Italia e Israele: licenza di guerra

di Rosario Amico Roxas

Mentre vengono denunciate gravi inadempienze sul controllo delle testate nucleari posizionate anche in Italia, è doveroso ricordare qual è la situazione italiana, con il rinnovato governo Berlusconi.
Già durante il primo governo il Senato italiano aveva approvato la ratifica di un accordo, prima segreto, il 2 febbraio 2004: l’accordo Italia-Israele sulla cooperazione nei settori militare e della difesa è arrivato alla Camera. Nella commissione esteri della camera avevano espresso parere contrario non solo Rifondazione comunista e Verdi, ma anche Democratici di sinistra-L’Ulivo e Margherita-L’Ulivo. Il parere contrario è stato motivato con il fatto che l’accordo violava la legge 185 sull’esportazione di armamenti, poiché estendeva a Israele il trattamento privilegiato previsto solo per i paesi Nato e Ue, e stabilisce una cooperazione militare con un paese che non ha firmato il Trattato di non-proliferazione delle armi nucleari.
Le implicazioni in realtà sono ancora più gravi. E’ «un accordo generale quadro» comprendente interscambio di materiale di armamento, organizzazione delle forze armate, formazione e addestramento del personale militare, ricerca e sviluppo militare. Attività che, in base all’«accordo sulla sicurezza» stipulato nel 1987, si svolgeranno sotto la cappa del segreto militare. Secondo fonti militari israeliane citate da Voice of America (22 novembre 2004), Italia e Israele hanno già concordato e finanziato «lo sviluppo congiunto di un nuovo sistema di guerra elettronica altamente segreto».
Poiché questo è un campo in cui Israele ha finora cooperato solo con gli Stati uniti, significa che l’accordo italo-israeliano è stato preventivamente approvato o preteso dalla Casa bianca. Non è quindi solo un accordo tecnico: i ministri degli esteri e della difesa del precedente governo Berlusconi, lo avevano definito «un preciso impegno politico assunto dal governo italiano in materia di cooperazione con lo stato d’Israele nel campo della difesa».
Un accordo quinquennale, prorogabile automaticamente, che vincolerà, non solo l’attuale, ma anche i futuri governi a una precisa scelta di politica estera: quella di essere a fianco del governo israeliano qualunque cosa faccia. Una scelta particolarmente grave, dal momento che il governo israeliano è deciso a usare ogni mezzo per mantenere in Medio Oriente il monopolio delle armi nucleari.
In un servizio pubblicato nell’aprile del 2007, The Sunday Times (il giornale britannico che nel 1986 riportò la testimonianza di Mordechai Vanunu sull’arsenale nucleare israeliano) rivelò che le forze israeliane si stanno addestrando per un attacco agli impianti nucleari iraniani. A tale scopo è stata costruita nel deserto del Negev una copia in dimensioni reali dell’impianto nucleare iraniano di Natanz. L’attacco verrebbe effettuato da commandos dell’unità di élite Shaldag e dalla 69a Squadra aerea con caccia F-15 armati di bombe penetranti.
Verrebbe distrutto anche l’impianto nucleare di Bushehr, costruito con l’aiuto della Russia che, con un accordo firmato il 27 febbraio 2005, si impegna a fornire il combustibile nucleare e a ritirare le scorie garantendo così che l’Iran non se ne serva per produrre plutonio.
Il programma di accordo Italia-Israele, che prevede anche l’attivazione delle forze nucleari israeliane pronte a colpire in caso di rappresaglia iraniana, è stato concordato con gli Stati Uniti.
I caccia israeliani passerebbero dallo spazio aereo iracheno controllato dal Pentagono e sarebbero guidati dai sistemi satellitari statunitensi. L’esistenza del piano non è più segreta: funzionari Usa hanno dichiarato che «un attacco militare contro gli impianti nucleari iraniani da parte di forze israeliane o americane non è da escludere se la questione dovesse bloccarsi alle Nazioni unite». Secondo gli esperti, «ritardare l’attacco militare comporta il rischio che, una volta avviati i reattori di Bushehr, la loro distruzione potrebbe causare una catastrofe ambientale simile a quella di Cernobyl».
In tale situazione, proprio mentre l’Ue è impegnata in una delicata trattativa con l’Iran sulla questione del nucleare, l’approvazione da parte della camera dell’accordo militare con Israele darebbe al governo Sharon il segnale politico che l’Italia è pronta a sostenerlo nell’attacco all’Iran.
La corsa israeliana all’armamento continua senza sosta, creando un deposito bellico che non ha riferimento alcuno con nessuna altra potenza mondiale, in rapporto alla dimensione dello Stato.
L’ultimo acquisto riguarda il rinnovo dellìarsenale di bombe, con altre più potenti e sofisticate, in grado di distruggere una città come Teheran.
Quanto costa un armamento del genere ?
Israele lo sa benissimo: 319 milioni di dollari. La cifra non è campata per aria: la si trova tra le righe di un rapporto del Congresso americano della prima decade di ottobre 2007, perchè gli Stati Uniti vogliono vendere ai preziosi alleati israeliani armi in grado di far loro mantenere il "vantaggio qualitativo" militare e nel contempo favorire gli interessi strategici e tattici degli Usa in Mediooriente.
Nel dettaglio, si tratta di 500 "bunker busters" da una tonnellata capaci di frantumare bunker di cemento spessi più di due metri; 2500 bombe "normali" da una tonnellata; 1000 da mezza tonnellata; 500 da 250 chili, altri cinquecento ordigni di varia natura.
L’apparato militarindustriale americano sa di poter contare sui buoni uffici della Casa Bianca, del resto c’è una formidabile affinità d’interessi con le aziende del settore israeliane, e per non mettere troppo in imbarazzo il governo sionista si è ricorso ai soliti fondi garantiti dagli ancora più consueti finanziamenti agevolati.
Business chiama business e quello della guerra è il più colossale: basta invocare l’emergenza continua e il terrorismo, è il pretesto perfetto per una politica di difesa aggressiva...


Rosario Amico Roxas



Domenica, 22 giugno 2008