poco presente nell’attenzione verso una realtà che non viene tenuta nella dovuta considerazione; intendo parlare della Comunità Mediterranea, prima ancora di parlare della Unione Europea. Non intendo sostenere che una Comunità Mediterranea debba sostituire, in prospettiva, l’ipotesi della nascita degli Stati Uniti d’Europa, desidero affermare che l’Unione Europea non può essere, da noi italiani e, principalmente, da noi siciliani, concepita e non può rivelarsi utile ai nostri interessi e ai nostri destini sociali ed economici e, quindi, politici e civili, se non integrata da una Comunità Mediterranea, che ci consenta di esercitare il ruolo primario di grande ponte verso tutti i popoli rivieraschi dell’Africa del Nord o, per meglio identificarli, dell’Eurafrica Mediterranea.

Non si possono lasciare vuoti in politica e, men che meno, in politica estera, senza che qualcuno li riempia; esiste un vuoto italiano in Africa Settentrionale e, ovviamente, qualcuno lo sta riempiendo. Se vi fosse una presenza italiana, forte sia in termini civili che economici e sociali, nel bacino del Mediterraneo, ogni altra presenza o collaborerebbe con la nostra o, quanto meno, sarebbe condizionata in tutto o in parte dalla nostra presenza, innanzitutto in termini di civile convivenza fra i popoli.

Fu detto che per gli altri il Mediterraneo è la via verso nuovi mercati, mentre per gli italiani, e per noi siciliani in particolare, è la vita.
Si affermò una grande verità, ancor oggi valida, o forse ancor più valida, ma si sbagliò il metodo, perseguendo il fine con metodi imperialistici di conquista militare, imitando le altre nazioni Europee.
Oggi rimane quella verità inconfutabile, che occorre mettere al suo posto sotto il profilo politico, economico e sociale con mezzi diversi e più appropriati, programmando, in tempi rapidi, l’integrazione fra tutti i popoli del Mediterraneo, in grado di formare una dinamica Comunità Mediterranea con una naturale centralità della Sicilia, quale ponte ideale tra due civiltà e due culture, che devono trovare modi ottimali di convivenza.
I governi che si sono succeduti in Italia negli ultimi decenni non hanno realizzato alcun programma a medio-lungo termine indirizzato al progetto di penetrazione, con il fine di promuovere l’integrazione, verso i paesi del Nord-Africa; le poche attività che si registrano sono frutto di iniziative private, non sostenute né incoraggiate dalle strutture istituzionali.
La presenza, sia pur significativa, dell’ICE non basta a stimolare interventi e/o rapporti di qualsiasi genere, così un mercato in piena evoluzione viene trascurato, lasciando le iniziative ad altre nazioni della CE, in primo luogo alla Francia, favorita in partenza dalla comunione linguistica. Le attività della Francia e delle altre nazioni che si stanno muovendo verso quei mercati non sono indirizzate a promuovere e stimolare l’integrazione, bensì sono mirate allo sfruttamento e all’utilizzazione del loro potenziale economico secondo interessi unilaterali.
L’esempio dell’Algeria è illuminante: potrebbe essere la nazione in assoluto più ricca del Nord-Africa e del Mediterraneo (petrolio, gas naturale, pesca, agricoltura, turismo), al contrario è una delle meno sviluppate, con un costo elevatissimo della vita, salari medi bassissimi, concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi algerini, associati con i potentati francesi. Queste discrasie, in Algeria, provocano la reazione in difesa delle classi più deboli, sviluppando tragici fenomeni di intolleranza integralista, che periodicamente scatena atti di inaudita violenza.
Questa situazione, legata anche alla instabilità politico-amministrativa, scoraggia ogni tipo di intervento, ....tranne quello francese.
L’Italia ha dimostrato di non nutrire grandi interessi verso quest’area, che comprende oltre 800 milioni di abitanti (Tunisia, Algeria, Marocco, Libia, Egitto, Giordania, Siria, Kurdistan, Yemen, Senegal, Niger, Nigeria, Costa d’Avorio, Paesi Arabi e del Golfo e del Vicino Oriente) con nazioni fortemente in via di sviluppo; sono state realizzate numerosissime “tavole rotonde” (anche troppe), con grande dispendio di parole, peraltro sempre le stesse, con programmi mai concretizzati, mentre altre nazioni (specie la Francia e il Belgio) si stanno organizzando in maniera molto concreta, collocando, nelle nazioni commercialmente più attive, propri uffici in grado di fornire assistenza agli operatori interessati a tali aree.

Una premessa è indispensabile: l’Occidente, nella memoria collettiva degli islamici e degli arabi, rappresenta l’aspetto negativo della popolazione mondiale. Il mondo occidentale è il mondo dei colonizzatori, che per secoli hanno rapinato quelle popolazioni dei loro beni e hanno bloccato ogni possibile decollo autonomo sia dell’economia, che della cultura più in generale.
Il mondo occidentale è quello stesso che rivendica la leadership morale nel mondo, che preme sul resto del mondo perché venga preso per buono il modello politico che, sulla carta, dovrebbe eliminare la legittimità dalla violenza.
Nella memoria collettiva dei popoli islamici l’Occidente, dopo essere stato il colonizzatore, aveva riacquistato credibilità quando cominciò a promettere la condanna, come illegittima, di ogni forma di violenza contro qualunque essere umano.
Ciò accadde particolarmente con la caduta del muro di Berlino e la conseguente ventata di legittimità democratica. Successivamente si ebbe la Guerra del Golfo, che i popoli arabi non riuscirono a comprendere; era fin troppo chiaro l’intento economico.
Si trattava di un problema tra “capi” e tra "capi" dovevano risolverlo.
Perché bombardare Baghdad e far pagare al popolo la sola colpa di avere un dittatore tra i più sanguinari ?
Saddam Hussein dalla prima guerra del Golfo uscì rafforzato e con l’aureola del combattente che aveva resistito allo strapotere americano e dei suoi alleati, riuscendo a rimanere al suo posto.
Fu imposto l’embargo, ma servì solo ad affamare la popolazione e a contenere il prezzo del greggio, che continuò a essere venduto, in violazione dello stesso embargo, agli stessi petrolieri americani, con un enorme arricchimento personale dello stesso Saddam.
Gli iracheni subirono solamente, sia la dittatura crudele del rais, sia le penalizzazioni provocate dall’embargo.
La seconda guerra del Golfo, voluta unilateralmente dagli alleati angloamericani, ha definitivamente scavalcato ogni ipotesi di affidare alla politica e alla diplomazia le sorti del pianeta. Il coinvolgimento investe tutta l’area del Medio Oriente e fa sentire le conseguenze anche nel Bacino del Mediterraneo. L’instabilità politica, provocata da una guerra non voluta da gran parte delle popolazioni del pianeta, è diventata dinamica, investendo tutti i settori dello sviluppo socio-economico.
La fiducia nel sistema democratico, che stava già prendendo piede nella mentalità arabo-musulmana, con questi eventi ha subito un forte ridimensionamento, penalizzando anche l’ideale della democrazia, diventata diramazione del mondo occidentale.

Rosario Amico Roxas(raroxas@tele2.it)



Giovedì, 13 dicembre 2007